Ricorrenze

Il Natale di Don Camillo e Peppone

ripreso dalla segnalazione di Michele Serra su “il Post” del 31 dic. 2024

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Uno dei tanti lettori di questa newsletter, Mario Castelli, mi manda un “racconto di Natale” che pubblico con grande piacere – fino a Capodanno siamo ancora in atmosfera. Sono un paio di pagine di Giovannino Guareschi, la saga è quella, popolarissima, di don Camillo e Peppone. Mi scrive Castelli che quel libro è stato centrale nella sua infanzia, e lo è stato anche nella mia. Avrò avuto dieci/undici anni, me lo diede da leggere mio nonno materno, mi disse che dovevo considerarlo “un libro di avventure” e così feci. Lo lessi come leggevo Salgari, poco sapevo di comunisti e preti ma don Camillo e Peppone, con le loro liti, le loro scazzottate, le loro bande di compari, mi piacevano molto. Quando vidi i film, con Gino Cervi e Fernandel, li ritrovai tutti e due – specie Peppone – quasi identici a come li avevo immaginati.

Poi la vita è lunga e, appunto, avventurosa, e da grande, e per giunta da comunista, mi capitò addirittura di diventare uno degli editori del “Don Camillo”, che ripubblicai come allegato di Cuore con una mia prefazione quasi dotta. L’idea (già maturata nella lettura infantile) era che i due antagonisti fossero, nel profondo, non solo amici, ma difensori di uno stesso mondo (il passato contadino) contro il mondo nuovo, la modernità che tutto corrompe e snatura. Guareschi fu un grande scrittore popolare e un grande reazionario, conobbi i suoi figli, visitai la sua casa natale a un passo da quella di Verdi, vidi il suo ristorante, le sue motociclette, i suoi disegni, mi emozionai.

Ringrazio Mario Castelli per questa parentesi guareschiana, sono contento di condividerla con voi tutti, è un buon modo di salutare il Natale, qualunque cosa si pensi che il Natale sia. Il racconto è edificante, se vogliamo un poco melenso, ma così devono essere i racconti di Natale. È ideologico in senso cattolico, Guareschi era profondamente cattolico. È anche molto umano, Guareschi lo era. Infine, è molto ben scritto, ai tempi di Guareschi “popolare” non era sinonimo di sciatto o di declassato.
Michele Serra

“Era oramai Natale e bisognava tirar fuori d’urgenza dalla casetta le statuette del Presepe, ripulirle, ritoccarle col colore, riparare le ammaccature. Ed era già tardi, ma don Camillo stava ancora lavorando in canonica. Sentì bussare alla finestra e, poco dopo, andò ad aprire perché si trattava di Peppone.
Peppone si sedette mentre don Camillo riprendeva le sue faccende e tutt’e due tacquero per un bel po’.
Don Camillo prese a ritoccare con la biacca la barba di San Giuseppe. Poi passò a ritoccargli la veste.
“Ne avete ancora per molto?” si informò Peppone con ira.
“Se mi dai una mano in poco si finisce”.
Peppone era meccanico e aveva mani grandi come badili e dita enormi che facevano fatica a piegarsi. Però, quando uno aveva un cronometro da accomodare, bisognava che andasse da Peppone. Perché, è così, sono proprio gli uomini grossi che son fatti per le cose piccolissime.
Filettava la carrozzeria delle macchine e i raggi delle ruote dei carretti come uno del mestiere.
“Figuratevi! Adesso mi metto a pitturare i santi!” borbottò. “Non mi avete preso mica per il sagrestano!”
Don Camillo pescò in fondo alla cassetta e tirò su un affarino rosa, grosso quanto un passerotto, ed era proprio il Bambinello.
Peppone si trovò in mano la sua statuetta senza sapere come e allora prese un pennellino e cominciò a lavorare di fino.
Lui di qua e don Camillo di là dalla tavola, senza vedersi in faccia perché c’era, fra loro, il barbaglio della lucerna.
“Non ci si può fidare di nessuno, se uno vuol dire qualcosa. Non mi fido neppure di me stesso” disse Peppone.
Don Camillo era assorbitissimo dal suo lavoro: c’era da rifare tutto il viso della Madonna. Roba fine.
“E di me ti fidi?”, chiese don Camillo con indifferenza.
“Non lo so”.
“Prova a dirmi qualcosa, così vedi”.
Peppone finì gli occhi del Bambinello: la cosa più difficile.
Poi rinfrescò il rosso delle piccole labbra.
“Hai paura?”
“Mai avuto paura al mondo!”
“Io sì, Peppone. Qualche volta ho paura”
Peppone intinse il pennello.
“Be’, qualche volta anch’io” disse Peppone. E appena si sentì.
Don Camillo sospirò anche lui.
Ora Peppone aveva finito il viso del Bambinello e stava ripassando il rosa del corpo.
Oramai il Bambinello era finito e, fresco di colore e così rosa e chiaro, pareva che brillasse in mezzo alla enorme mano scura di Peppone.
Peppone lo guardò e gli parve di sentir sulla palma il tepore di quel piccolo corpo.
Depose con delicatezza il Bambinello rosa sulla tavola e don Camillo gli mise accanto la Madonna.
“Il mio bambino sta imparando la poesia di Natale” annunciò con fierezza Peppone. “Sento che tutte le sere sua madre gliela ripassa prima che si addormenti. È un fenomeno”.
“Lo so” ammise don Camillo. “Anche la poesia per il Vescovo l’aveva imparata a meraviglia”.
Peppone si irrigidì.
“Quella è stata una delle vostre più grosse mascalzonate!” esclamò. “Quella me la dovete pagare”.
“A pagare e a morire si fa sempre a tempo” ribatté don Camillo.
Poi, vicino alla Madonna curva sul Bambinello, pose la statuetta del somarello.
“Questo è il figlio di Peppone, questa è la moglie di Peppone e questo è Peppone” disse don Camillo toccando per ultimo il somarello.
“E questo è don Camillo!” esclamò Peppone prendendo la statuetta del bue e ponendola vicino al gruppo.
“Bah! Fra bestie ci si comprende sempre” concluse don Camillo.
Uscendo, Peppone si ritrovò nella cupa notte padana, ma oramai era tranquillissimo perché sentiva ancora nel cavo della mano il tepore del Bambinello rosa. Poi udì risuonarsi all’orecchio le parole della poesia che ormai sapeva a memoria. “Quando, la sera della Vigilia, me la dirà, sarà una cosa magnifica!“ si rallegrò.
Il fiume scorreva placido e lento, lì a due passi, sotto l’argine, ed era anche lui una poesia cominciata quando era cominciato il mondo e che ancora continuava. E per arrotondare e levigare il più piccolo dei miliardi di sassi in fondo all’acqua, c’eran voluti mille anni.
E soltanto fra venti generazioni l’acqua avrà levigato un nuovo sassetto.
E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l’ora su macchine a razzo super atomico e per far cosa? Per arrivare in fondo all’anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso Bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha pitturato col pennellino”.

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Nota della Redazione
Appena possibile pubblicheremo anche il restante della Newsletter di Serra su “il Post” del 31 dicembre, tutte osservazioni interessanti su temi che i lettori di questo sito frequentano

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