di Bixio (Antonino Feola)
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Abbiamo tanti resoconti e ricordi dalla parte del porto, ma sul sito mancava il racconto delle avventure subacquee vissute dall’altra metà del mondo (mondo-isola).
La Redazione
Scusate il resoconto, veloce e approssimativo lungo e sotto la costa dell’isola.
Bixio
Prima era ’u fontone (grande fonte)… Notte dei tempi. Un ferragosto mentre sulla strada transitava la processione, laggiù eravamo in quattordici, turisti tedeschi compresi. Facevamo ’i zummezzate (dal verbo ‘sommozzare’) dall’alto d’u malazèn’ sul ciglio del costone roccioso. Età media 16 anni. Gennaro Di Meglio detto ’u ggenerale; Silverio Mazzella detto ’i Priggida; Nando ’u venezziàn’, Benedetto ’u pirro; Gennaro ’i Jolanda; Franco ’i Lisetta, Mario Balzano detto mattosce, troppo filosofo; Americo ’n’copp’ i Sandùl’… Questi eravamo! Poi si presentò Aldo ’u svedese, più napoletano direi. Eravamo nati in mare, lo conoscevamo bene, ci andavamo dentro con una rudimentale maschera col vetro e l’inseparabile fiocina. Con l’ingresso nel gruppo di Aldo Mignola da Goteborg, ribattezzato ’u cavaliere, le cose cambiarono. Le sue teorie e pratiche subacquee ci coinvolsero radicalmente Respirare sott’acqua per noi era qualcosa di straordinario, ci avvicinava ai pesci! L’entusiasmo e le continue immersioni, estate dopo estate, ci formarono grande esperienza e dimestichezza con la strumentazione. Il relitto di forte Papa ’u Bengiamìn’, classe Liberty americano, affondato per impatto sulle rocce del promontorio durante una mareggiata, a margine dello sbarco di Anzio, che avvenne sulla costa di fronte.
Ebbene quel relitto divenne la nostra casa, la meta quotidiana, si scendeva sia in apnea sia con le bombole a – 25 mt. poi fuori alla punta di Capobosco, il relitto di un aereo ce lo indicarono i pescatori locali che spesso vi incagliavano le reti; solo qualcuno vi fece immersione avvistandolo nella sabbia, troppo profondo.
La secca dei mattoni! I mattoni c’erano davvero, per l’affondamento di un’imbarcazione forse addirittura di epoca romana; ma non puntualizzammo bene la situazione. Dovevamo capire che dopo l’impatto sulla secca la galera romana per la deriva e il gioco delle correnti si sarebbe inabissata più lontano.
Arrivarono prima i tedeschi! Scoperti dopo che ci era venuto il sospetto per ripetuti ancoraggi fuori zona: sotto vi era un mare di anfore antiche! Perdemmo l’occasione di essere noi gli scopritori.
La Punta Bianca, sopra ci sono i resti del cunicolo dell’acquedotto romano verso Chiaia di Luna, non credo che la Soprintendenza ne sia a conoscenza.
A Palmarola, solo cocci di fronte alla Forcina e qualcosa fuori le Galere oltre al relitto di un piccolo cargo davanti al faraglione di San Silverio.
Punta della Guardia col suo meraviglioso faro e l’infanzia trascorsa a inerpicarmi per quella tortuosa salita.
Alla base del promontorio inizia il blu profondo, il margine in direzione del quale si scende a meno diecimila verso la Fossa del Mediterraneo, e più oltre, verso sud il vulcano sottomarino Marsili, attivo e secondo gli esperti prossimo ad esplodere… Ci mancherebbe solo lo tsunami!
Ecco le Formiche, scogli affioranti, da lontano danno davvero l’impressione di formiche! Nonostante ripetute immersioni sul versante Est, nessun suono di campane di un paese sommerso secondo la leggenda.
Poi dopo la Punta della Madonna ecco apparire il Cimitero con la preziosissima Grotta di Pilato, una peschiera in cui entrammo col solo mono-bombola nel tunnel sulla destra; negli stretti corridoi di confluenza l’opus reticulatum continua fino sul fondo… Ma come fecero? Lo realizzarono e lo allagarono successivamente?
La Torre borbonica: dal mare si notano massi squadrati giganteschi; verso il cimitero, in area ora interrata, un tempo ville romane si affacciavano sulla baia antistante.
Sotto la Torre un’enorme volta di spelonca dove i locali tirano a secco le imbarcazioni.
Lasciamo stare il porto, solo alcune parti di galere romane distrutte dagli ancoraggi della nave, talvolta qualche parte saliva in superficie incastrata nell’ancora della nave.
Frontone sulla roccia a mezzacosta si individua ancora parte dell’acquedotto romano che da Cala inferno adduceva acqua ai grandi serbatori di Santa Maria (non alla Grotta del Serpente, che è più in alto): serbatoi di servizio alle ville e al porto romano antistante e interrato che arrivava fino ai Conti.
Infine la baia ’i Calenfiérn’ (Cala Inferno), primo approdo di rifornimenti idrico per la flotta romana dopo Ostia, il tunnel idrico attraversa l’isola proveniente da Cala Fontana (Cala dell’Acqua). Nella baia, in base alle mareggiate, ho individuato spesso nella sabbia anfore e altri reperti, subito ricoperti dalla sabbia con la mareggiata successiva; saranno ancora li sotto.
È facile che durante l’approvvigionamento dell’acqua possa esserci stato un incidente navale; ora vi è il relitto affiorante di un cargo che impattò sulle Formiche.
Passiamo per l’Arco Naturale, una piccola cupola sulla costa invidiata da tutti… e via verso l’isolotto di Gavi.
Là vicino, Cala Felci. Fuori la baia sul fondo si individua la presenza di una sorgente sottomarina di acqua dolce.
E Zannone? Coi ruderi del monastero cistercense e nessun serpente secondo la leggenda del monaco, la sua sagoma spesso i pescatori la individuano lungo il ciglio della costa. Quello di strano è la presenza di un massiccio contrafforte in muratura sulla spiaggia verso il Circeo.
E dopo il giro torniamo a Cala Fonte, bella e fragile come Cala Cecata. Il tunnel interrato della ferrovia mineraria, fino a Cala dell’Acqua… il trenino è ancora nella galleria.
Chiudo alla miniera. A Cala dell’Acqua, insabbiato vi è ancora il relitto dell’ultima nave da carico che era attraccata al ponte Derrick.
Sono passati gli anni… Nel frattempo il vecchio Fontone è diventato “Le piscine naturali”, Cala Feola non è più cantiere navale e l’attrezzatura subacquea è rimasta in cantina come cimelio dei tempi andati.