proposto da Sandro Russo da un articolo su la Repubblica
“Un sito di malinconici e nostalgici” (1)… (anche) così siamo stati definiti dai detrattori – tanti ne abbiamo collezionato di etichette ed epiteti, nel corso degli anni! -. La recensione di un libro di recente pubblicazione inserisce questa tematica in un ambito conoscitivo e storico più ampio degli umori personali.
Una lettura imperdibile
S. R.
Le idee
Sopravvivere alla malinconia canaglia
di Roberto Esposito – Da la Repubblica del 29 gennaio 2024
Nell’era caotica, emergenziale e bellica in cui viviamo, torna d’attualità un sentimento tipico della modernità. Da affrontare a viso aperto
Cos’è la melanconia? Un tormento interiore, un dolore dell’anima, una chiusura in se stessi interrotta da momenti di mania e sfrenatezza? Secondo Paolo Godani, di cui esce da Feltrinelli Melanconia e fine del mondo, è tutto questo, ma anche molto di più. In essa non va cercata solo una psicopatologia individuale, ma la tonalità prevalente dell’epoca moderna nella sua configurazione sociale, storica e perfino metafisica. Essa nasce dalla sensazione — mai forte come in questi anni — di vivere in presenza di ciò che Ernesto De Martino ha chiamato “fine del mondo”. Naturalmente alludendo a una percezione, più che alla realtà — anche se echi apocalittici arrivano dal succedersi simultaneo di crisi pandemiche, ambientali, belliche.
Quello che ne risulta è un senso diffuso della caducità delle cose e di noi stessi, esposti come siamo alla frantumazione dell’esperienza e al dileguamento del senso che a lungo abbiamo attribuito al mondo.
Come e quando si è verificata la svolta? Già Freud legava i sentimenti del lutto e della melanconia, riconoscendone la relazione, ma anche la diversità. Entrambi lamentano una perdita. Ma mentre nel lutto l’oggetto perduto è circoscritto a qualcuno o a qualcosa di riconoscibile, nella malinconia è indefinibile. Con in più il senso di colpa per non aver saputo evitare la catastrofe simbolica che ha investito l’esistenza. Coinvolte in essa, le cose rischiano di smarrire nome, significato, connotazione.
A questa sottrazione Sartre riferiva la sensazione della nausea. In essa la vita sembra ridursi alla pura sopravvivenza. Mentre sfumano i contorni delle cose, i nostri stessi corpi ci appaiono involucri senza valore in cui siamo imprigionati. Secondo Foucault questo smarrimento risale alla fine dell’età classica, quando ancora parole e cose, realtà e pensiero, sembravano corrispondersi. Poi, dall’inizio dell’epoca moderna, abbiamo cominciato a disorientarci, a percepirci come atomi vaganti in un deserto senza confini. Sappiamo di essere corpi viventi, diversi dalla materia, ma proprio perciò promessi alla morte.
Come sostiene Aurelio Musi in Malinconia barocca (Neri Pozza), all’origine di questa scissione tra essere e apparire possiamo situare l’esperienza del barocco. Già in esso il sentimento della vita diventa inseparabile dall’istinto di morte. Ma perché il processo si compia, l’homo melancholicus deve combinarsi con l’homo oeconomicus. L’impoverimento dell’esperienza è inseparabile dalla generalizzazione del mercato e dal primo sviluppo tecnologico.
Baudelaire e Benjamin registrano questa connessione con un diverso grado di consapevolezza. Ma l’intera cultura moderna ne è coinvolta in una sindrome che, a partire da Nietzsche, prende il nome di nichilismo. Una volta che il senso della vita è andato perduto, ogni tentativo di riappropriarsene non fa che mettere in risalto la sua assenza. Godani insiste efficacemente su questo punto. Si sbaglia a contrapporre umanesimo e nichilismo, perché l’uno non è che la faccia in ombra dell’altro. L’imperativo metafisico a trascendere l’ordine naturale implica la sua svalutazione. L’insistenza con cui proclamiamo nuovi valori è la spia più evidente della loro definitiva mancanza.
Ma questa condizione melanconica — che sembra consegnarci a una finitezza senza rimedio — può essere affrontata in due maniere opposte. O consegnandosi a una religione della morte e all’esaltazione della guerra, come ha fatto la cultura fascista, da Benn a Céline. Oppure attraversando la soglia del nichilismo fino a uscire dall’altra parte. Si tratta, in questo caso, di abbandonare ogni fiducia in valori non più proponibili, senza per questo fare della distruzione e dell’autodistruzione il proprio progetto. Mentre la cultura fascista immagina di proteggersi dalla mortalità che ci assedia barricandosi in una corazza immunitaria, il melanconico “risanato” prende coscienza della propria finitezza, guardandola però da una prospettiva diversa. Che è quella della disattivazione dei miti dello sviluppo e del progresso e anche del disinvestimento delle pulsioni eccessive.
Come ci invita a fare Spinoza, e dopo di lui Musil con il richiamo al Regno Millenario, si tratta di rinunciare al nostro frenetico attivismo, per immergerci nella trama delle cose, fino a sentirci parte di esse. Già all’alba dell’epoca moderna, Caravaggio, Velázquez e Vermeer ci hanno insegnato a guardare all’essere umano come cosa tra le cose, senza attribuirgli alcun primato. Un atteggiamento allo stesso tempo estetico — farci puro occhio del mondo — e metafisico, volto a riconoscere un frammento di eternità nel fluire ininterrotto degli eventi.
Che in esso vi sia anche un risvolto politico, come Godani sostiene, mi sembra invece più problematico. A meno di non ritenere che perderci nel mondo, lasciandolo così com’è, rientri in una possibile definizione di politica.
Il libro, Feltrinelli; pagg. 224 euro 18
Immagine di copertina. L’opera Melencolia I, incisione di Albrecht Dürer (1514) (2), da cui è ritagliata l’immagine dell’articolo de la Repubblica
(1) – Sul sito si segnala un approfondimento sulla ‘Nostalgia’, categoria affine, ma distinta dalla malinconia, …, attraverso un’intervista di Serenella Iovino (ottobre 2024) a Glenn Albrecht, autore del libro Earth Emotions. New Words for a New World (Cornell University Press): « Nostalgia è la malinconia di chi è lontano da casa e non può tornare (nóstos in greco significa “ritorno”). La inventò nel 1766 uno studente di medicina alsaziano, Johannes Hofer, per descrivere la malattia che colpiva… (…) » – https://www.ponzaracconta.it/2024/10/10/nostalgia-solo-per-esperti/
(2) – Melencolia I o Melancholia I è un’incisione a bulino (23,9 x 18,9 cm) di Albrecht Dürer, siglata e datata al 1514 e conservata, tra i migliori esemplari esistenti, nella Staatliche Kunsthalle di Karlsruhe. L’opera, densa di riferimenti esoterici, tra cui il quadrato magico, è una delle incisioni più famose del norimberghese.
Ritrae una figura alata seduta con aria pensosa davanti a una costruzione di pietra circondata da strani oggetti, simboli appartenenti al mondo dell’alchimia: una bilancia, un cane scheletrico, attrezzi da falegname, una clessidra, un solido geometrico, un putto, una campana, un coltello, una scala a pioli. L’opera simbolicamente rappresenta, in termini alchemici, le difficoltà che si incontrano nel tentativo di tramutare il piombo (anime delle tenebre) in oro (anime che risplendono). Una trattazione più approfondita, in: https://it.wikipedia.org/wiki/Melencolia_I