Canzoni

Una canzone per la domenica (327). Un brano degli Yes per il trailer di “Here”, di Zemekis

di Renzo Russo (con la collaborazione di Sandro Russo)

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Al cinema per vedere tutt’altro, prima che il film cominci scorrono i trailer dei film in programmazione. All’improvviso vengo ‘rapito’ da una musica che conosco… e mentre mi arrovello per capire cos’è, il trailer è bello che passato, senza che sia riuscito a capire di che film si trattasse.
C’è voluto un piccolo lavoro congiunto, con mio fratello Sandro, per risalire a tutte le informazioni mancanti.
Il film è Here; qui il trailer del film da YouTube:

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La canzone che ci ha fatto sussultare sulla poltrona del cinema (nel frattempo l’avevo detto anche a Sandro, come me estimatore del brit-pop inglese dei mitici Seventies) è degli Yes, da The Yes Album, (1970). Con Sandro siamo stati insieme a vedere il recente concerto degli Yes a Roma, lo scorso mese di maggio e in quell’occasione abbiamo anche scoperto che ci sono due band Yes in giro per il mondo.

Il film di Zemekis arriverà a giorni nelle sale romane. Certo lo vedremo – Sandro mi dice che ha il cofanetto dei primi tre ‘storici’ di Ritorno al Futuro – per sapere come mai sono stati scelti gli Yes (e perché proprio quel pezzo), per il trailer. Se c’è dell’altro, come colonna sonora, lo sapremo solo vedendo il film che – pare di capire – è un interessante esperimento di mantenere fisso il luogo, delle tre classiche unità aristoteliche (di tempo, di luogo e di azione – vedi in Note).

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Testi (inglese, italiano a fronte). Cliccare per ingrandire

Nel frattempo non guasta, per entrare nell’atmosfera del film, leggere l’intervista a Tom Hanks di Roberto Croci, ripresa da la Repubblica on line di ieri, 4 genn. 2025.

L’intervista
Esce al cinema “Here”. Tom Hanks: “Non ho paura dei film con l’intelligenza artificiale
di Roberto Croci – Da la Repubblica on line del 4 gennaio 2025

Per “Here”, il nuovo film di Robert Zemeckis è stato ringiovanito e poi invecchiato. Un film dalle regole ferree: nessun movimento di macchina e un solo luogo inquadrato per… secoli. Intervista

Robin Wright e Tom Hanks versione ringiovaniti in Here.

Los Angeles. Cos’è Here lo spiega Tom Hanks: «È una storia travolgente, ambiziosa, bellissima e allo stesso tempo sconvolgente di una piccola fetta del nostro pianeta mostrata nel corso di milioni di anni». Trent’anni e sei Oscar dopo Forrest Gump il regista Robert Zemeckis ha riunito la coppia formata da Tom Hanks e Robin Wright per un’altra storia d’amore che percorre tutta una vita, anzi di più stavolta, dove i protagonisti sono ringiovaniti digitalmente nell’arco di 60 anni. Adattato dal graphic novel di Richard McGuire, Here in sala dal 9 gennaio – è una storia non convenzionale, una serie di tavole all’interno di un salotto, definito “home-casa” dalle varie famiglie che lo abitano. Zemeckis, per rimanere fedele al graphic novel, ha deciso di utilizzare un’unica inquadratura statica per tutto il film.
«In ogni film che ho fatto», ci racconta, «sono sempre stato disposto a usare qualsiasi nuova tecnologia disponibile. La mia ossessione con gli effetti speciali è iniziata con Ritorno al Futuro II. C’è stato il mix di live-action e animazione disegnata a mano di Chi ha incastrato Roger Rabbit, la motion capture utilizzata per Polar Express, La leggenda di Bewolf e A Christmas Carol. In ogni film mi chiedo sempre quale sia il modo più interessante per presentare una scena, o cosa posso fare che forse il pubblico non ha mai visto. Per Here ho scelto di girare con un’unica macchina da presa che non si muove mai, per rappresentare l’evoluzione dello stesso spazio nel tempo, il che significava che ogni scena doveva essere girata per intero, senza pause e/o montaggi. La vita, il tempo e i personaggi stessi ci passano davanti, superano questa visione, questa prospettiva che abbiamo sul mondo, attraverso tempi diversi». Per Hanks, nei panni di Richard in varie età, è il quinto film con Zemeckis.

