di Lino Catello Pagano
Quante volte abbiamo fatto dispetti a Gennarino, quando si addormentava davanti al bar Panoramica: si metteva appoggiato al muro, si addormentava con la bocca aperta, russava e noi, piccole pesti, partivamo all’attacco: eravamo in tanti, una marmaglia di ragazzini; ora tutti ormai vecchi sessantenni e passa.
Il povero Gennarino si è addormentato con la testa penzoloni e uno di noi adocchia la pila di cartoni vuoti, fuori al negozio di alimentari di Luigino, proprio di fianco al bar; scegliamo il cartone giusto, uno che può contenere il testone di Gennarino, lo caliamo piano piano, senza sfiorarlo, lo facciamo aderire bene alle spalle – eh sì, prima lo abbiamo accuratamente sagomato! – e ci allontaniamo, fino a collocarci alla giusta distanza; uno di noi poi, gli si avvicina, e con un bastone urta le gambe della sedia. E qui viene il bello: Gennarino si scuote dal sonno, non si raccapezza, urla: – “Chigghiè… Che è state? …U Madonna mia… nun veche cchiù niénte!”
Poi si accorge del cartone e incomincia a sfilare il rosario: – “Chelle ’e mamme vost’ so tutte … e vui site figlie a ‘lloro”.
Ci diamo alla fuga perché ci prende a sassate, qualcuno interviene: – “Ma Gennarì, so’ guagliune’ …” – lui si infuria maggiormente: – “Pienze ai … tuoi, mo’ ci’u ffacce vede’ ie a ’sti quatt’ smurfiuse …’I mann’a casa cu ‘a capa rotta”. Noi, veloci come la luce, siamo già al porto.
Il Venerdì Santo era una giornata campale per gli adulti; noi ragazzi aiutavamo a preparare ‘u fucarazz’, portavamo le fascine dal grottone dietro la casa del dottore Martinelli alla spiaggia. C’era un intenso via vai, passavamo ripetutamente davanti casa di Gennarino – là dove ora abita Teresa Parisi, al piano terra vivevano i Feola, e Gennarino alloggiava da loro.
Cialì, come lo chiamavano i vecchi, ci prometteva: – A vui v’aggia fa nuove nuove! …’Na passata ’i pulitura nun v’a leva nisciun’! – ma eravamo protetti dai ragazzi più grandi, che ci facevano scudo.
Quando era il momento della preparazione della statua della Madonna Addolorata, trasportata già di primo mattina in salita Scarpellini a casa di Ersilia Parisi, Cialì usciva di casa tutto vestito di nero, con guanti e velo di pizzo, al collo il candido collare della congrega dell’Addolorata, le braccia cariche di calle: si avviava per tempo, doveva arrivare sino agli Scarpellini! Toccava a lui reggere lo stendardo della congrega, composta da sole femmine; toccava a lui portare la croce di legno con l’effigie della Madonna trafitta da spade: – Aggia fa tutt’e cose io: ie cante, ie port’a croce… – fingeva di lagnarsi.
All’ora della processione noi ragazzini eravamo in fila con Gesù Morto, mentre le femmine erano con l’Addolorata: due processioni distinte, una composta da soli uomini, l’altra esclusivamente femminile, con Gennarino in testa. Si aspettava il buio, poi ci si avviava per strada con i moccolotti accesi; don Luigi Dies ci faceva cantare la Passione del Signore fino alla fine, poi scendeva il silenzio, si pregava a voce alta; noi maschi, partiti dalla Chiesa, percorrevamo il Corso, la Punta Bianca, fino a Sant’Antonio, dove ci sarebbe stato l’incontro tra Gesù e la Madonna; andavamo piano, per dare il tempo all’altra processione di arrivare in sincronia, ma di strada l’Addolorata e le sue accompagnatrici dovevano farne parecchia … dagli Scarpellini al Canalone, poi la piazzetta Dragonara, la discesa ripida di via Chiaia di Luna, la Panoramica e, finalmente, Sant’Antonio; lungo il percorso erano appostate le vedette, da cui dipendeva l’arrivo sincrono delle due processioni; da lontano sentivamo la voce di Gennarino, che cantava a squarciagola la Passione del Signore, I-dolori-di-Maria diventavano I-dolori-anche-i-miei, don Luigi appena lo vedeva da lontano gli diceva – Gennariiiii..! – allora lui cantava le parole giuste, ma tutto stonato, la povera Ersilia Parisi sa solo lei quanto doveva combattere per tenerlo a bada.
Ai funerali Gennarino aveva il ruolo della ‘prefica’; il suo pianto sovrastava quello dei familiari, la partecipazione al dolore era autentica; Monsignore Dies in Chiesa continuamente lo riprendeva per il suo cantare in falsetto e stonato, con vocione da baritono.
In fondo questa era Ponza; questo è Ponza racconta; anche questo serve, per non dimenticare cosa eravamo e dove siamo arrivati.
Da parte mia – e penso di esprimere il pensiero di tutti i ragazzini pestiferi che eravamo – voglio ringraziare Gennarino per esserci stato…
Il Buon Dio ti terrà nel suo coro, questa volta non stonando ma con voce chiara, forte e intonata.
Ciao, Cialì