segnalato in redazione da Tano Pirrone un esemplare articolo di Pietro Folena da l’Unità di ieri, 6 dicembre 2024
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Editoriale
Crisi di governo in Francia, come uscire dal pantano del centrismo di Macron
di Pietro Folena – Da L’Unità del 6 dicembre 2024
Nel tentativo di restare in sella, il Presidente ha ignorato il voto popolare che aveva premiato la sinistra, imponendo al Paese un centrismo non più esistente
Serve una nuova Epinay
La caduta del governo Barnier in Francia è la cronaca di una morte annunciata. Quando scrivo non conosco ancora chi verrà incaricato dal presidente Emmanuel Macron di formare il Governo. Forse François Bayrou. Ma le cose così non cambiano. Si prospetta, dopo la sfiducia data l’altra sera in Parlamento al gabinetto di Michel Barnier, un governicchio per Notre Dame, e cioè la riproposizione dello stesso schema adottato a settembre al fine di garantire a Macron un assetto istituzionale in grado di accogliere le delegazioni di tutto il mondo – fra di loro Sergio Mattarella e Donald Trump – sabato prossimo, in occasione della riapertura della Cattedrale di Parigi restaurata.
Come si sa, il governo nel sistema semipresidenziale francese non deve avere la fiducia al momento del suo insediamento, ma può essere oggetto di una mozione di sfiducia. La crisi aperta ieri si riproporrebbe quindi a brevissimo.
Al fondo di questa crisi – provocata da una mozione di sfiducia presentata dal Nuovo Fronte Popolare e votata anche dall’estrema destra del Rassemblement National – non c’è, come scrivono i giornali di area liberale, un’alleanza impossibile tra sinistra e destra. C’è invece la crisi irreversibile del macronismo e, anche, la fine politica di Macron. Il macronismo è stato un tentativo, nel nome di uno sbiadito gollismo – senza una personalità paragonabile minimamente a quella di Charles de Gaulle -, di superare destra e sinistra, almeno nelle loro varianti riformiste. I socialisti e i gollisti erano infatti entrati, al momento della prima elezione di Macron, in una crisi drammatica. Avevano consumato le eredità di grandi personalità come, da un lato, François Mitterand e, dall’altro, Jacques Chirac. L’illusione di un’operazione che mixasse liberismo e colbertismo – e cioè un forte intervento statale nell’economia – aveva fatto presa per un breve periodo. Ma, dalla rivolta dei gilets jaunes alle lotte sociali imponenti contro la riforma delle pensioni e i tagli al welfare, quell’illusione era durata poco.
Dopo le elezioni europee, con la vittoria del partito di Marine Le Pen e del giovane Jordan Bardella, la decisione azzardata di andare alle elezioni anticipate ha visto sorprendentemente per molti – non per chi scrive – la vittoria della sinistra unita, con centosettantotto eletti e, grazie alle desistenze contro l’estrema destra, la rielezione davvero miracolosa di centocinquanta deputati macroniani. La scelta fatta dal Presidente di non riconoscere questo voto, e di non lavorare per una maggioranza di centrosinistra, o comunque per dare l’incarico a chi era stato indicato dal Nfp – si trattava di Lucie Castets – ha creato un vulnus democratico. L’incarico a Barnier, condizionato dalla Le Pen – che in ogni momento avrebbe potuto staccare la spina – era appunto la premessa di una conclusione scontata, come quella di queste ore. Certamente la leader dell’estrema destra – che rischia in primavera una condanna a cinque anni di carcere e di ineleggibilità per le accuse di frode e di uso improprio dei fondi del Parlamento Europeo – ha tutto l’interesse ad andare alle elezioni anticipate, che tuttavia non si possono tenere prima del luglio prossimo, un anno dopo le precedenti.
Ma la crisi francese ha ragioni ben più profonde. La Francia è una pentola a pressione che rischia di esplodere. Da un lato il disagio sociale, la condizione del lavoro dipendente, la precarietà giovanile, la condizione delle banlieues e l’impoverimento della classe media sono enormemente cresciuti in questi anni, a fronte della forza arrogante dei grandi capitalisti del lusso, delle comunicazioni e della finanza, sempre più ricchi e potenti. Dall’altro la separazione tra le metropoli e la provincia e la campagna è diventata più lacerante. La coesione sociale, in Francia, è seriamente minata. Il problema non è solo francese. La crisi politica e sociale tedesca – l’altro grande pilastro della costruzione europea – è drammatica.
Tutta l’Europa appare attraversata da tensioni senza precedenti, nelle quali le forze che soffiano il fuoco sulla paura e sul nazionalismo hanno, almeno nel breve termine, facile gioco. Il successo, per molti inatteso, dello sciopero generale in Italia, promosso da Cgil e Uil, rappresenta plasticamente la linea di faglia che spacca le società europee. Le dimissioni di Carlos Tavares e la crisi Stellantis, la drammatica crisi Volkswagen e le decine di crisi industriali e aziendali in Italia e in Europa raccontano qualcosa di più profondo. È forse finito un ciclo e occorre un pensiero nuovo.
Il rigorismo europeo fino alla pandemia ha bruciato il vecchio riformismo – per usare un neologismo è stato, dalla crisi greca a quella attuale tedesca, rigormismo -. E dopo i cordoni allargati nella pandemia, fino al Next generation Eu e al nostro Pnrr, l’Europa, con maggiore o minore consapevolezza, ha imboccato la strada del riarmo, senza operare per impedire che dilagasse il conflitto ucraino-russo e poi quello mediorientale. Le industrie belliche lavorano a pieno ritmo, ma la vita per la classi medio-basse è diventata sempre più difficile.
C’è questo sullo sfondo della crisi francese. La vera strada per Macron, per concludere la sua presidenza, dovrebbe essere, dopo la festa per l’inaugurazione di Notre Dame, di dare l’incarico a una personalità della sinistra. Di provare a fare una politica – che nella vicina Spagna Pedro Sanchez, pur con difficoltà, sta cercando di portare avanti – che abbia una capacità di nuova coesione sociale. Ma sono scettico sul fatto che questa scelta verrà fatta. Con ogni probabilità si andrà verso nuove elezioni, dopo quelle tedesche, cariche di incognite. Vedremo.
È certo che occorrerebbe oggi alla sinistra francese coraggio, innovazione e visione, oltre gli schemi del passato. Una sorta di nuova Epinay – la cittadina dove Mitterand realizzò più di cinquant’anni fa un capolavoro politico dando vita a un nuovo corso socialista-, nell’era della rivoluzione digitale e del rischio di una guerra globale.
[Di Pietro Folena, da L’Unità del 6 dicembre 2024]