di Francesco De Luca
Stamane (25 nov.) ho trascorso una mattinata piacevole. Perché? Perché mi sono intrattenuto a chiacchierare coi pescatori incontrati giù al porto.
Per così poco? – direte voi. Per me è stato interessante e piacevole. Sarà che, pur natìo dell’isola, mi ci sono allontanato da ragazzo (dalle medie in collegio), e il legame che mi univa con le caratteristiche proprie del paese era rappresentato soltanto dalla famiglia. Vi sono tornato a 23 anni e ho tentato di ricucire il rapporto pieno con l’isola. Tutti i miei scritti attestano la ricucitura. Per cui l’esperienza viva, sanguigna del vivere a Ponza l’ho avuta da grande, e però, questa volta, mediata da una mente ormai formata e per nulla ‘tabula rasa’.
Al molo Santa Lucia
(dall’archivio fotografico di Rossano Di Loreto)
E così, sollecitato dall’articolo Personaggi emergenti sul Sito, mi sono deciso a chiedere ai compaesani pescatori dei loro ricordi sulla foca monaca a Ponza, ovvero su ’u voie marino, come diciamo noi.
Ho parlato coi pescatori con grande esperienza (Livio Sacco, Raffaele Sandolo, Paolo), con anziani (Serto Nunzio), coi coetanei. E, si sa, come vanno queste conversazioni… io a chiedere e loro a rispondere nel modo più libero…
Questa cosa a me dà soddisfazione perché dall’ attualità si retrocede al passato, dall’economia alla politica (è inevitabile), saltando sugli argomenti come fa il grillo sull’erba.
Pensate… uno mi ha riferito che lui una foca la catturò quando lavorava su un peschereccio in Sud-America. La foca cacciava i calamari (…là so’ gruosse dieci chile) e loro pescavano i calamari. Ne tirò su una. Stava per toglierle l’amo e lasciarla andare quando il proprietario della barca lo fermò incollerito… non si buttava niente.
A Ponza la foca monaca (monachus monachus) è stata presente sino agli anni ‘50.
Diverse erano le grotte dove riposava. Quella sotto la Torre borbonica ne riporta il nome (’a rotta d’u voie marino), e da lì già nel Ventennio fascista era scappata, a causa del traffico di imbarcazioni, militari e non, nel porto.
Un’altra presenza è stata impressa nel nome ad una grotta a Zannone, lato est (ancora, ’a rotta d’u voie marino), mi suggerisce Paolo.
Ugualmente si ricorda la presenza nelle grotte di Capo Bianco, e Raffaele sostiene che nei pressi del fontone, i Fornesi la vedevano sostare.
A Palmarola la presenza fu notata e osteggiata durante il periodo bellico (ultima guerra), allorché i Ponzesi, spinti dal bisogno, si stabilirono in modo continuativo per coltivare la terra e trarne sostentamento dai frutti.
La foca risaliva il dislivello presente fra la spiaggia e il pianoro (’a chiana ’u viaggio), coltivato a vigna, per mangiarne i grappoli d’uva.
In generale non c’è ricordo vivo della presenza della foca, ma da quasi tutti mi viene detto che a Frontone, nel terreno retrostante la spiaggia, una volta coltivato a uva, sovente veniva la foca a mangiare l’uva. Molti mi ripetono questa dicerìa che verosimilmente circolava. “Me lo diceva spesso ’u maesto ’i Fruntone” – mi viene detto.
Interessante è la sicurezza con cui si ribadisce che ancora negli anni ’50 era nota la sua presenza. Come riferì a me, maestro elementare di Forna Chiesa, la madre di Vincenzo Capaciottele ( Vitiello ), ormai vecchia, perché lei ne sentiva da casa sua, ai piedi della Montagnella, i latrati. Saliva allora sul colle e da lì la vedeva prendere il sole sulla roccia bianca della Caletta.
Era una iattura per i pescatori perché fino agli anni ’60 le reti erano di cotone (e non di nylon) e lei le danneggiava alla grande, quando si pescavano i castaurielle (castardelle) o i rutunne (zerri). Stesso cibo per due diversi predatori.
E questo lo sottolinea anche Livio Sacco che riporta i giudizi del padre, pescatore emerito per fama ed età.
Michele Nocerino, mentre mi pesa il merluzzo (nasello) da portare a casa, mi dice che anni fa, pochi anni fa, si parlò fra i pescatori di aver visto una foca. La notizia la tennero per loro… “e perché?” – sbotto io. “Perché – risponde – era estate e notizie del genere fanno scappare i turisti”.
“Che dici? – ribadisco – anzi, li attirano…”
“Quando la notizia viene pubblicata in modo serio… diversamente… chi ci rimette è sempre il pescatore… bonaccione e credulone”.
Non replico, perché di solito l’informazione viene distorta dalla stampa, al seguito dei padroni. Il pescatore non ha padroni e subisce.
Così avviene quando si colloquia coi pescatori. Si inizia con un necrologio e si finisce a tarallucci e vino. Perché per loro il presente è l’argomento più pressante, e la vita vince su ogni pensiero, su ogni cosa.