di Francesco De Luca
Ieri sera nella soffusa cornice della piazzetta a Ponza, con un po’ di fresco quanto basta per inserire questo novembre nell’autunno, davvero caldo e solatìo al mattino, insieme ad una compagnia speciale.
“Ricordi cos’è ’u carriaggio?” – Così vengo interrogato da uno dei compagni al tavolino del bar.
Rispondo: “No, mai sentito”.
“E certo, tu sì guaglione… E ’u Re-re?”
“Che? – rispondo – Mai sentita questa espressione!”.
“Eppure – mi rinfaccia l’amico – erano giochi molto praticati subito dopo la guerra. I miei dimoravano a Ponza, a Sant’Antonio con alle spalle la Padura, che coltivavano con assiduità e tenacia perché dai frutti di quella terra dipendeva la sussistenza della famiglia”.
Dialogo con un ponzese che mi ha dato del guaglione… a me che porto 78 anni sulle spalle. Lui logicamente ne ha di più… ma questo lo dico soltanto per avvalorare la fondatezza della fonte.
“’U carriaggio – continua – era un gioco che si svolgeva con le trottole, ovvero i strummele”.
Creatore indiscusso degli strummele ponzesi era Pataccone, falegname con laboratorio in via Nuova. I suoi erano i migliori… perché? Perché li faceva col legno del lucigno (quercia), distanti anni luce da quelli in vendita da Nannina ’i Parabula. Questi erano di legno dolce.
“E allora?” – interviene Giovanni, un altro amico con cui ieri sera facevamo comunella.
“E allora, quelli di legno dolce, se venivano battuti con la punta di ferro e con forza, si spaccavano. Quelli di lucigno, al contrario, sopportavano la botta. Da ciò la preferenza di Pataccone!”.
C’è da osservare, a corredo di quanto detto, che il divertimento del gioco non era soltanto quello di intrattenersi coi compagni, bensì, ancor di più, quello di distruggere lo strumento del gioco dell’avversario e contemporaneamente di offesa, ossia ’u strummelo.
Chi vinceva infatti sottoponeva i strummele dei vinti alla battuta. L’attrezzo veniva disposto in una buca e soggetto al colpo – uno solo – d’u strummelo del vincitore.
’U strummelo, come la trottola, ha in basso una punta su cui gira. La punta era un chiodo, più o meno lungo, più o meno grosso.
– E ’u carriaggio?
’U carriaggio consisteva nello spingere, utilizzando ’u strummelo in moto e preso nel palmo della mano, tramite un colpo, i strummele degli altri verso un muro, individuato come arrivo finale.
L’abilità consisteva a) – nel dare al proprio strummelo una carica iniziale efficace e duratura; b) – nel riuscire a trarlo, sebbene in movimento, nel palmo della mano; c) – nello scagliarlo contro un altro degli avversari, che roteava sulla strada, e fargli toccare il punto d’arrivo.
“Un gioco aggressivo, commenta un’ amica seduta accanto”.
Beh, sì… con l’aggravante che la violenza continuava nel sottoporre infine ’u strummelo vinto nella buca e sferrargli il colpo di grazia. Per spaccarlo… Il più delle volte reggeva alla furia e talora no.
Emanuele è ricco di informazioni. Ricorda i nomi dei compagni e anche i soprannomi, e anche quello di un tale che, per contrastare la pena del colpo finale, mise sulla testata del suo strummelo una lamina di metallo, sì da limitare i danni.
Parlo di Emanuele Vittorio, un ponzese con tanti meriti. Gli sarà riconosciuto per sempre l’impresa di dotare Ponza di una produzione vinicola d.o.c. con la creazione delle Cantine Migliaccio.
Ieri sera era particolarmente loquace. Sarà stata la serata propizia o l’atmosfera amicale. Loquace e preciso. Sul ricordo degli anni della fanciullezza a Ponza è una enciclopedia.
“E ’u Re-re?” All’inizio hai accennato a…”
Lo racconterò in un’altra pagina.
Enzo Di Fazio
4 Novembre 2024 at 14:52
Franco continua a sfruculiarci con i suoi racconti stimolati dagli incontri casuali con amici di vecchia data che capitano a Ponza
Questa volta il merito è di Emanuele Vittorio e l’oggetto di attenzioni è ‘u strummele.
Non penso ci sia a Ponza qualcuno della nostra generazione – parlo dei ragazzi degli anni 50 – che non l’abbia avuto e non vi abbia giocato.
Io ho dei ricordi vivi, sia perché ne avevo uno realizzato proprio da Pataccone, sia perché ne ho fatto di carriaggi con i compagni degli Scotti sulle curteglie delle rispettive case dove a turno ci incontravamo.
Quello di Pataccane, peraltro, è stato il primo che ho avuto, trovato nella scarpa messa sotto il letto di casa il giorno dei morti, secondo l’usanza di quei tempi.
Era quella la nostra festa di Halloween.
Mi fa piacere riproporre nell’occasione, visto anche che la ricorrenza dei morti è appena passata, l’articolo “Il giorno dei morti nei miei ricordi di bambino” che scrissi per questo sito il 2 novembre di diversi anni fa.
Franco De Luca
4 Novembre 2024 at 19:35
E vai… così si fa… come l’amico Enzo ( che ringrazio ). Dal sasso gettato nello stagno della quotidianità i cerchi concentrici si allargano. E vanno… e si estendono… a comprendere ieri, oggi e, forse, domani.
silverio lamonica1
6 Novembre 2024 at 19:29
Quanti giochi ho fatto con lo “strummolo”, assieme ai compagni di allora, a Sant’Antonio, quando abitavo “arret’a Padura!”. Mettevamo i brandelli degli “strummoli” rotti in un piccolo deposito che si trovava sopra il servizio igienico esterno, dell’abitazione della vedova Lucia Cuono, mamma della maestra Amelia. Un giorno, la Signora Cuono si accorse dell’ingombro e sbraitando furiosa “sloggiò” in malo modo tutti i frammenti di legno dal ripostiglio, buttandoli in mezzo alla strada che allora era ancora in terreno battuto (inizi anni ’50 del secolo scorso). Ebbene, perdemmo l’abitudine di conservare gli “epici frammenti”, reduci di memorabili “battaglie”.
Talvolta lo “strummolo” traballava e allora si tornava da Pataccone, il quale, dopo aver tolto la punta di ferro dalla trottola e indicando il buco, consigliava: “Ccà dint’, mittece ‘a mmerd’ ‘i ciuccie e po’ ce ‘nfile a ponta ‘i fierre”. Già, perché lo sterco dell’asino faceva da ammortizzatore.
Quanto eravamo diversi dai bambini di oggi, allevati nella bambagia coi videogiochi, playstation e quant’altro.