di Giuseppe Mazzella
“Mamma, mamma ferma!”. Il taxista aveva bloccato appena in tempo l’auto, che Camilla, come un fulmine, aveva aperto la portiera e si era precipitata senza paura verso un cane nero che teneva in bocca un gattino che stava per divorare. La bambina l’aveva raggiunto in un attimo, aveva afferrato senza esitazione per le orecchie il cane, e il gattino era scivolato a terra. Il cane, che aveva ancora tra i denti i resti di un altro gattino che aveva appena maciullato, non si era mosso, osservando con occhi stanchi la scena, mentre la bambina, afferrato il gattino era prontamente rientrata in auto, dove era attesa dalla mamma e dalla sorella Selvaggia.
Il resto della gita a Ponza ormai non aveva più interesse. Il mare trasparente, Chiaia di Luna, le Piscine Naturali, le allegre brigate degli altri vacanzieri, sfioravano Camilla e Selvaggia che non avevano occhi che per quel gattino. Anche mamma Costanza era rimasta sorpresa, e non osava prendere una decisione. “Questo gatto ce lo portiamo a casa a Roma!”, dissero all’unisono le sorelle. Alla mamma non restò che acconsentire. Costanza finì per comprare al bar una busta di latte, che fu versato in un piatto di plastica che “Ponza”, questo era ormai il nome del gatto, lentamente cominciò a deglutire, ancora scosso e malfermo sulle zampette. Con la sua magliettina leggera Camilla aveva intanto preparato un piccolo giaciglio su cui il gattino passò le lunghe ore di viaggio in traghetto per Anzio. Tre ore in cui “Ponza” fu coccolato, accarezzato, pettinato, rifocillato continuamente dalle sorelle e dalla madre. Che gioia, poi, una volta a casa, fare conoscere a “Ponza” la stanzetta dove loro studiavano, la cucina, il balcone che dava sugli alberi, e sul quale fu prontamente preparato una casetta con tutti i confort.
La ripresa fu rapida. “Ponza” da scheletrico e macilento, ingrassava a vista d’occhio. Persino la nonna, che non aveva molta propensione per gli animali, ci si affezionò. Anche se con modi burberi e senza darlo a vedere, era la prima il mattino a riempire la ciottola di latte, così come ai primi freddi dell’inverno, provvedeva a togliere dall’armadio vecchie maglie di lana, per rendere più confortevole la casetta sul balcone. Nella primavera successiva la guarigione fu completa, tanto che “Ponza” inseguiva con balzi un po’ goffi gli uccelli che si avventuravano sul balcone.
Un giorno Camilla e Selvaggia si accapigliarono su di chi fosse il gatto. Ci volle tutta la pazienza della nonna per far capire loro che il gatto non era una cosa, ma che era di chi gli voleva bene. E per questo era di tutte e due.
E arrivarono le vacanze estive. Destinazione Pantelleria, nella casa al mare. Il volo fu affrontato dal gatto senza paura.
A Pantelleria “Ponza” imparò a conoscere la cameretta delle sorelle, si abbuffava di pesce fresco che Camilla e Selvaggia andavano a prendere direttamente dai pescatori, imparò a fare la sosta pomeridiana sdraiata sulla pancia delle due sorelle che se lo dividevano equamente. “Ponza” imparò anche a seguirle al mare, quando andavano a fare il bagno, e avrebbe imparato anche a nuotare se l’istinto non glielo avesse impedito.
E così per vent’anni. Roma Pantelleria Roma. Fino a quando… ma lasciamolo lì quel buffo gatto tigrato delle due isole…