di Adriano Madonna, biologo marino di EClab Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Università di Napoli “Federico II”
Breve cronaca di un viaggio di ricerca scientifica in uno degli angoli più avvincenti dell’Oceano Indiano.
Mi dicono che a 76 anni di età si dovrebbe “tirare la barca in secco”, nel senso che non si dovrebbe più pensare ad andare a “scarpinare” negli angoli più lontani (e a volte più impervi) del mondo per vedere che aria tira laggiù, ma mettersi finalmente a sedere e vivere nel bel ricordo di ciò che si è fatto. Questo sarà anche giusto, forse, ma ciò non toglie che non avrei mai potuto rinunciare ad un progetto nato in collaborazione con l’Università “Federico II” di Napoli, che, tra l’altro, ci avrebbe portato in Madagascar per verificare e studiare gli effetti del cambiamento climatico sulla biodiversità di quell’angolo di Oceano Indiano. E così siamo partiti e siamo ritornati.
Questo, dunque, è il racconto del nostro viaggio, bello, unico e affascinante come tutti gli altri che lo hanno preceduto.
Il viaggio di studio e di ricerca scientifica in Madagascar effettuato in collaborazione con i Dipartimenti di Geologia e di Chimica dell’Università di Napoli “Federico II” si è concluso. Siamo dunque rientrati in Italia con risultati e campioni da esaminare in laboratorio. Tra le attività collaterali svolte, abbiamo tenuto una lezione in diretta dall’isola di Nosy Be agli studenti di alcune scuole della provincia di Latina e un collegamento con il programma Unomattina di Rai 1 il 25 ottobre scorso.
La spiaggia di Nosy Be
A qualche miglio dalla costa di Nosy Be abbiamo avuto la fortuna di vedere lo squalo balena, il più grande pesce del mondo, che può raggiungere una lunghezza intorno ai 14 metri. I pesci possono avere scheletro osseo (osteitti) o cartilagineo (condroitti). Alla classe dei condroitti appartiene lo squalo balena, un gigante, ma un gigante buono perché innocuo: non è aggressivo e si nutre di plancton e pesci. Nuota quasi sempre in superficie ma spesso lo si può trovare in posizione verticale mentre pompa acqua e cibo nella bocca enorme. È un ospite frequente delle acque di Nosy Be, in Madagascar, e noi abbiamo avuto la fortuna di vederlo. Non capita tutti i giorni!
Sono stati giorni interessanti e faticosi, a volte davvero gravosi, con spostamenti tra le varie isole attorno a Nosy Be, la più grande dell’arcipelago, ma le soddisfazioni e i risultati non sono mancati.
Ombrine tropicali
Per le immersioni sulla barriera corallina ci siamo appoggiati al Manta Diving, un centro d’immersione tra i più accreditati. In seguito alle varie discese abbiamo avuto la conferma che gli effetti dei cambiamenti climatici si estendono a macchia di leopardo, cioè in maniera discontinua, interessando aree tra esse lontane e disgiunte. Alcune zone della barriera, infatti, sono apparse toccate in maniera importante dal fenomeno dell’acidificazione degli oceani mostrando coralli morti o almeno in condizioni precarie (in Madagascar ci sono più di 2500 specie di coralli). Altre zone, invece, sono in “perfetta salute” e alcune si sono addirittura estese. Un fenomeno, questo, tutto da studiare.
Il pesce pagliaccio
Le tartarughe marine di Nosy Iranja, un’isoletta ad un’ora e mezza di barca da Nosy Be, sono state il tema di un collegamento in diretta con il programma Unomattina di Rai1. Questi rettili, che periodicamente vanno a riprodursi sull’isola con la deposizione di uova, sembra che siano in pericolo di estinzione o almeno di forte rarefazione a causa di un singolare fenomeno prodotto dal riscaldamento globale. Come ho spiegato in diretta, il sesso dei rettili, e quindi anche delle tartarughe, è dato dagli ormoni: una prevalenza di androgeni genera sesso maschile, una prevalenza di estrogeni quello femminile.
Tartaruga
Dobbiamo considerare che gli androgeni sono i precursori degli estrogeni. Ciò significa che questi ultimi sono una trasformazione degli androgeni dovuta all’azione di un enzima denominato aromatasi. Quando la temperatura è inferiore ai 28°C l’aromatasi si inibisce: si ha, quindi, il blocco dell’aromatasi e gli androgeni non si trasformano in estrogeni. In questo caso i nuovi nati saranno tutti di sesso maschile. Al contrario, quando la temperatura nel nido sale oltre i 29°C, l’aromatasi si attiva e gli androgeni vengono trasformati in estrogeni, con la conseguente nascita di testuggini femmine. Poiché, a causa del global warming, terra e mare tendono a riscaldarsi oltre la norma, è facile che lo strato di sabbia dove le tartarughe marine scavano il nido di deposizione delle uova avrà quasi sempre una temperatura superiore ai 29°C. Ci sarà, dunque, una prevalenza di tartarughe femmine e pochi maschi che potranno fecondarle. La specie, dunque, rischierà l’estinzione o una forte rarefazione.
L’architetto Valerio, presidente dell’AIPU Associazione Internazionale per il Progetto Unesco e collaboratore del DISTAR dell’Università “Federico II”, che si occupa in particolare del Progetto Micromar, cioè dello studio della presenza di microplastiche in tutti i mari del mondo, dopo aver raccolto campioni di acqua e di sedimento nei più lontani angoli del pianeta, ne ha presi anche in Madagascar. I campioni sono già pervenuti ai dipartimenti di Chimica e di Geologia della “Federico II” dove sono in fase di disamina.
Giornate di grande e frenetica attività, dunque, ci hanno accompagnato in Madagascar, e hanno messo a dura prova la nostra resistenza che certamente non è più quella di una volta, ma è pur vero che oltre ad una grande fatica è rimasta anche una immensa soddisfazione per il successo di questo importante viaggio di studio e di ricerca che certamente avrà un seguito.