Hanks, come le ha descritto Zemeckis il progetto?
«Gli stavo parlando di un documentario che avevo appena visto, The Truffle Hunters, in cui i registi usano la telecamera in un modo che non avevo mai visto, e mentre mi chiedevo se si potesse fare lo stesso con un film di finzione Bob mi ha dato la sceneggiatura di Here, insieme al graphic novel, che ho dovuto leggere ben quattro volte prima di capirne la narrazione. È una storia che si svolge nell’arco della vita di diverse famiglie, ma per centinaia di anni, un libro sfogliabile in cui attraversi secoli. E allora gli ho chiesto: “Ma non hai intenzione di muovere la macchina da presa?”. “No”, mi ha detto, “mai. Sarai sempre tu a entrare in campo, in primo piano… potrebbe non funzionare, la gente potrebbe odiarlo, ma è un film da fare così”. L’ho guardato e gli ho detto: “Dobbiamo fare qualcosa mai fatta prima? Ok, ci sto!”».

Com’è stato girare un film con la macchina da presa sempre fissa?
«Bob mi ha spiegato che in questo film il tempo si muove, non la macchina da presa, e che è il set a cambiare continuamente, insieme a quello che vediamo fuori dalla finestra. Sarà come essere su una macchina del tempo, dove persone e personaggi si muoveranno ovunque. Spero che nessuno faccia caso al fatto che la telecamera non si muova, ma che veda solamente un film. Una delle cose più assurde è che né io né Robin potevamo contare sulla potenza del primo piano, a meno che non ci “fossimo” già dentro. Cioè, non si poteva cambiare l’ordine di nessuna scena, era tutto in tempo reale. Non ci sarebbe stata alcuna alterazione della linea temporale dall’inizio di ogni scena alla fine. Niente stacchi, niente controcampo o cose del genere… anche se sono cose audaci, dopo un po’ sono diventate naturali».

Nessuno le ha mai detto: “Non funzionerà mai”?
«Sì, tantissime volte! Ma ogni volta che si realizza qualcosa di rivoluzionario, che non è mai stato fatto prima, sorgeranno dubbi e controversie. A volte queste nuove idee bisogna spiegarle, a volte funzionano senza aggiungere altro. Questo film si svolge su un appezzamento di terra generico, e ci porta attraverso il tempo con l’idea che ogni appezzamento di terra contiene secoli di storie uniche. Ogni volta che vado in Grecia in vacanza, penso al luogo dove mi trovo, incontaminato, ma dove prima di me qualcuno ha calpestato lo stesso suolo, ha pascolato le pecore, ha fatto l’amore, ha ucciso qualcuno in battaglia. Eppure mi ritrovo con i piedi nell’acqua, su una spiaggia deserta, e non vedo assolutamente alcun segno di modernità. Vedo solo cielo, mare e terra. E la vista che ho in quel momento non è cambiata in 15.000 anni. Questo film è stato come rivivere un momento cosmico, dove qualcuno prima di me e dopo di me si farà le stesse domande, tipo, cosa farò domani? E questo vale per tutto il pianeta Terra».

Come ha funzionato il processo di de-aging, il ringiovanimento digitale? Una procedura diversa dall’ultimo Indiana Jones?
«Sì, sono state utilizzate tecniche di trasformazione facciale con l’Intelligenza Artificiale in tempo reale. La tecnologia di de-aging che Zemeckis ha usato viene da Metaphysic, società di effetti visivi. A differenza dei precedenti simili effetti, che si basavano sulla manipolazione fotogramma per fotogramma, Metaphysic genera trasformazioni istantanee analizzando i punti di riferimento del viso e mappando variazioni di fasce di età. Durante le riprese, la troupe guardava contemporaneamente due monitor: uno che mostrava l’aspetto reale degli attori e un altro che li mostrava all’età richiesta dalla scena. Metaphysic ha sviluppato il software di modifica facciale basandosi su milioni di fotogrammi di film precedenti con Robin e me. Questo include un’ampia gamma di movimenti facciali, texture della pelle e apparizioni in diverse condizioni di luce e angolazioni della telecamera. Posso solo dire che questo film sarebbe stato impossibile tre anni fa, avrebbe richiesto mesi di lavoro manuale di artisti in post-produzione di tecnica CGI tradizionale, oltre che un budget notevolmente superiore, più vicino ai costi dei megafilm Marvel».

