di Pasquale Scarpati
Penso che il tempo in cui viviamo non sia né migliore né peggiore di quello degli anni trascorsi nella “beata” fanciullezza. Per natura si tende sempre ad edulcorare il tempo passato. Credo che l’era di saturno – o dell’oro, che dir si voglia – sia stata solo un’invenzione poetica. Ognuno vive ed agisce con le gioie, i dolori ed il modo di pensare proprio dell’epoca in cui vive. Ciò è sicuramente dovuto a più fattori che non sto qui ad analizzare (sarebbe troppo lungo). Neppure è possibile fare troppi paragoni perché ogni tempo ha un suo stare ed un suo divenire. Sarebbe, a mio avviso, una discussione oziosa. Ad esempio è un po’ come quelli che vogliono paragonare e decidere se Pelè sia stato più grande o meno di Maradona o Coppi più di Merckx: si giocava in modo diverso o si correva su strade diverse e con biciclette diverse.
Ma le cause e le conseguenze possono essere analizzate. Una cosa comunque è inconfutabile: le brutture dell’animo umano sono sempre esistite fin dai primordi: invidie, gelosie, cattiverie, frodi, sete di potere ed altro. Così come è sempre esistito ciò che ha nobilitato l’animo umano: amicizia, amore, solidarietà, altruismo. La storia è costellata da tantissimi esempi nell’uno e nell’altro campo. Asserire che ieri è meglio di oggi o viceversa, non ha senso. Comunque è bene non solo tirare dritto ma, per non atrofizzare i muscoli del collo, sarebbe bene guardarsi intorno e, ogni tanto, voltarsi indietro, anche se è un poco più faticoso e doloroso (il dolore a volte fortifica): può darsi che potrebbe nascere qualche riflessione vedendo quelli che raccolgono o, per meglio dire, raccoglievano le bucce dei lupini che altri, sia pur borbottando, mangiavano o mangiamo. Oggi esistono tanti problemi e non tutti di facile soluzione. Anche ieri esistevano i problemi e anch’essi erano di difficile soluzione se rapportati ai tempi. Il divenire crea sempre problemi, altrimenti non sarebbe “il divenire”. L’uomo li crea e poi li risolve. Si potrebbe discutere quale sia il problema più impellente e basilare per ognuno di noi e poi quale soluzione trovare. Su ogni problema si potrebbe scrivere e discutere per tantissimo tempo, così dicasi delle soluzioni e non sempre, anzi quasi mai, se ne trova una che soddisfi a pieno.
Ciò che, a mio avviso, è inconfutabile è che la storia insegna nel bene e purtroppo anche nel male. Oggi invece si tende a polemizzare più che a trarre insegnamenti. Così è oramai prassi costante e consolidata che una nuova amministrazione non faccia altro che scaricare tutte le colpe del dissesto finanziario o quant’altro su quella precedente. Il guaio è che finisce tutto lì o per meglio dire quest’accusa è, per lo più, solo il pretesto per aumentare il carico fiscale o altri balzelli sui cittadini con pochi benefici da parte di questi ultimi, laddove la parola poco è un eufemismo. Così non si fa altro che colpevolizzare la storia quando invece da essa si dovrebbero trarre insegnamenti.
Tornando al passato sicuramente la penuria di mezzi e di denaro costringeva nel quotidiano gli esseri umani, giocoforza, ad essere solidali. Oggi il benessere induce piuttosto ad essere indipendenti; a demandare ad altri tutto ciò che riteniamo non ci appartenga, quando, invece, così come è sempre stato, tutto ci appartiene anche ciò che sembra lontanissimo da noi: questo principio, a mio avviso, non è cambiato. Le responsabilità vanno equamente suddivise e condivise. Tutti devono fare la loro parte: sedersi attorno ad un tavolo più e più volte perché è impensabile che il tutto si risolva in fretta ed in una volta sola (forse questo è uno dei mali della nostra società: volere tutto e subito e possibilmente con poco sacrificio). Discutere, dialogare, litigare, e poi di nuovo discutere, dialogare, litigare e proporre nuove idee che, guarda un po’, potrebbero avere la loro radice nel passato e trovare alla fine, ma in breve tempo, una soluzione condivisa.
