segnalato dalla Redazione, da la Repubblica
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Le idee
Le invenzioni della geografia di Trump
di Stefano Massini – da la Repubblica del 30 gennaio 2025
Google Maps si è adeguata, il Golfo del Messico porta già la variante trumpiana di Golfo d’America. E anche la vetta più alta dell’Alaska perde il nome nativo di Denali (“grande montagna”) e torna a intitolarsi a Will McKinley, curiosamente uno dei Presidenti più simili a Trump, passato alla storia come campione dei dazi e del protezionismo.
Mentre Elon Musk si lancia oltre e addirittura ribattezza il Canale della Manica alla memoria di George Washington.
Siamo quindi entrati in una nuova era della geografia, quella che plausibilmente vedrà ribattezzare mari e monti a seconda di chi siede ai piani alti, con somma gioia dei fabbricanti di mappamondi che ad ogni giro di giostra dovranno tenersi al passo del potere. Naturalmente immaginiamo che anche l’Italia stia per adeguarsi alla nuova moda, e possiamo anticiparne le epocali manovre, cominciando dal mar Tirreno che immediatamente muterà denominazione in mare di Roma, perché è inaccettabile conservare quell’aggettivo stantio di matrice greca, da loro coniato per definire gli etruschi, popolo di migranti (obbrobrio) arrivati da chissà dove. In attesa che gli storici chiariscano l’origine dei suddetti, meglio voltare pagina e spazzare via ogni imbarazzo, attribuendo al nuovo sovranismo il merito di intestare le nostre acque occidentali in omaggio all’urbe (Google Maps ne starebbe già prendendo atto in queste ore).
Analoga rivoluzione attende, sul modello trumpiano, il mare Adriatico che perderà quel nome assurdo affibbiato dagli egei, quando ancora la città di Adria ne segnava il confine settentrionale. In questo caso si sarebbe deciso di convergere su mare Dannunziano, come giusto tributo al Vate che amava quelle acque al punto di vantarsi d’esser nato su un brigantino in mezzo ai suoi flutti, poi scenario di tante eroiche gesta.
Inaccettabile poi sarebbe conservare il toponimo mar Ionio, memoria della mitologica Io che correva in lungo e in largo fra le sponde del Mediterraneo, e dunque si è deliberato di reintitolarlo mar d’Italia (chi se ne importa se ciò causerà malanimo al governo di Atene, in fondo anche il Messico ha dovuto rassegnarsi al colpo di scena di Donald).
Passiamo alle montagne, perché anche a queste latitudini ci sono orgogli innevati che i trumpiani nostrani non concepiscono restar privi di un marchio identitario. E sia. Il Monte Bianco sarà il primo, dacché è emerso che a dargli questo nome insulso non fu un italiano bensì un ginevrino, tale Pierre Martel che nel ’700 escogitò la trovata turistica di convertire in Mont-Blanc il Mont-Maudit così detto perché sterminava gli scalatori. Dovremmo noi tenerci un toponimo coniato Oltralpe per la nostra massima vetta? Fosse mai. È già pronto quindi il decreto per affiancare al colore bianco anche il rosso e il verde della bandiera nazionale, e insomma prepariamoci a contemplare dai cafè di Courmayeur il Monte Tricolore.
Scordiamo per sempre anche il Monte Cervino (che di nuovo segna l’ingerenza dei francesi, essendo stati loro a chiamarlo Cervin), per il quale tornerà il nome latino di Mons Silvanus, e quindi bentornato con commozione al Monte Silvano. Sempre a proposito di ritorni alle (nostre) origini, cambieranno nome anche moltissime città che tremendamente furono inquinate da culture extra-italiche, pertanto Aosta tornerà a chiamarsi Augusta, mentre Marsala perderà questo inammissibile tratto arabo (marsa Allah cioè porto di Allah) ripristinandosi nel nome antico di Lilibea.
Il magistero del nuovo presidente americano è quindi veramente abbagliante, e tutti i suoi devoti adepti non possono che emularne le gesta, cosicché non rimane altro se non dare notizia della telefonata infuocata con cui qualcuno da Roma avrebbe reclamato da Ajaccio l’annessione immediata all’Italia, sostenendo che la Corsica sia vitale per lo sviluppo e la grandezza del Belpaese. E se si pensa che sia una sortita goliardica, si dovrà presto prendere atto che questo espansionismo da Risiko insieme alla rivoluzione toponomastica in atto sintetizzano invece la cifra distintiva di una nuova politica da rodeo, che ha eretto nel bullismo la sua disciplina e nei decibel il suo parametro. Intanto il fake si confonde con la realtà, e il carnevale sconfina nella cronaca, quindi la geografia può benissimo riscoprirsi materia di fantasia in cui sbizzarrirsi a creare toponimi come faceva Tolkien per la Terra di Mezzo o Martin per Westeros ed Essos.
Il leader intanto si declina in boss e in gradasso, incassando la ola del pubblico votante che si sente riscattato dalle proprie frustrazioni se gli inuit della Groenlandia saranno piegati ai nostri vessilli e i maledetti ispanici si sentiranno scippati della paternità di un golfo. È la tavola calda della gratificazione, è il self service dell’orgoglio, è la pista da bowling in cui fare strike e sentirsi per un attimo padroni del mondo.
[Stefano Massini da la Repubblica del 30 gennaio 2025]