Da produttore, cosa pensa di questa tecnologia IA?
«Zemeckis è sempre stato interessato allo sviluppo tecnologico e negli ultimi anni anche al futuro dell’IA. Per me è uno strumento favoloso, con i suoi pro e contro. Entrambi abbiamo fatto questo lavoro abbastanza a lungo per cercare di immaginare altri modi di fare cinema. Quando ho diretto il primo episodio della mia prima serie tv – I racconti della cripta – c’era la possibilità di rivedere subito il girato. Mi ricordo di aver pensato: “Ehi, questo rovinerà tutto, saremo così coscienti della nostra presenza sullo schermo, di tutto quello che stiamo girando e perderemo così tanto tempo a guardare la ripresa appena fatta che non potremo mai girare niente di spontaneo”. Pensavo sarebbe stato un pessimo strumento. Oggi, non esiste fare cinema o tv senza un playback delle riprese. Vedo lo strumento della nostra versione IA nello stesso modo: non ha sostituito nulla, ha solo reso il lavoro più efficiente. Tutti gli attori hanno passato ore con trucco e parrucco per rendere autentico il look. L’IA ha contribuito a ringiovanirci in modo più autentico, senza renderci finti e meccanici. Non è stato diverso dall’avere set virtuali o proiettori per simulare la guida di un’automobile. In quanto attore, la vera domanda è: è possibile raccontare una bella storia anche grazie a tutti i nuovi strumenti a disposizione? L’importante è essere coinvolti nella storia, in quello che succede, e in questo caso non importa quali strumenti sono usati per realizzarla al meglio».

 

Nota

Abbiamo trovato particolarmente utile la voce Poetica (Aristotele) in Wikipedia.
La Poetica è un trattato di Aristotele, scritto ad uso didattico, probabilmente tra il 334 e il 330 a.C., ed è il primo esempio, nella civiltà occidentale, di un’analisi dell’arte distinta dall’etica e dalla morale
Nella Poetica, Aristotele esamina la tragedia e l’epica.
Aristotele introduce due concetti fondamentali nella comprensione del fatto artistico: la mimesi e la catarsi.
Aristotele nella Poetica aveva affermato che «la favola deve essere compiuta e perfetta», dovendo in altre parole avere unità, ossia un inizio, uno svolgimento e una fine (unità di azione). Il filosofo aveva anche asserito che l’azione dell’epopea e quella della tragedia differiscono nella lunghezza «perché la tragedia fa tutto il possibile per svolgersi in un giro di sole 24 ore o poco più, mentre l’epopea è illimitata nel tempo» (unità di tempo).
Nell’Umanesimo cinquecentesco ciò che in Aristotele era l’osservazione e descrizione di uno stato di fatto del teatro a lui contemporaneo venne interpretato come una norma o canone; per questo motivo esse sono anche definite “pseudoaristoteliche”.
– unità di luogo – l’azione deve svolgersi cioè in un luogo unico, nel quale i personaggi agissero o raccontassero le vicende accadute. Nella tragedia greca spesso le azioni non vengono compiute e viste “in presa diretta” ma soltanto riferite o raccontate sulla scena.
– unità di tempo – la più comune interpretazione di questa norma è che l’azione debba svolgersi in un’unica giornata dall’alba al tramonto.
– unità di azione – il dramma deve comprendere un’unica azione, con l’esclusione quindi di trame secondarie o successivi sviluppi della stessa vicenda.
Questi canoni vennero adottati per discriminare il teatro “alto” – la tragedia – dal teatro “basso” o popolare – la commedia -, ma furono utilizzati più per classificare le opere del passato latino e greco che come canone per la scrittura di nuove opere.

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