Mussolini nella nuova serie su Sky. Intervista a Luca Marinelli (1)
proposto dalla Redazione da Il Corriere della Sera
Il tema è di delicato svolgimento, da parte di un sito come il nostro. Abbiamo scelto un approccio più che mediato per avvicinarci al personaggio dell’inventore del fascismo italiano degli anni ’20 del secolo scorso. Attraverso l’attore che interpreta il personaggio di una serie tv, a sua volta ispirata alla grande opera di Antonio Scurati (“M”, tre romanzi già pubblicati, il quarto, l’ultimo in preparazione e di prossima uscita).
Di questa prima intervista – da il Corriere della Sera – è autore Walter Veltroni, che conosciamo come uomo politico democratico e di sinistra, oltre che scrittore e autore di cinema. In due puntate sul sito.
Dell’ intervista (nella terza puntata sul sito) a Barbara Chichiarelli che interpreta il personaggio di Margherita Sarfatti (“musa” della prim’ora del futuro “duce) è autrice Arianna Finos, giornalista di Repubblica, altro giornale schierato.
In calce al presente articolo, ma vale anche per gli altri due – una bibliografia essenziale che documenta l’interesse e l’approccio del sito al tema: Tre articoli su l’Ur-Fascismo, da Eco in avanti e due articoli sullo spettacolo di Scurati, “M”, il figlio del secolo, visto in tv e al teatro
Luca Marinelli: «Mussolini? Quando entro in un personaggio sospendo il giudizio, ma è stato un dolore forte. Il presente? Alcune cose mi lasciano attonito»
di Walter Veltroni – Da Il Corriere della Sera del 6 gennaio 2024
L’attore nei panni del Duce nella nuova serie Sky: «Mia nonna era contraria, ma poi mi ha rincuorato. Ho capito che la libertà si può perdere in un istante»
«Ma il fascismo è violenza. Il fascismo è il dominio della forza. È la volontà di pochi che si impone sulla volontà di molti. È sopraffazione. È arbitrio. È la legge del più forte. È odio. È eccitazione della massa. È rabbia. È il disprezzo della debolezza, del dubbio. È la legge del bastone contro il caos della mente. È decisione contro mediazione. È il rifiuto del compromesso. È il nuovo contro il vecchio. È essere sempre, sempre contro qualcosa o qualcuno. E chi si mette di traverso… Questo è il fascismo. O non è». Queste parole vengono declamate, come il programma di una riscossa, da un Mussolini che esce così dalla crisi successiva all’omicidio di Matteotti. Sono le parole che sottostanno al discorso del 3 gennaio 1925 con cui si conclude la bellissima serie «M, Il figlio del secolo» — otto puntate su Sky e Now dal 10 gennaio — tratta dal gran lavoro letterario di Antonio Scurati, girata da Joe Wright, scritta da Stefano Bises e Davide Serino e interpretata in modo magistrale da Luca Marinelli. La serie è prodotta da Sky Studios e The Apartment e distribuita internazionalmente da Fremantle.
Marinelli, come si è preparato a interpretare Mussolini?
«Sono partito dal libro di Antonio Scurati, che è stato una fonte di informazioni gigantesca per comprendere in quei cinque anni cosa questa persona aveva fatto, dove aveva portato l’Italia… Poi ho cominciato a cercarlo anche altrove, perché ci serviva sia la parte pubblica che quella privata. È stato molto difficile perché tutte le foto e le testimonianze che abbiamo, i filmati del Luce, danno una sola chiave di lettura, apologetica: tutto il circuito comunicativo era controllato dal regime. Quindi c’è sempre e solo un racconto tronfio e trionfale di ogni suo gesto. Ma, comunque, mi è servito per introiettare la sua mimica, il suo modo di parlare e di muoversi».
Luca Marinelli nei panni del Duce nella serie Sky Original «M. Il figlio del secolo»: 8 puntate dalla Fondazione dei Fasci Italiani nel 1919 fino al discorso di Mussolini in Parlamento nel 1925, dopo l’omicidio di Matteotti (foto Andrea Pirrello)
Altre fonti?
«Una sua autobiografia, dove si capisce già che persona era. Uno che a 30 anni finisce in carcere e scrive un’autobiografia… Poi c’è una biografia che era sempre controllata dal fratello e da lui. E un testo di Cesare Rossi, che, negli anni che affrontiamo, dal 1919 al 1925, è il suo braccio destro. Un altro ancora di Margherita Sarfatti, figura decisiva di amante e musa ispiratrice. Quello che però mi ha aiutato di più è stato il testo di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Le sue memorie durante la visita di Hitler in Italia del 1938. Lui, grande archeologo, fu obbligato a fare da cicerone. È una testimonianza di una persona contro, di un antifascista. Descrive anche fisicamente le loro movenze, in particolare quelle di Mussolini: come parlava, come scherzava, la sua volgarità. Tutto questo l’ho messo insieme, l’ho digerito e l’ho restituito secondo la mia sensibilità… Ogni attore fa, a suo modo, il proprio personaggio».
