segnalato dalla Redazione; dalla presentazione su la Repubblica
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Mentre sosteniamo papa Francesco nella sua battaglia tutta umana contro la malattia, presentiamo un libro delle sue poesie preferite del curatore Antonio Spadaro
Il saggio
La poesia secondo Francesco
di Antonio Spadaro – Da la Repubblica del 4 marzo 2025
I versi letti con i suoi studenti quando era ancora insegnante di scrittura creativa in Argentina. E quelli citati durante l’Angelus Un libro racconta con testimonianze dirette le passioni letterarie del Papa. E il suo rapporto con l’arte come forza ispiratrice
– Durante un’omelia riprese le parole del Matto a Gelsomina nel film “La strada” di Fellini
– Ha detto, rifacendosi a Italo Calvino: “Le città come i sogni sono costruite di desideri e paure”
«Viva la poesia!». Così Francesco di suo pugno ha scritto in un biglietto. Mi è stato recapitato il giorno dopo che gli avevo parlato del libro nel quale ho provato a raccogliere ciò che da Papa ha scritto (lettere, prefazioni, discorsi, qualunque forma…) sulla poesia e la letteratura. Ho trovato così subito anche il titolo del libro, pubblicato oggi da Ares. Viva la poesia!, appunto.
Nel corso degli anni mi sono trovato varie volte a parlare con lui di versi e romanzi. Una volta prese dalla piccola biblioteca della sua stanza un bel volume Einaudi e mi recitò, un po’ leggendo e un po’ a memoria, una poesia di Nino Costa. In piemontese. E i suoi occhi cercavano la mia approvazione, che io non potevo dargli perché non capivo la lingua.
Avevo compreso la sua familiarità con la poesia sin dalla prima intervista che gli feci nel 2013, a tre mesi dalla sua elezione, per la rivista della quale allora ero direttore, La Civiltà Cattolica. Francesco mi stava spiegando che cos’è per lui la speranza. Ma non ha usato un ragionamento astratto. Cominciò a parlarmi del primo indovinello della Turandot di Puccini. Mi ricordo che rimasi spiazzato. Non ero neanche sicuro di aver capito bene, e gli chiesi di ripetere quel che aveva appena iniziato a dire. E lui scandì: Tu-ran-dot!
Mi chiese di ricordare i versi di quell’enigma della principessa: «Nella cupa notte vola un fantasma iridescente. / Sale e spiega l’ale / sulla nera infinita umanità. / Tutto il mondo l’invoca / e tutto il mondo l’implora. / Ma il fantasma sparisce con l’aurora / per rinascere nel cuore. / Ed ogni notte nasce / ed ogni giorno muore!». Che cos’è?
La speranza, appunto, che qui però è fantasma iridescente e che sparisce con l’aurora. Proseguì Francesco: «Ecco, la speranza cristiana non è un fantasma e non inganna. Dio è tutto promessa». Voleva dirmi che la speranza è una forza potente e silenziosa che ci chiama a immaginare un futuro migliore. Non è ottimismo, che è un atteggiamento psicologico, ma una forma di conoscenza che l’arte sa esprimere. E quante volte ha citato poesia e cinema nel discorso, senza aprire e chiudere virgolette! Per Bergoglio la poesia è parte integrante della vita e del discorso sulla vita, ma anche del suo compito di pastore. Non è un mondo a parte, colto, dotto, aulico, separato, insomma.
Un esempio? Il bollettino della Sala Stampa era stato chiaro per la Pasqua 2017: «Il Papa non tiene l’omelia poiché alla Messa fa seguito la Benedizione “Urbi et Orbi” con il Messaggio pasquale». Francesco però alla fine della lettura del Vangelo è rimasto in piedi, e ha cominciato a dire a braccio: «E anche noi, sassolini per terra, in questa terra di dolore, di tragedie, con la fede nel Cristo Risorto abbiamo un senso, in mezzo a tante calamità… Tu, sassolino, hai un senso nella vita…». E proseguì sviluppando l’immagine. Non c’erano dubbi, e fu lo stesso pontefice a confermarmelo al telefono quello stesso pomeriggio: «è la filosofia del sassolino»! Quella professata dal Matto che si rivolge a Gelsomina ne La strada di Fellini. La poesia felliniana era diventata il messaggio pasquale di Francesco per quell’anno.
