di Brunella Borsari
Marrakech, piazza Jemaa El Fna
Dalla affollatissima terrazza del Cafè France vivo la suggestione forte di un tramonto rosa, nella grande piazza rosa, nel cuore della città rosa: non è un luogo comune, è davvero una cromia dominante che diventa dorata con i raggi del sole che scende.
Arriva rapidamente l’oscurità e ci dirigiamo verso il lato opposto della piazza, dove sono allestiti dei “ristoranti” all’aperto, ciascuno contrassegnato da un numero. Hanno tavoli e panche per i clienti che possono sedersi e cenare, a prezzi modici.
Mi ricorda un po’ le nostre Feste dell’Unità…
Ci aspetta Aisha, una signora marocchina che gestisce il ristorante numero uno: Antonella ci ha mangiato tante volte, c’è da fidarsi sia per qualità che per igiene. E poi, Aisha è l’unica donna in tutta la piazza ad avere il suo ristorante, tutti gli altri sono uomini: bisogna sostenerla, assolutamente!
Il banco da esposizione di Aisha e (sotto) il posto per cuocere, dietro al banco
Ci accomodiamo, è freddo ma l’esperienza della cena in piazza è imperdibile. C’è un’atmosfera di festa, per gli abitanti di Marrakech la piazza è il principale centro di aggregazione, si mangia, si fa musica, ci sono spettacoli con giocolieri e saltimbanchi, le donne che fanno i tatuaggi con l’hennè, i banchetti di frutta e di bibite.
Aspettiamo che arrivi il cibo, il servizio non è proprio impeccabile ma non importa, siamo felici di essere lì, chiacchieriamo. E proprio a quel tavolo, forse in risposta a qualche domanda, Antonella ci racconta di sé.
Notte di capodanno 2011/2012. Insieme ad alcune amiche, Antonella è in vacanza in Marocco, e si trova in un campo tendato, a Merzuga, nel deserto.
Ci sono altri turisti con i loro driver, che hanno guidato le jeep attraverso il deserto. Uno di loro indossa un turbante, ed ha occhi bellissimi: Antonella appena lo vede pensa fra sé “…Ma quanto è figo!”.
Fra di loro qualcosa scatta, quella notte fra le dune, e qualche giorno dopo si ritrovano a Marrakech, stanno insieme fino alla partenza di lei.
Lui è un ragazzo giovane. È un amazigh, un figlio del deserto. Una volta gli amazigh, che noi occidentali chiamiamo berberi, con una sfumatura vagamente dispregiativa, erano nomadi, ora non più, ma rimangono fortemente radicati e orgogliosi della loro cultura e della loro tradizione. Hanno il culto della famiglia, ma al tempo stesso sono aperti nei confronti degli stranieri.
Lei è una donna adulta. E’ sarda, trapiantata con la famiglia a Roma, dove ha vissuto e studiato, poi si è trasferita in Svizzera, prima a Lugano, successivamente a Neuchatel. È laureata in lingue, ha un ottimo lavoro in un grande gruppo di moda. Ha una vita definita, amicizie, carriera.
Però… mantiene i contatti con quel ragazzo in Marocco e torna a trovarlo, più volte. L’iniziale flirt diventa qualcosa di serio, si stabilisce una relazione a distanza, mentre entrambi continuano con le loro vite.
Le amiche la mettono in guardia: lui cercherà di approfittare di lei, per venire in Italia, le dicono.
Passano sette anni, in cui Antonella appena può fa avanti e indietro da Marrakech anche otto volte all’anno: a lui non è consentito di andare a trovarla, l’ambasciata italiana non gli concede il permesso, in nessun modo. Incurante dei suggerimenti delle amiche, gli presta del denaro, per l’acquisto di una vettura con cui portare in giro i turisti.
Quel ragazzo amazigh è un grande lavoratore e col tempo riesce ad ammortizzare l’investimento, ma quando è pronto a restituirle i soldi, lei non li vuole, anzi gli suggerisce di comprare un’altra auto, per ampliare il giro d’affari.