Mussolini è il personaggio più difficile che si possa interpretare?
«Fino ad ora sì, perché quando scelgo un ruolo penso che la cosa più importante sia quella di sospendere il giudizio. È una cosa che ho imparato durante gli studi e che anche i grandi maestri mi hanno insegnato. Sospendere il giudizio, avvicinarsi il più possibile a quest’anima alla quale devi dare un corpo, che sia un personaggio della realtà o della fantasia. In questo caso è stata una cosa per me veramente dolorosa, veramente forte, che naturalmente mi aspettavo, ma non pensavo di vivere con tanta intensità. Non mi volevo avvicinare a Mussolini e purtroppo ho dovuto farlo. Questa sospensione del giudizio è stata abbastanza dolorosa per me e ha reso questo il personaggio più difficile da interpretare, per un discorso di etica».
Partendo da questa difficoltà, gli ha restituito una dimensione di maschera tragica e grottesca. Ha compiuto una scelta teatrale?
«Interessante che lei pensi questo. Abbiamo fatto vari ragionamenti. Per raccontarlo, come dicevo, bisognava scovare la sua parte privata. Tutto quello che noi riportiamo nel film, tranne alcuni momenti, è la parte politica, quella dei disegni e delle trame, nell’ombra. Ma ho capito che in famiglia lui faceva la stessa cosa, mi è sembrato che non avesse mai una dimensione privata. È stato abbastanza scioccante: mi sembrava che lui non fosse mai sincero, neanche con sé stesso. Sembra sempre su un palcoscenico, anche quando è in famiglia, perché lui ha sempre una maschera che indossa. Lo diciamo anche nella serie: “Adesso entra in scena il prestigiatore, adesso entra in scena il domatore, adesso entra in scena il doppiogiochista”. Lui si attribuisce sempre un ruolo, come per allontanarsi da sé stesso. È una persona sempre in scena, questo mi verrebbe da dire. E poi non mi scorderò mai la definizione di un intellettuale dell’epoca che lo vide su un palco, durante uno dei suoi discorsi, e disse appunto che era una bestia da palcoscenico. Ho la sensazione che sia stato un uomo che aveva sempre una maschera davanti al volto».
In fondo le è sembrato di interpretare un attore?
«In qualche maniera sì. Sicuramente qualcuno che metteva in atto qualcosa che pensava con un obiettivo ben preciso. Un attore però lavora con le proprie emozioni, lui lavorava manipolando le emozioni degli altri, molto macchinoso, qualcosa che aveva a che fare con l’ingegno, e con l’ambizione. Aveva capito di dover parlare allo stomaco delle persone usando il caos e la paura e quindi, fornendo risposte semplici, rassicurava. Si può dire che Mussolini ha inventato il populismo, come l’arte di fornire la soluzione più semplice e di arrivare al fegato delle persone. È una tecnica che si riaffaccia in certi momenti della storia, anche ora. Mussolini percepiva le emozioni della gente e le usava però in una maniera molto artificiale, molto strumentale».
Marinelli sul set nei panni di Benito Mussolini (foto Andrea Pirrello)
Quanto l’ha aiutata l’abolizione della quarta parete, la scelta di rivolgersi, in scena, direttamente al pubblico?
«È stato un discorso molto interessante. Quella scelta penso che ci abbia permesso di non relegare il racconto semplicemente ad una storia del passato, ma di portarlo nel presente. Era come fare spesso un parallelismo con il presente o semplicemente anche chiamare il pubblico — che sta guardando ora, nel presente — sempre dentro alla storia. Naturalmente lo chiamava la persona sbagliata, però, personalmente, ho ritrovato tanto del presente, nel rompere la quarta parete. È un po’ come questi politici che vediamo oggi fare continuamente dirette sui vari social, che entrano in casa tua fingendo di parlare direttamente con te».
Un montaggio veloce, musiche di oggi, una scenografia inquietante: un modo pop di raccontare il fascismo che non si è mai visto prima.
«Sì, ovviamente è una scelta più registica, penso sia stato bellissimo e importantissimo anche con il richiamo di una musica fortemente contemporanea a noi far capire al pubblico che “M” è una storia del tempo, ma è anche una storia profondamente attuale, purtroppo. Il modo scelto di raccontare una vicenda di cento anni fa serviva a far percepire l’attualità assoluta di quella vicenda».
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Note
“Il fascismo eterno”, di Umberto Eco (2). L’intervento di Augias
“Il fascismo eterno” (3). La lezione di Umberto Eco alla Columbia University
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