Torno all’assunto con un altro esempio. Negli anni ’50 la poca disponibilità di denaro faceva sì che la gente prima di fare un acquisto “chiaitasse”, discutesse, facesse speculazione sui prezzi e, alla fine, dopo aver tanto discusso, comprava soltanto lo stretto necessario. A loro volta gli esercenti le attività commerciali pensavano e si industriavano a come farsi concorrenza tra loro, a come mantenere i clienti e farsene di nuovi e, per questo, tra l’altro, il negozio rimaneva aperto a qualsiasi ora e in qualsiasi giorno della settimana. La mattina presto perché, nel caso dell’Isola, a quell’ora arrivavano le persone con gli asini dai Conti o dagli Scotti o con le barche dalle Forna. Dovevano rifornirsi di prima mattina perché nel ritorno era più faticoso affrontare le salite specialmente con il caldo e perché, per quelli che adoperavano le barche, il mare a quell’ora è generalmente più calmo. La sera, specialmente il martedì quando alle 5 del pomeriggio attraccava la nave proveniente da Napoli da cui giungeva la maggior parte della merce, si restava aperti fino a tardi per ricevere ciò che arrivava da quella città (tramite anche Luigi, il corriere), o da Forio d’Ischia o se, negli altri giorni, “Sigarett” non aveva finito di scaricare. Si ritardava la chiusura anche perché si preparava la merce da vendere per il giorno successivo. Prodotti che, anche per risparmiare sui costi ed essere, quindi, concorrenziali, nella maggior parte dei casi venivano “confezionati” nel negozio stesso. Anche la domenica si restava aperti con la speranza di vendere qualcosa. Al pari dei commercianti,anche le altre persone si ingegnavano nel lavoro pensando al come e al quando per “sbarcare il lunario” (di esempi, nella memoria, ce ne sono tanti). E dappertutto era così. Conobbi zone abitate nei monti Lepini dove, intorno alla metà degli anni ’70, non giungeva ancora l’energia elettrica ed altre zone dove i mezzi pubblici erano molto saltuari e le persone facevano chilometri a piedi prima di giungere al capolinea sperando di trovare l’autobus ad attenderle. Poi è subentrato il benessere, con una maggiore quantità di denaro in circolazione. Le cause sono state tante che non sto qui ad analizzare. Tra alti e bassi si è protratto per molto tempo ed ha spinto l’economia ad andare avanti più facilmente rispetto agli anni precedenti, come dire “senza troppi pensieri”. Qualsiasi cosa, infatti, si mettesse in cantiere andava per lo più a “gonfie vele”. Ne è esempio il fatto che, in molte città, i negozi, che, negli anni precedenti, come ho già detto, erano sempre aperti, furono obbligati a stare chiusi non solo la domenica ma anche il lunedì mattina e chi non ottemperava all’ordinanza comunale rischiava la multa e la chiusura forzata in un altro giorno della settimana! Le città a ferragosto si spopolavano tant’è che qualche sindaco obbligava un certo numero di esercenti a rimanere aperti per approvvigionare chi non poteva andare in vacanza. In quegli anni fiorirono nuove attività che prima non esistevano e progredirono, se si adeguavano ai tempi e/o se utilizzavano nuove tecnologie, anche quelle che, se già esistevano, erano state poco remunerative; poche furono quelle che diminuirono il loro guadagno o scomparvero del tutto. Ricordo: aumento vertiginoso e in poco tempo dei prezzi; chi aveva la possibilità comprava a 2 e dopo un po’ di tempo rivendeva a 4 o a 6 o a 8. Ovviamente niente saldi, anzi, ad esempio, ricordo che se si prenotava un’automobile e se questa arrivava dopo molti mesi, bisognava pagare la differenza, per l’aumento che vi era stato in quel lasso di tempo. Maggiore circolazione di denaro e più facili guadagni rispetto agli anni precedenti e di conseguenza, oso dire, anche facile politica, facile amministrazione e/o amministrazione facile.