Lui riesce così a impiantare una vera e propria agenzia di tour attraverso il Marocco.
Poi accade che lei, per una serie di circostanze, si trovi in difficoltà sul lavoro. Vive momenti molto difficili, va in crisi, sta male, anche fisicamente. Non dev’essere stato facile affrontare tutto questo da sola, lontana dalla sua famiglia e dall’uomo che ormai ama.
Si interroga, cerca di capire quali possono essere le sue priorità, arrivata a quello snodo della sua vita. E prende la decisione: vuole dare una possibilità alla sua relazione, e investire su se stessa.
Nel 2019 parte e si trasferisce in Marocco.
Innamorata ma pragmatica, la prima cosa che fa è di cercarsi un lavoro: l’amore è meraviglioso, ma sempre meglio essere indipendenti! Gestisce un riad, all’interno della medina. Ma non fa in tempo a abituarsi ai ritmi e alla nuova vita che tutto cambia, ancora: arriva il Covid, il turismo si blocca.
Con il lookdown Antonella passa dalla relazione a distanza alla convivenza h24: la prova del fuoco… che a quanto pare viene superata brillantemente.
In quel periodo di confinamento elabora un progetto: creare un brand di borse realizzate da artigiani locali con la stoffa dei tappeti berberi.
Superata la pandemia riesce a realizzare la sua idea, sia con le vendite on line che aprendo un negozio in medina. Le sue borse sono coloratissime e molto curate, e lei è diventata un’imprenditrice! E poi, lavora nell’attività di tour con quello che ormai è diventato suo marito: alla fine, il matrimonio era la soluzione più logica, a tutela reciproca e per consentire a lui di viaggiare e venire in Italia, senza affrontare le forche caudine (e i dinieghi ) dell’ambasciata italiana.
Le amiche restano perplesse: troppe differenze fra loro, di cosa potrai parlare con lui? Le chiedono.
Antonella è sincera: la diversità culturale si avverte, certamente non può disquisire col marito sulla filosofia kantiana…
Ma fra di loro c’è molta sintonia sulle questioni di fondo, e sono felici insieme.
Lei apprezza i valori di lui, profondi e solidi. La dedizione al lavoro, la serietà nell’impegno, il culto della famiglia, la generosità, la disponibilità all’aiuto. Non a caso, nella sua attività ora fa lavorare tutti i suoi fratelli.
Mi viene spontaneo chiederle come hanno reagito le famiglie alla loro unione.
La mamma di Antonella, sarda, ormai anziana, le ha obbiettato: “…Ma così lontano te lo dovevi trovare il marito…?”.
I genitori di lui, che tuttora vivono a Merzuga, piccolo centro alle porte del deserto, si sono dichiarati felici se il loro figlio è felice: si rivelano più aperti e tolleranti di certe famiglie italiane!
Seduti al nostro tavolo, in piazza Jamaa El Fna
La nostra cena ormai è finita, ma seduti sulle panche col tavolo ancora ingombro di avanzi di verdure e spiedini, tutta la nostra attenzione rimane concentrata su Antonella, sulla sua storia, sulla sua energia e il suo coraggio, perché scegliere di cambiare è sempre un atto di coraggio.
Ci alziamo, salutiamo Aisha, che ci ha preparato un’ottima cena, e ci separiamo: noi ormai abbiamo imparato la strada per rientrare al riad, mentre Antonella va nella direzione opposta, a Gueliz. È un quartiere residenziale moderno, originariamente creato dai francesi durante il periodo del protettorato. Lei vive lì, in un appartamento con una bellissima terrazza, insieme a suo marito e due gatti: il suo personale angolo di mondo e di felicità.
Aprirsi e raccontare la propria storia è offrire un dono, concedere una parte di sé a chi ascolta.
Apprezzo e sono grata ad Antonella per questo regalo.
L’esposizione delle lampade marocchine a vetri colorati: tutto sulla stessa piazza
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