Ambiente e Natura

“Memoria del fuoco”: quel che mi ha insegnato mio padre

di Sandro Russo

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Memoria del fuoco
Come tornano le persone care, a volte. Con piccoli flash di immagini inaspettate.

Ieri dopo un po’ che temporeggiavo, ho bruciato una enorme catasta di rami secchi che si erano accumulati sull’aia. Prima non ho potuto farlo: i residui delle varie potature erano troppo freschi; poi ha piovuto, poi c’era vento… insomma è stato oggi il primo giorno utile per bruciare

Il mucchio più grande è pericoloso, da bruciare tutto insieme; si fa un mucchio più piccolo e si trasferisce man mano a quello

Come sempre, fare un fuoco, in particolare ’nu fucaràzz’ ’ruóss’ sull’aia, mi ha ricordato mio padre.
Con l’età che avanza e man mano che cominciamo a somigliare sempre più – nei tratti del volto, nella postura, ai nostri genitori, così ci dicono in tanti -, il pensiero va spesso a loro.
Un padre è una figura complessa; le sue parole/pensieri, tutto il suo modo di porsi nei confronti della vita, si imprimono nel figlio (maschio) suo malgrado – “imprinting” è proprio la parola giusta – e a dispetto della contestazione più esasperata; nel ’68 avevo 21 anni, ma ero andato via di casa a 18, tutto sommato in modo non traumatico, per l’Università a Roma. I nostri rapporti non li ricordo mai troppo tesi o vicino a rompersi. Posso quindi ricordare, con tenerezza non guastata da rancori, suoi gesti, piccole cose di tutti i giorni che sono restate indelebilmente associate a lui.
Fare il fuoco è una di quelle, potare le viti (lui era molto bravo); fare cesti di vimini e canne che ancora ho (avevo imparato, ma non praticando l’ho dimenticato)


I cesti di papà. Ma le camelie sono mie. La passione per i fiori mi viene da parte materna da zia Olga: leggi qui

Il fuoco, soprattutto. Lui scherzando si definiva “piromane, come Nerone”; a volte tagliava l’erba anche quando non ce n’era bisogno, la faceva seccare e poi la bruciava, per piacere.
Ma i grandi fuochi erano la sua apoteosi. Perciò lo penso sempre quando brucio.
Operava sempre con prudenza, lontano da cose infiammabili (o affumicabili, come per esempio i panni stesi), in assenza di vento, sempre con un tubo dell’acqua vicino, per qualunque evenienza. Il suo modo di procedere era quello di creare quello che lui chiamava “un camino”: attizzava un piccolo fuoco con legnetti secchi che prendevano subito (le sciarechelle), in seno alla grande massa da bruciare; lo alimentava con ramettti sempre più grandi fino a creare una specie di cilindro di fuoco – il camino di tiraggio, appunto –; dopo di che il grosso era fatto.
– Quando hai il camino – diceva -, ci puoi bruciare pure i legni freschi, le foglie verdi.

Il suo relax preferito era stare davanti al fuoco di un camino vero, che naturalmente c’era (anche più di uno) nel vecchio casolare di famiglia, quello dove era rimasta nonna Sandrella con il fratello di papà e la sua famiglia. Ma il camino lo aveva voluto anche nella casa che aveva costruito da solo, dopo la guerra, quando aveva messo su famiglia, a circa metà strada (3 km circa) tra la città e la casa avita. Era ancora campagna, allora.
Davanti al camino, che curava con maestria da professionista, si appenicava la sera in pace col mondo. I miei ricordi sono di quando non c’era ancora la televisione. Poi tutto è cambiato e mia mamma, che era di Ponza e non aveva il camino nei sui geni, tanto aveva insistito che glielo aveva fatto murare (perché sporcava, diceva). Mio padre aveva acconsentito malvolentieri, ma lui nelle cose di casa non voleva entrarci  e così… niente più camino. Continuava a bruciare di fuori, però.

Va da sé che quando a mia volta ho potuto decidere in modo autonomo, per una casa “mia”, il camino è stato la prima cosa che ho voluto (anche più di uno). E il gene di Nerone mi si è trasferito pari pari.
Stranezze della vita: mio fratello non l’ha ereditato! Piuttosto ha avuto sempre genio per la falegnameria, che era il mestiere del nonno di Ponza. Lui nella vita ha fatto il fotografo, ma quando ha potuto ha sempre trafficato con legni e mobili.
– Nel mio sangue scorre segatura! – è una sua frase.

Le pinze del camino. E’ quella che usava mio padre. Proprio la stessa, forgiata a mano, indistruttibile. Anche le bucce di arance messe a seccare davanti al fuoco è una consuetudine appresa da lui. Poi serviranno, la volta successiva, per accendere

Tornando a mio padre, posso ricordare altre piccole cose, di lui. Stranamente sono quelle che più mi sono restate impresse… e che più mi ritornano in mente, in diverse occasioni. Pulire le arance e le mele, per esempio. Mio padre era un fumatore accanito. Aveva le dita che reggevano la sigaretta, ingiallite, e per quanto le lavasse, l’odore non andava via. Ricordo che a tavola puliva le mele e le pere anche per noi figli, ma Renzo e io le schifavamo. Continuava a pulirle, però. Gli ultimi dieci anni della sua vita, dopo un infarto serio, smise di fumare di colpo. Allora avremmo cominciato a mangiarle, ma eravamo diventati grandi e non stavamo più a casa.

Altre piccole cose ricordo, di lui. Proprio minime, ma utili. Di quando si mangia l’uva. Che non bisogna mai schiacciare del tutto gli acini con i denti, perché i semi schiacciati sono aspri e fastidiosi. Se invece la pressione è incompleta, i semi non si rompono e si possono sputare (o anche inghiottire), ma interi.
E sulla stessa linea, ma in tutt’altro campo. Nella mia infanzia, nella casa di Cassino abbiamo sempre avuto un gatto. Che chi li conosce sa che stanno sempre tra i piedi, quando capiscono che si prepara per loro. Stare tra i piedi non è un modo di dire: qualche volta può capitare di pestarli, proprio. Mio padre diceva che lui “si faceva leggero” (proprio come nel film di Troisi, ma parecchio prima!), che aveva una sensibilità ai piedi da non appoggiarli mai completamente, pronto a ritrarli se sentiva del morbido, sotto.
Ora non credo che una capacità del genere si possa sviluppare, ma anche a me che di gatti ne ho tanti (cinque ‘interni’ adesso, più qualcuno “esterno”) spesso capita di pensare a questa cosa che diceva lui e di provare a essere leggero.

 

P. S.
Mi piaceva usare questo titolo, Memoria del fuoco che è quello di un romanzo storico di Eduardo Galeano, autore uruguayano.
Si dice post scriptum, ma in realtà il titolo mi è venuto subito, insieme al ricordo: quindi pre-scriptum.

Altro, ho scritto, su questo tema:

Con un fiore, ti vengono a trovare quelli che non ci sono più

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