Una delle peculiarità del suo pontificato è proprio quella di dare al logos poetico una valenza magisteriale. Francesco non ha citato poesia e letteratura qua e là, ma l’ha pienamente integrata nel suo discorso. Pensiamo anche solamente all’esortazione apostolica Querida Amazonia, che assume e fa propria l’opera di 17 poeti – noti e indigeni – nel suo sviluppo.
Senza immaginazione non siamo capaci di cambiare il mondo, questo è il punto. E la poesia ha sempre rappresentato una forma di resistenza e di rinascita. La creatività per Francesco – lo ha ripetuto molte volte agli educatori quando era arcivescovo di Buenos Aires – è la caratteristica di una speranza in azione. Da qui una proposta chiara, netta, precisa, impegnativa che lui fa nel suo biglietto autografo per salutare il libro Viva la poesia!: «Mi piacerebbe tanto che la poesia salisse in cattedra nelle nostre università!». Spetterà alle autorità accademiche delle università pontificie e cattoliche dare adesso una forma adeguata a questo desiderio. L’obiettivo? Lo ritrovo in una cosa che mi disse nel 2013: «la Chiesa dovrebbe tendere alla genialità, non alla decadenza».
In particolare, Francesco conferisce all’arte una responsabilità sulla nostra storia, sulle vicende del mondo. E, d’altra parte, a coloro che si impegnano nel mondo per una società più giusta è riconosciuta una creatività che li rende poeti, «poeti sociali» lui dice. La speranza che l’arte ci dona non è passiva: ci invita all’azione, a trasformare il mondo con il nostro impegno. Molto ci sarebbe da dire sulla forza politica dell’immaginazione artistica, che vive di una naturale profezia e diventa una missione. In particolare, è negli incontri tra Francesco e Martin Scorsese che ho avvertito il senso di questa «missione», che ha come base la loro comune passione per Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, che nel regista ha generato un capolavoro come Taxi Driver e nel Papa ha sostenuto la sua passione per gli scartati. L’arte con il suo potere di ispirare, di denunciare, di costruire, è una forza profonda per il cambiamento, invita alla solidarietà e all’azione concreta: per la salvaguardia del creato, per il bene comune, per la giustizia. La speranza è creativa, e genera il gesto artistico: è una forza che ci chiama a immaginare ciò che ancora non esiste, a trasfigurare l’esistente, a vivere nel costante movimento verso ciò che è possibile. Sono gli artisti ad avere «la capacità di sognare nuove versioni del mondo», «la capacità d’introdurre novità nella storia».
Così avviene nella descrizione della città di Filadelfia nel romanzo Adán Buenosayres di Leopoldo Marechal, che il Papa ama moltissimo. Quest’opera fantasmagorica, che viaggia a cavallo tra epopea e satira, tra romanzo sociale e di costume, ci descrive una moltitudine pacifica e felice che percorre le strade di Filadelfia: «il cieco vedrà la luce, chi negò affermerà ciò che ha negato, l’esiliato calcherà il suolo natio, e il dannato sarà infine redento…». Come tra i fiori regna la rosa, così la «città dei fratelli» regnerà fra le metropoli del mondo, scrive Marechal. La città è la patria di tutti coloro che la vivono nelle loro differenze e nei loro incroci. Come non vedere in questo romanzo le radici dell’Enciclica Fratelli tutti?
