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L’idea del labirinto nel cinema della modernità

di Sandro Russo e Gianni Sarro

per la prima parte, leggi qui –

Il labirinto come carattere precipuo del Cinema della modernità è stato affrontato da Gianni  Sarro in una sua bella lezione al nostro Corso di Cinema, in cui sono sintetizzati alcuni aspetti, quasi come ‘punti di un elenco”.
Avvertenza per il lettori non familiari o ‘addetti’ al tema (nel senso inglese di  addiction): in effetti sono citati molti film, a supporto della tesi esposta. Non é importanti conoscerli tutti: dalla moltiplicazione degli esempi l’assunto viene fuori con chiarezza.
S. R.

L’idea del labirinto nel cinema della modernità
di Gianni Sarro

  1. Il labirinto è un concetto che si afferma con la crescita del cinema, quando cioè il suo ruolo passa da fenomeno di intrattenimento, di attrattiva fieristica a quello di arte complessa.
  2. La figura centrale del cinema moderno – per convenzione s’intende quello dal secondo dopoguerra, quindi dal Neorealismo in poi (tuttavia La regola del gioco di Renoir e Quarto potere di Welles hanno elementi di novità tali da poter essere annoverati nella modernità post-classica, pur essendo stati girati circa cinque anni prima) – è l’Eroe (l’Uomo, meno spesso la Donna) che gira, cerca, ma non trova.
  3. Si afferma la figura del labirinto, dove l’eroe si perde.
  4. Altro contesto che determina il labirinto è che le storie narrate (nel cinema moderno c’è sempre una storia raccontata, cambiano le modalità di messa in scena) sono frammentate, mancano di unitarietà. I finali sono aperti.
  5. Perché lo sguardo dello spettatore si perde nel labirinto? Perché l’immagine del cinema moderno disorienta il suo sguardo. Vince lo smarrimento davanti ad una realtà ambigua, difficile; complessa da decifrare e quindi da raccontare.
  6. Esemplare la lezione di Rossellini che ricostruisce la realtà in maniera incompleta, lacunosa, insoddisfacente. Il cinema non ha più una verità da raccontare, bensì diversi punti di vista da mostrare.
  7. I nuovi eroi sono ispirati alla figura di Ulisse: da Ladri di biciclette a The searchers (Sentieri selvaggi), da Godard a Fellini, la figura di riferimento è quella dell’eroe omerico.
  8. Il cinema della modernità crea senso attraverso spazi, architetture, raddoppi, incorniciamenti.
  9. Memoria / sogno / ricordi formano una galassia opaca che influenza la macchina da presa, facendole perdere linearità e anche questi elementi contribuiscono all’affermazione della figura del labirinto.
  10. Kubrick, il cinema che viene dopo la modernità (scordiamo, per ora, il termine postmoderno, crea confusione) è un cinema che recupera, non innova, formalmente elegante, quasi distaccato; un cinema che non riflette sui personaggi, ma sulla natura dell’uomo, dove ritorna la figura della circolarità (2001: A Space Odyssey); Eyes Wide Shut). In 2001 ricordiamo che nel finale di ogni parte (sono 4) c’è un nuovo inizio.


    11. In fondo, direbbe Gilles Deleuze la differenza fra eroe classico e (anti)eroe moderno sta proprio qui, l’eroe classico cerca e trova (ottiene), l’amore, la vittoria, il tesoro (Indiana Jones), quello moderno cerca e non trova e – sempre Deleuze -, in fondo comincia tutto con Ladri di biciclette, in cui un uomo cerca qualcosa (la bicicletta, il lavoro, una vita migliore) e non la trova; ed è la storia di un vagabondaggio, è il tema dell’erranza che segna profondamente il cinema moderno, vedi il personaggio di Antoine Doinel in Truffaut, vedi A bout de souffle (Fino all’ultimo respiro) o Il sorpasso, in cui gli eroi (ma lo sono ancora?) girano a vuoto, in tondo, alla ricerca, in fondo, non lo sanno neppure loro di cosa, e imboccano strade senza uscita.
    Il titolo del film di Ford, non a caso, è The Searchers, mentre il titolo italiano Sentieri selvaggi è bello, ma non c’entra niente; potrebbe essere anche il titolo di Vertigo (La donna che visse due volte) in cui Scottie (James Stewart) cerca, gira ed erra, nel doppio senso che è un errante ed è uno che sbaglia, è uno che è abbagliato (ne La dolce vita ricordiamo Marcello con quegli occhiali scuri… un altro eroe che vaga). È in fondo anche il tema dell’Avventura (Antonioni, 1960) dove di nuovo qualcuno cerca (e qualcuno è scomparso) e non c’è approdo, perché (direbbe qualcuno) tutto comincia con Ulisse e, dunque Godard e Le Mépris (Il disprezzo e la ruota potrebbe continuare a girare…
    Suona come una citazione di La ronde (Max Ophüls, 1950), e anche questo non è un caso.

1 Comment

1 Comments

  1. Tano Pirrone

    24 Gennaio 2025 at 08:45

    Labirinto è magnete potente per ogni scrittore o poeta, l’Io che si perde in nebulose prigioni sconfinate e l’Eroe che si trascina alla ricerca di una soluzione (etimologicamente l’azione di sciogliere un nodo, quindi risolvere un problema, uscire da una prigione anche solo metaforica), l’Ulisse che è in noi alla ricerca del porto da cui era partito in cui deve tornare e non può fin quando non avrà trovato sé stesso, quello che egli era e che ora non è più perché ha vissuto l’esperienza della guerra, dell’inganno, della mancanza e dell’abbandono. Ed è Labirinto, questo Mare Nostrum con le sue coste le sue isole, i popoli che lo abitano, le donne – attrazione fatale – che lo popolano e lo dominano (non solo il nostro ed il loro mare, ma anche e soprattutto, Lui, l’invincibile eroe, che ha vinto tutti, ma non sé stesso). Ulisse per dieci anni (pari tempo della guerra, vittoriosa per quanto può esserlo una guerra, ogni guerra) ha cercato l’unico Sé che poteva rincontrare, quel sé fuori di lui che di sé è ragione e proiezione: l’amata moglie, il figlio, il cane, la dolcezza sconfinata della sua Isola, utero materno, arena, giaciglio d’amore. Siamo tutti figli (spesso indegni) di Ulisse: abbiamo paura di perderci e rinunciamo a cercarci, ma dimentichiamo che in questo nodo gordiano s’incarna il mistero della vita: vivere non è mai lasciarsi vivere.

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