segnalato dalla redazione
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Questo articolo da la Repubblica di ieri 9 dicembre è legato con un filo ideale alla scrittura poetica “Il destino dei tiranni” di Emilio Iodice, pubblicata ieri qui sul sito.
Immagine dall’articolo di copertina da la Repubblica
L’analisi
Il dittatore sanguinario
di Tahar Ben Jelloun
Come accadde dopo la fuga di Saddam Hussein, il palazzo di Bashar al Assad è stato invaso dai “ribelli-liberatori” di un Paese che ha vissuto sotto la dittatura della famiglia Assad per mezzo secolo.
Bashar non ha trovato di meglio che la fuga per sottrarsi a un processo che lo avrebbe condannato, dato che ha massacrato deliberatamente il suo popolo che, al tempo della “primavera araba”, nel marzo del 2011, manifestava pacificamente chiedendo null’altro che democrazia e libertà. Bashar ordinò al suo esercito di sparare sui manifestanti. A partire da allora non ha più voluto sentire ragioni. Ha pianificato e portato a termine l’eliminazione del suo popolo. Con il risultato di centinaia di migliaia di morti e sei milioni di rifugiati in tutto il mondo.
Medico e oculista, era stato designato a succedergli dal padre, Hafez al Assad. Questo feroce dittatore (nel 1982 fece massacrare nel giro di una notte l’intera popolazione della città di Hama, dove si riunivano i Fratelli musulmani) fu costretto a scegliere il figlio minore al posto del maggiore, morto in un incidente stradale.
Bashar non era pronto a guidare un Paese in cui vivevano diverse comunità — cristiani (10%), drusi (3%) e alawiti, setta sciita dei nusayri (11%) — oltre al resto della popolazione sunnita. Sono gli alawiti a governare il Paese da quando Hafez al Assad è salito al potere nel 1971.
Bashar ha seguito i consigli del padre e non ha mai esitato a imprigionare i suoi oppositori, a farli sparire e, soprattutto, a chiamare l’esercito per stroncare qualsiasi manifestazione di protesta.
Tutto ciò ha fatto scoppiare una guerra civile. La comunità alawita, minoritaria, detiene tutti i poteri. Ha stretto accordi con l’Iran e la Russia per ottenere aiuto e sbarazzarsi di tutti i dissidenti.
L’aviazione russa ha compiuto massacri a Hama, Aleppo e sulle montagne dove vivono i curdi. L’Iran, attraverso gli Hezbollah in Libano, è intervenuto in diverse occasioni e ha difeso il regime di Assad con ogni mezzo possibile.
Teheran ha anche coinvolto afghani e fondamentalisti pachistani come mercenari per aiutarlo a combattere i ribelli.
Quello che è successo ieri è abbastanza sorprendente: è una buona notizia e una cattiva notizia.
Una buona notizia perché Damasco è caduta e Bashar al Assad è fuggito come un miserabile, un codardo e un criminale della peggior specie. La cattiva notizia è che il movimento Hayat Tahrir Al Sham agisce in nome di un’ideologia islamista fondamentalista. È composto da ex membri di Al Qaeda.
Per il momento la popolazione è scesa in strada gridando la propria gioia e il proprio sollievo, dicendo che “non può andare peggio”. Ma non sappiamo che cosa succederà e, soprattutto, come questo gruppo governerà un Paese ferito, spopolato e martoriato.
Assad è caduto per diverse ragioni: i suoi sostenitori tradizionali hanno altre questioni da affrontare. L’Iran sta cambiando la sua strategia in Medio Oriente. La Russia è molto impegnata nella sua guerra in Ucraina. L’asse anti-israeliano si è indebolito. Inoltre i servizi pubblici del Paese e rano tutti in crisi: due ore di elettricità al giorno, nessuna amministrazione affidabile, c’era carenza di tutto, non funzionava più nulla. Così il regime si è indebolito.
L’esercito, smobilitato, demoralizzato e mal pagato conta 160 mila uomini che non hanno combattuto contro l’Organizzazione per la liberazione della Siria (Hayat Tahir al Sham, Hts). Assad, recluso nel suo palazzo, non governava più.
Nel giro di una settimana i militanti dell’Hts hanno conquistato due grandi città prima di entrare a Damasco con una facilità sconcertante. Ora Assad ha trovato rifugio a Mosca. È molto probabile che la Corte penale internazionale emetta un mandato di arresto e che lo processi per i suoi numerosi crimini.
[Di Tahar Ben Jelloun, da la Repubblica dell’8 dic. 2024. Traduzione di Luis E. Moriones]
In ritaglio-immagine due commenti da la Repubblica del 9 dic. 202a, di Maurizio Molinari e di Tahar Ben Jelloun (riportato anche ‘in chiaro’). Cliccare sull’immagine per ingrandire
la Redazione
11 Dicembre 2024 at 00:37
La Redazione riporta l’Amaca del 10.12.24 di Michele Serra sui fatti di Siria
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La Siria è faticosa
di Michele Serra
Mentre, leggendo della Siria, cercavo vanamente di orientarmi tra alawiti, sciiti, drusi, sunniti (in lotta tra loro) nonché cristiani caldei, e di rito bizantino, maroniti e armeno-cattolici, e il vicariato di Aleppo… mi sono fatto da solo i complimenti per lo sforzo, al tempo stesso così civile e così inane, di capire il mondo.
Capisco chi ci ha rinunciato. Ha alzato le spalle e ha detto: troppo difficile, non ce la posso fare. Preferisco vivere la mia vita e non pensarci troppo, al mondo. Un sacco di gente vive così, direi proprio la schiacciante maggioranza della popolazione mondiale.
Sente dire della Siria, prende atto, quando va bene, che Assad si è levato dalle scatole, per il resto, bene che vada, si augura che la guerra civile sia finita e la gente di quei posti possa vivere più decentemente. Nei casi peggiori, se ne infischia e basta.
Dunque dedico queste mie poche righe, quasi commosse, alla eroica minoranza che coltiva la convinzione (illusione?) di poter capire come funziona il mondo. I lettori dei giornali e dei libri, i compulsatori tenaci di siti di news attendibili, quelli che cercano i talk-show dove si grida di meno e si ragiona di più.
Quella che si chiama, o si chiamava una volta, “opinione pubblica”, e considera suo dovere sapere cosa diavolo succede in Siria, con grande sprezzo del ridicolo e nell’onesta certezza che sia nostro dovere fare la fatica di capire.
La Siria è vicina. Ci sono molti rifugiati siriani in Europa. Possiamo sorridere di noi stessi e del nostro sforzo di capire situazioni che soverchiano, eccome, la nostra comprensione. Ma possiamo coltivare un minimo di orgoglio per averci almeno provato.