Oggi siamo tornati un pochino agli anni ’50. E infatti, a causa della scarsità di denaro, da una parte la gente è più oculata nello spendere, dall’altra i commercianti sono tornati a pensare alle strategie per attirare i clienti e così, tra l’altro, i negozi, come in quegli anni, sono di nuovo tornati a stare aperti anche di domenica. Oggi non è più possibile pensare che tutto sia facile e che basti mettere sul mercato un prodotto, sia pur bello e accattivante, per essere comprato da tutti e ad “occhi chiusi”. Pertanto, come avveniva nel passato e prendendo esempi da esso, chi offre il prodotto deve lungamente pensare al come e al quando, sperando che il suo prodotto sia apprezzato, se non tutto almeno in parte.
Orbene, a mio avviso, siccome Ponza è di per sé tutta un’azienda aperta e collettiva, coloro che la gestiscono (gli abitanti) non possono più pensare di vendere il loro sia pur ottimo prodotto cosi come si presenta e a tutti, ma devono, sinergicamente e coralmente, unire le forze, fare una o più scelte anche se difficili e forse incerte nel risultato (un po’ come quando quelli che emigravano andavano incontro ad un incerto destino) e offrire il prodotto in una nuova confezione in cui un nuovo contenuto si mescoli al vecchio di per sé già ottimo.
A seguire una serie di vecchie foto dell’epoca (cliccare sull’immagine per ingrandirla)
vincenzo
21 Gennaio 2013 at 17:54
Caro Pasquale, non è la prima volta per fortuna che cerchi di illuminare la nostra esistenza dicendo che un po’ di conoscenza del passato non fa male anzi “se letta bene la storia può aiutare a non commettere gli stessi errori”. Ricordo una favola che hai raccontato a Martina che parlava di un re che viveva arroccato su una montagna che terminava così: “Un giorno il re, pensieroso, mentre passeggiava nervosamente sui camminamenti del castello, arrivò sull’altro versante e, allungando lo sguardo giù, sui costoni di roccia, scorse la vecchia strada polverosa, inondata di sole, dove, però, non transitava quasi più nessuno. Notò che, nonostante gli anni e l’incuria, era ancora efficiente perché il materiale adoperato dai suoi antenati era buono e solido anche se un po’ sciupato a causa del tempo. Maledisse gli ingegneri e coloro ai quali era stata appaltata la costruzione della nuova arteria, bella ma fragile, e subito chiamò nuovi ingegneri e maestranze affinché rimettessero in sesto la nuova strada adoperando, dove possibile, gli antichi materiali da costruzione”.
Morale della favola: “Meglio la via vecchia che la nuova!”.
In questo articolo ci fai riflette sottolineando il concetto: “Ciò che, a mio avviso, è inconfutabile è che la storia insegna nel bene e purtroppo anche nel male”. Ma poi aggiungi che: “Le responsabilità vanno equamente suddivise e condivise”. Per poi terminare: “Orbene, a mio avviso, siccome Ponza è di per sé tutta un’azienda aperta e collettiva, coloro che la gestiscono (gli abitanti) non possono più pensare di vendere il loro sia pur ottimo prodotto cosi come si presenta e a tutti, ma devono, sinergicamente e coralmente, unire le forze, fare una o più scelte anche se difficili e forse incerte nel risultato (un po’ come quando quelli che emigravano andavano incontro ad un incerto destino) e offrire il prodotto in una nuova confezione in cui un nuovo contenuto si mescoli al vecchio di per sé già ottimo”.
Morale: “E’ il momento di fare delle scelte irreversibili – per dirla alla Franco De Luca”- ma dovete farle insieme, condividerle”.
Non sono d’accordo quando dici: “fare delle scelte anche se difficili e forse incerte nel risultato” – gli emigranti partivano dalla fame e avevano una speranza di riscatto – la situazione qui è difficile ma non sta a questi livelli.
Grillo chiudendo la campagna elettorale di Sicilia ha detto: “Votate i ragazzi di 5 stelle perché è meglio un salto nel buio che un suicidio assistito”.
Io al contrario penso che le soluzioni ci sono, che queste devono essere condivise, ma più sono razionali più saranno condivise!