proposto da Sandro Russo
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Nel settembre 2022, grazie ad Annalisa Gaudenzi, abbiano incontrato Craig Foster e il suo amico polpo (leggi qui – anche video, in inglese). Ora lo studioso viene intervistato da Serenella Iovino per Repubblica, in occasione dell’uscita del suo libro Amphibious Soul, in traduzione italiana.
L’intervista
“Anche noi siamo esseri anfibi”
di Serenella Iovino
– Craig Foster, premio Oscar per il docufilm di culto sul suo “amico” polpo, pubblica un saggio su come vivere il legame con la natura. Per terra e per mare
– Quando reprimiamo la parte selvaggia l’anima ne soffre: dobbiamo riconnetterci alla grande intelligenza biologica del mondo
L’anima, qualcuno ha detto, non è negli individui. È nella relazione. E nella relazione con il mondo vivente – che siano animali, oceani, tempeste, foreste sottomarine, o altri umani con le loro conoscenze ancestrali – si muove il suo lavoro.
Stiamo parlando di Craig Foster, documentarista sudafricano, premio Oscar per quel capolavoro di poesia per immagini che è My Octopus Teacher, tradotto in italiano con il titolo disneyano Il mio amico in fondo al mare. Da decenni un tracker, ossia un esperto di tracciamento, pratica ancestrale che consiste nel leggere i segni lasciati dagli animali, ci racconta la sua esperienza di vita in un libro, Intuizione selvaggia (Harper Collins). Il titolo originale però è un altro: Amphibious Soul. E, a pensarci bene, è proprio in una doppia natura, non solo acquatica e terrestre, che risiede l’anima di cui ci vuole parlare.
“Anfibio” significa molte cose: non è vero, Craig Foster?
«È così. Si può essere anfibi in diversi modi, e io sento molto questa doppia apertura di vita. Sono cresciuto e vivo ogni giorno a contatto con l’oceano, e mi ha sempre colpito la capacità umana di muoversi in questi due ambienti, terra e mare: tra i primati siamo quelli che in acqua se la cavano meglio. Però anfibio è in generale anche il nostro essere al mondo, insieme umano e animale, naturale e culturale, selvaggio e addomesticato.
Quando il selvaggio ci manca, qualcosa in noi ne soffre».
E qui entra in gioco l’anima.
«Questo libro è il racconto di un disagio psichico e di una cura, ma l’anima di cui parlo non è solo la mia.
Tempo fa ho attraversato una profonda crisi. Avevo perso la pace.
Lavoravo senza sosta, non dormivo, ero consumato dallo stress. Poi ho ripreso le immersioni ed è stato come se dal mondo naturale un’anima venisse a me, un’anima anfibia e selvaggia. Perché io entro ed esco ciclicamente dal contatto con il selvaggio, e quando lo perdo sento una spinta fortissima a ritrovarlo.
Immergermi mi calma: è un ritorno alle origini. Scrivere è stata una forma di autoterapia».
Che cos’è che abbiamo rimosso?
«Tre milioni di anni di memorie ancestrali. Il 99 per cento della nostra storia evolutiva ci ha visto vivere selvaggi in paesaggi selvaggi. Non sto proponendo un ritorno a quella condizione: siamo anche la nostra cultura, la scienza, la tecnologia.
Anche a me piace accendere il computer e bere una tazza di caffè.
Però quel lato selvaggio continua a vivere nella nostra psiche, e riconoscerlo dentro di noi ci invita a non distruggerlo fuori di noi».
Il tracking aiuta?
«È un modo di connettersi con questa memoria ancestrale. È un sapere complesso che si apprende a contatto con le popolazioni indigene. I maestri tracker sono in grado di leggere presenze animali dappertutto: non solo nelle tracce disseminate nell’ambiente terrestre o marino, ma addirittura nella luce. È un’esperienza intuitiva rarissima chiamata spirit tracking.A me non è capitato, ma ho trascorso dodici anni a immergermi nell’oceano e ho imparato a conoscere alcuni animali intimamente. Il polpo del documentario è uno di loro.
All’inizio segui i segni: è logico e ovvio. Ma col tempo senti anche qualcos’altro. Una connessione spirituale con la natura selvaggia e con la vita».
Come se immergersi nel mare fosse immergersi nella sostanza delle cose, in una divinità immanente.
«Quando t’immergi ogni giorno, spesso da solo, percepisci che questa gigantesca intelligenza biologica è lì, ed è qualcosa di più della somma delle sue parti. La scienza aiuta, ma più osservi la complessità, più la biologia ti sembra fantascienza. E senti che, se esiste un dio, una sorgente primigenia o comunque lo si voglia chiamare, è lì.
Il mondo naturale, con il suo immenso splendore, è la manifestazione più potente di questo mistero».
Parla come se scienza e mistica si toccassero.
«La scienza ci dà risposte potenti e affascinanti. Ma c’è una scienza antichissima anche nel tracking . Una volta chiesi a un maestro nel Kalahari: “Che significa per te tracciare?”. Lui rispose: “Tracciare è come danzare. È parlare con Dio”. Come sistema di segni, iltrackingè il linguaggio più semplice e antico della Terra. Ma è anche un modo per comunicare con tutte le creature presenti in questo vasto sistema».
È un sapere spirituale?
«Il tracciamento è un sapere raffinato che permette di ottenere informazioni dettagliatissime. Segni di pressione sottili attorno alle impronte possono dirti se la testa dell’animale è sollevata, se guarda a sinistra o a destra, se sta cacciando. Col tempo sviluppi un’incredibile empatia per l’animale che stai seguendo. Non impari solo a predire il suo comportamento, ma a pensare come lui: il cacciatore diventa l’animale».
Come le creature ibride delle pitture rupestri di cui parla nel libro.
«Credo che l’arte rupestre sia profondamente radicata nel tracking .
Non è un caso che le scene di caccia sono predominanti a tutte le latitudini, dall’Europa all’Australia. Ho lavorato a lungo sull’arte rupestre qui in Sudafrica, e insieme alla mia mentore Janette Deacon ho studiato i teriantropi ittiodi, affascinanti ibridi di umani e pesci, risalenti a 1500 anni fa.
Queste figure catturano qualcosa di mistico, perché rappresentano l’unione tra la mente umana e l’intelligenza vitale dell’acqua».
Che cos’è per lei la natura selvaggia, Craig Foster?
«È la madre delle madri. È la forza sotterranea e luminosa che distribuisce vita e la toglie, nel grande come nel piccolo. È la biosfera nella sua ricchezza. Sono i nostri batteri. È la rete di relazioni che tiene insieme il mondo».
Questo ci riconcilia anche con la morte?
«Sì, se ci sentiamo parte di questo mondo vivente, la morte ci fa meno paura».
In acqua. Craig Foster nel docufilm My Octopus Teacher: