di Pasquale Scarpati
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La casa è viva: la madre alleva i figli e le figlie; a queste ultime insegna le dure faccende domestiche, l’arte della cucina e del ricamo. I maschi, diventati più grandicelli, saranno affidati all’esperienza dei padri e dei nonni.
A tutti i figli la madre offre il seno per quasi due anni e, se qualcuna non ne ha possibilità, volentieri lo offre anche ad altri piccoli coetanei, soccorrendoli, creando, così, una famiglia allargata con nuovi fratelli e/o sorelle.
Questi balli antiquati non piacciono molto ai giovani che amano, invece, sfrenarsi in quelli più moderni: il samba, il cha cha cha e la rumba. Arriva il tanto atteso ballo di gruppo: la quadriglia. Immediatamente zi’ Tore viene nominato, con sua grande soddisfazione, mast’ ’i sala; lui, con sussiego, con la camicia senza la cravatta oramai abbandonata su qualche sedia, indossando ancora la giacca, con il cappello in testa, prende posizione al centro della sala, zittisce la musica e ordina il silenzio. Tutti pendono dalle sue labbra: deve impartire gli ordini ai ballerini. Oltre a conoscere gli schemi è anche poliglotta: oltre alla parlata locale conosce, infatti, anche il francese, e lo utilizza per impartire gli ordini: Au contraire oppure changer la femme.
Ma per i più deve parlare in fornese che è un dialetto leggermente diverso da quello di Ponza Porto; alle Forna, infatti, forse per distinguersi ulteriormente da quelli del Porto, amano esprimersi in altro dialetto. Amano inserire, tra l’altro, anche la “gliù” ed anche l’accento è diverso.
Ad un suo cenno la Musica intona un allegro motivetto che ripete tantissime volte e sempre più velocemente Si gira a cerchio prima in un verso, poi, al comando au contraire, si deve girare nell’altro verso. Poi si formano le coppie e si balla allegramente; ma ecco che quel malandrino del mast’ ’i sala, impartisce, a sorpresa, l’altro comando Changez la femme! A questo punto bisogna, velocemente, cambiare la dama altrimenti si rischia di rimanere fuori dal giro. Ciccillo non conosce queste regole: così, dopo avere a malincuore lasciato la giovane dama, vedendo avvicinarsi una abbastanza più attempata, rivolge altrove le sue attenzioni; ma questa esitazione gli risulta fatale: Austeniéll’ prestamente si intrufola e gliela ruba. Al poveretto, rimasto solo, non resta che rifugiarsi mesto vicino ad un tavolo, consolarsi con i taralli ‘nzogna e pepe e tracannare un buon bicchiere di vino, in attesa del nuovo ballo.
Intanto i superstiti del ballo si sfrenano al ritmo sempre più veloce e incalzante; qualcuno che non ama stare fuori dal giro si presenta con una scopa e la porge al primo che capita o a colui che gli ha rapito la dama, così quest’umile strumento di lavoro diventa per una volta il principe della sala o, per meglio dire, lo spauracchio dei cavalieri.
Le note escono in frotte e corrono sempre più veloci, alla fine il tutto termina con un gran parapiglia e una gran battuta di mani. Stanchi, esausti, si ritorna ai balli lenti ed ognuno, finalmente, può abbracciare l’amato o l’amata oppure sedersi un poco per riposare e commentare.
La serata termina con il serpentone finale al ritmo di samba. Gli invitati si attardano; si è fatto tardi e lo sposo è impaziente, tutta quella gente comincia a dargli fastidio. Compare Dumminic’ vedendolo un po’ rabbuiato, pensando forse di risollevare il suo animo, gli suggerisce: “Ohi Pe’… fa na bella cacciata!” Lui, cogliendo a volo l’occasione, subito di rimando: “Iatevenn’ tutt’ quant’ a via fore!”.
Una sonora risata accoglie queste parole e subito subito, nel buio più fitto, tutti, soddisfatti, contenti e con il ricordino, ritornano alle loro dimore, sia perché il giorno dopo devono affrontare la dura vita dei campi o della pesca, sia perché anche alle Forna manca l’energia elettrica.
[Viaggio alle Forna (3) – Continua]