Questo senso per la poesia, Francesco – il primo Papa della storia a essere nato in una vera metropoli – lo trova anche nel caos urbano. L’architettura e l’urbanistica condividono la capacità di reinventare gli spazi e il modo in cui viviamo. In un suo discorso alle Pontificie Accademie, il Papa ha citato Italo Calvino: «le città, come i sogni, sono costruite di desideri e di paure». Francesco, da arcivescovo di Buenos Aires, ha fatto spesso riferimento alle architetture urbane, distinguendo «città» e «anti-città». La speranza consiste nell’opportunità di riconoscere il volto degli altri strappando lo spazio al buco dei «non luoghi» e della noia dell’architettura seriale, segno dello scarto, dell’abbandono, del rifiuto. A tal punto che il pontefice è convito che l’arte stessa sia una peculiare città, che cioè rivesta «lo statuto di “città rifugio”, un’entità che disobbedisce al regime di violenza e discriminazione per creare forme di appartenenza umana capaci di riconoscere, includere, proteggere, abbracciare tutti. Tutti, a cominciare dagli ultimi».
La creatività ovviamente non elimina le tensioni, ma le trasforma. Agli artisti, nella sua omelia giubilare, Francesco ha citato il poeta inglese Gerard Manley Hopkins: il poeta più gesuita, il gesuita più poeta. Scrisse una poesia dal titolo L’eco di piombo e l’eco d’oro (1879). Li sentiva entrambe. Noi possiamo avere un’idea delle loro sonorità vocali, distintamente rap ante-litteram, se ascoltiamo in rete i suoi versi recitati dalla voce di Dylan Thomas. L’artista – scrive il pontefice – «è sensibile a queste risonanze e, con la sua opera, compie un discernimento e aiuta gli altri a discernere tra i differenti echi delle vicende di questo mondo», valutando pure «se sono canti di sirene che seducono oppure richiami della nostra umanità più vera».
Il ventottenne Bergoglio, professore di lettere e di scrittura creativa a Santa Fe con la complicità di Jorge Luis Borges, faceva leggere questi versi ai suoi studenti di liceo, prima di sostenere col preside la loro voglia di costituire una banda rock.
In Viva la poesia! un suo alunno racconta la storia. Era l’epoca dei Beatles. La band si chiamò The Shouters, gli urlatori, e uno di loro è ora compositore e performer in Germania. Vari alunni di Bergoglio si sono fatti strada nel campo creativo. Uno di loro, chef rinomato negli Stati Uniti, mi ha detto: «Io lo ringrazio perché ha fatto di me un uomo libero».
È, insomma, nell’apparente caos delle emozioni, nei contrasti della vita, che la poesia trova il suo linguaggio. È in questo spazio di tensione, di «opposizioni polari» – come le chiamava Romano Guardini –, che nascono le opere più grandi, capaci di illuminare l’oscurità e di farci credere, ancora una volta, che un nuovo giorno è possibile, che la speranza non è un’utopia. L’armonia è fondamentale, ma non significa stasi, monotonia, appiattimento, pensiero unico: vive di contrasti e tensioni, ed è sempre debordante (debordar è uno dei verbi spagnoli preferiti da Francesco), ci spinge oltre. L’arte ha la capacità di abbracciare la fragilità dell’essere umano, e gli artisti ce lo ricordano con la loro capacità di indagare le ombre. Per questo mai «nessun algoritmo potrà sostituire la poesia», scrive Francesco, che quest’anno ha scritto una “Lettera sulla letteratura”, e ha pure indirizzato una “Lettera ai poeti”.
Ma pure legge le nostre speranze e le nostre paure, e le trasforma in immagini che parlano direttamente al nostro desiderio.
Come il giovane Jorge Mario Bergoglio scrisse nella prefazione a un libro di poesie di un suo confratello gesuita, Osvaldo Pol: il gesto poetico «ha dimore di carne nel cuore dell’uomo e – al tempo stesso – sente il peso di ali che ancora non hanno spiccato il volo». Viva la poesia!
[Di Antonio Spadaro – Da la Repubblica del 4 marzo 2025]
La copertina de la Repubblica. Studiare la bellezza – Libri e strumenti musicali di Jan Vermeulen (1638-74), olio su tela del XVII secolo, conservato al Museo delle Belle arti di Nantes, Francia
La lettera scritta dal Papa ad Antonio Spadaro, che ha curato il volume Viva la poesia!;
Un ritratto del pontefice
