Racconti

Viaggio in Marocco (9). Un thè nel deserto

di Sandro Russo

Diciamo pure che non avevo conoscenza alcuna del Marocco prima di questo viaggio; anzi avevo deciso di ignorare i luoghi comuni e i consigli che mi avevano dato prima di partire; come di non coltivare alcun genere di aspettativa (leggi qui).
Buona decisione perché poi il posto ti pervade e se guardi, chiedi, ascolti, ogni cosa prende significato.


Come quei monti pieni di neve visti all’arrivo, dall’aereo: la mitica – nella mia fantasia – catena dell’Atlante, simbolo di tutti i viaggi mai fatti.
Non riuscirò a farlo neanche questa volta, ma almeno andrò a vederlo più da vicino, quasi alla base dei contrafforti montuosi, viaggiando fuori da Marrakesh per oltre un’ora in van, in direzione di Agafay, con tutto il gruppo. C’è stato già detto che non saranno vere dune di sabbia del deserto quelle che vedremo, ma dune di pietrisco, brulle e inospitali, fino ad un insediamento turistico “in mezzo al nulla”: un cosiddetto campo tendato; istallazioni che hanno avuto un bell’impulso dopo che Madonna, la diva, ha deciso di festeggiare in un posto così il suo 60° compleanno (nel 2018, ante-Covid).

E si va… attraversando l’interminabile estensione suburbana di Marrakesh fino a che le case non si fanno più rade lasciando il posto a distese di oliveti, evidentemente piantati dall’uomo ma lasciati abbastanza incolti e non potati… Sempre più scarsi segni di presenza umana, poi quasi più niente. Arriveremo tra le dune poco prima del tramonto, questa la promessa di Antonella, la nostra guida e pratica locale. L’altra sorpresa, almeno per molti di noi, è che conosceremo suo marito Mustapha, nato e vissuto in Marocco, sposato tre anni fa e con cui lavora in sinergia, nel settore dell’accoglienza turistica e dei viaggi intorno a Marrakesh.
Da lui, o da loro due, intervistati discretamente dal nostro guru Claudio impariamo molte cose della gente e di un paese che almeno io ignoravo completamente; altri del gruppo ne sanno parecchio di più, anche per parentele con gente di qui.


La catena montuosa dell’Atlante è una catena montuosa dell’Africa nord-occidentale, composta da diverse dorsali montuose, che si estende per circa 2.500 km tra Marocco, Algeria e Tunisia.

Il Màghreb, anche italianizzato in Màgreb (al-Màghrib, “luogo del tramonto”; in berbero: Tamazɣa),  costituisce l’area geografica e culturale dell’Africa nord-occidentale o più precisamente dell’Africa settentrionale ad ovest dell’Egitto che si affaccia sul mar Mediterraneo e sull’oceano Atlantico. Originariamente, l’espressione riguardava la fascia di terra tra la catena montuosa dell’Atlante e il mar Mediterraneo (nord della Tunisia, dell’Algeria e del Marocco).
In senso più ampio, oltre ad estendersi appunto tra Marocco, Algeria e Tunisia, comprende anche Libia e Mauritania, mentre in senso più ristretto il solo Marocco.

Scendiamo dal van frastornati dal viaggio che nell’ultimo tratto è stato quasi un percorso da fuoristrada, su una strada in terra battuta attraversata dai solchi scavati dalle ultime piogge: qui sono rare, ma violente.

Abbiamo oltrepassato, lungo il percorso alcune costruzioni, capannoni per lo più, adibiti a deposito di mezzi fuoristrada tipo Dune-buggy e Quad, le versioni aggiornate e adattate al deserto dagli ATV (All Terrain Vehicle) prodotti negli anni sessanta e settanta, oltre a qualche accampamento/ricovero per dromedari, un tempo signori incontrastati di queste zone, ora molto di meno

Deserto di Agafay, dromedari e dune buggy

Nell’aria frizzantina ci inoltriamo in un mondo a me sconosciuto, quello del campo tendato, che è un villaggio turistico adattato al deserto, un’idea nuova solo per me che sono allergico ai villaggi turistici fin dai tempi delle Maldive: leggi qui.
Che ha un suo fascino, devo ammettere. Un campo dice Antonella, in espansione… Lei stessa è meravigliata, per le unità abitative che lei ricordava in numero di sette, dopo un anno le trova raddoppiate.

Il paesaggio in avvicinamento alla nostra meta; sulla destra la collina sede del campo tendato



L’orchestrina di quattro elementi che fa musica locale con  il guembri (una specie di chitarra basso) e percussioni

Si assiste al tramonto in silenzio, in una breve pausa concessa dal complessino.
Per la cena ci si accomoda nell’ampio padiglione, anch’esso tendato) che funge da ristorante: qui tutto è enorme, fuori misura. È scesa la notte e i suonatori si sono trasferiti all’interno.
Portano da mangiare. Piatti della cucina marocchina, immancabili tajine di verdure e di carne, e altre cose, tutte molto buone.
Quando è il momento di fare due chiacchiere i musicanti smettono di suonare e con un bel colloquio tra Mustapha e Claudio, ma anche con tutti noi che abbiamo domande e curiosità, si apre il sipario sul Marocco vero, delle persone e della vita vissuta.
E ho imparato tante cose, che prima misconoscevo completamente.

La popolazione marocchina è composta principalmente da due gruppi etno-linguistici: i berberi (1), maggioritari nelle zone montuose dell’Atlante, del Rif e nel deserto, e gli arabi, diffusi prevalentemente nelle zone pianeggianti e nelle grandi città. Insieme ad altri gruppi etnici (2). La componente arabofona si è costituita sia attraverso l’immigrazione di tribù arabe nel corso del basso medioevo, che attraverso l’arabizzazione delle tribù berbere delle regioni pianeggianti (mappe e informazioni di base da Wikipedia, ma ricontrollate con esperti locali)
Ci spiegano che la dizione“berbero” è un calco del vocabolo francese berbère, a sua volta derivato dal termine greco-romano “barbaro”, volto a designare chi non parlava il latino o il greco. Quindi tendenzialmente dispregiativo. Il nome più corretto per designare questa etnia è amazigh (non facile da pronunciare, io non l’ho capito subito: la “z” centrale è impastata tra “d” e “g”, mentre il “gh” finale è pressoché muto. Suona come amadgì), che nella loro lingua significa “uomini liberi”.

Erano fondamentalmente i popoli nomadi del deserto – e di qui si capisce l’idea di libertà. Poi sovrastati da una predominante presenza di arabi che hanno imposto la loro religione, l’Islam. Ma la gente mantiene una certa libertà di pensiero – in profondità coltivano una sorta di animismo – e vengono osservati il Ramadan e le altre regole religiose, “per rispetto ai propri padri” ma anche perché, essendo religione di Stato viene imposta forzatamente. Come pure, ci viene detto, la casa regnante ha tra i suoi membri sempre un/una appartenente a una delle due etnie, araba e amazigh.

É stato interessante conoscere alcune tradizioni di questa gente e dell’impatto con la modernità, come quando per alcuni di loro è venuto il momento di sostituire il tradizionale dromedario con una moderna jeep o come una famiglia di tradizione amazigh abbia potuto accettare il matrimonio di un figlio con una straniera (leggi qui: Viaggio in Marocco (7) Storia di Antonella.

C’è orgoglio di appartenere all’etnia amazigh. di cui viene descritta la bandiera, che si compone di tre colori: blu, verde e giallo a bande orizzontali della stessa altezza, e la lettera  (Yaz o AZA): Il blu rappresenta il Mar Mediterraneo e l’Oceano Atlantico; il verde rappresenta il Bled, l’ampia fascia di territorio coltivabile e le montagne verdi; il giallo rappresenta la sabbia del deserto del Sahara.

Ed è stata emblematica la risposta fornita dal nostro ospite alla acuta domanda di Claudio, di definire la sua appartenenza.
Egli si sente, nell’ordine, amazigh, poi marocchino, poi africano. E quando parla in amazigh può capire anche altri Amazigh, sia del Marocco che dell’Algeria o altro. Infatti la lingua amazigh non è unica, è diversa da luogo a luogo, ma ha radici comuni. Così g
rande è la forza delle radici etniche e culturali comuni, tra i popoli nomadi o ex nomadi.
Era palpabile tra tutti noi che ascoltavano, la simpatia per questo popolo “di uomini liberi” e a tratti sembravano irrompere nel grande padiglione i grandi orizzonti e il vento caldo del deserto che portava un po’ di sabbia con sé… una suggestiva immersione in un mondo sconosciuto!
Sfiderei Madonna ad aver avuto un’esperienza altrettanto bella, per la sua festa di compleanno nel deserto!

Note (a cura della Redazione da Wikipedia)

(1) – I berberi (in berbero ⵉⵎⴰⵣⵉⵖⵏ, Imaziɣen) costituiscono un gruppo etnico autoctono dell’odierno Maghreb. Preferiscono essere denominati amazigh. Comprendono quelle popolazioni tradizionalmente di lingua amazigh che non sono state arabizzate e rappresentano una vasta minoranza delle popolazioni di Marocco e Algeria. Minoranze amazigh sono distribuite anche in Libia, Tunisia, nell’oasi di Siwa in Egitto e in Mauritania. Sottogruppo berbero sono i tuareg, distribuiti in Algeria, Libia, Mali, Niger e Burkina Faso. Berberi erano anche i guanci delle isole Canarie.

(2) – Oltre ai due gruppi etno-lingistici maggiori, gli arabi e i berberi troviamo nelle zone sahariane del Paese si trovano i sahrawi. Nelle città imperiali marocchine e nelle città costiere del nord (in particolare a Fès, Meknès, Rabat, Salé, Chefchaouen, Tangeri e Tétouan) si trovano i discendenti dei moriscos di Spagna. È presente una consistente minoranza ebraica, la più numerosa del mondo arabo. La comunità ebraica, tradizionalmente a maggioranza arabofona, comprende minoranze di ebrei berberi e di sefarditi. Nel paese sono inoltre presenti popolazioni nere originarie dell’Africa subsahariana, tra le quali i gnawa e i haratin, discendenti degli schiavi neri deportati in Marocco nei secoli passati.

Immagine di copertina: Dromedari a riposo, di Marco Muratore

Un ringraziamento ad Antonella Deiana per la disponibilità a rivedere il testo alla luce della sua conoscenza del paese.

 

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top