di Chiara Alena
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Si entra attraverso un grande arco di pietra. Dentro, la luce si fa più debole, filtrando a fatica dalle fessure del tetto. E’ il mercato locale del Mellah, quartiere ebraico di Marrakech, frequentato soprattutto da chi vive qui, e lontano dai souk più turistici.
Come prima cosa, si sentono gli odori. Un inizio sgradevole, con un sentore di pollame, paglia calpestata e piume. Ma nell’aria si sovrappongono anche aromi esotici di spezie, di menta fresca, e di pane appena sfornato.
Il banco delle spezie è un mosaico di colori. Da ogni cesto si innalza un cono perfetto di polvere profumata. C’è il giallo intenso della curcuma, il rosso scuro della paprika affumicata, il marrone della cannella. L’essenza più forte è quella del cumino, che si fonde con quella più dolce della miscela di tè con cardamomo, anice e chiodi di garofano. Il venditore lavora con una bilancia a due piatti dall’aspetto antico, posando la polvere colorata su un piatto e aggiungendo piccoli pesi di metallo sull’altro, fino a che non arrivano in equilibrio. Poi raccoglie la spezia, la infila in un sacchetto di plastica e lo richiude con un rapido gesto.
Accanto alle spezie, da grandi ciotole di terracotta si innalzano montagne di olive. Verdi, nere, violette, alcune condite con foglie di coriandolo fresco, aglio e peperoncino, e coperte da un filo d’olio.
Poco più in là, delle galline visibilmente nervose attendono il loro destino. Quando il cliente ha scelto la sua gallina, il macellaio la afferra dalle zampe. Per un istante, i loro sguardi si incrociano: gli occhi scuri dell’uomo, abituati a quel gesto quotidiano, e quelli lucidi dell’animale, spalancati e muti, come se in quell’attimo avesse capito. Poi il macellaio sparisce dietro una tenda logora, si sente un inutile battito di ali e poi più nulla. Cade solo una piuma, che scivola lentamente sul pavimento.
Il chiosco del macellaio di polli
Di fronte al macellaio, degli abili pasticceri affondano le mani in un impasto bianco ed elastico, estraendone una palla irregolare, e la stendono su una piastra calda in sfoglia molto sottile. Dopo pochi secondi, quando assume un colore dorato, la tolgono dalla piastra, ammucchiandola su una pila di pasta già pronta. Questa sfoglia – che altro non che la famosa pasta-fillo, di cui non avevamo mai visto la lavorazione – finirà presto nelle mani di qualche cuoca, che la riempirà di verdure o carne, o anche di cioccolato fuso e scaglie di mandorla, nella versione dolce.
La lavorazione della pasta-fillo
Intanto Aisha si fa largo con passo deciso tra i banchi di frutta e verdura, cercando gli ingredienti per il cous cous del venerdì. Con occhio esperto, prende tra le mani una zucca e la soppesa, valutando se si può sciogliere bene nel brodo. Poi passa ai pomodori, che mette nel suo cesto di vimini, assieme a piccole patate e carote robuste. Senza esitazione, sceglie un mazzo di coriandolo fresco, lo passa al venditore, e con poche parole si accorda sul prezzo del suo cesto di verdure.
Quando si allontana, con il suo foulard avvolto sul capo, il cesto pesante su un braccio, il suo pensiero è già rivolto alla cucina. Non servono ricette scritte o misure precise, solo mani esperte, conoscenze tramandate di madre in figlia, e il tempo giusto per lasciare amalgamare i sapori. La sua giornata comincia ora, mentre esce dall’arco di pietra e si avvia verso casa.
