segnalato (e condiviso) da Giuseppe d’Onofrio, un amico del gruppo whatsapp “Dialettica” di cui faccio parte: uno scritto di Michele Serra sul “Post” (1) di ieri 28.10.2024.
Completezza vorrebbe che riportassimo pure l’articolo di Giuliano Ferrara (2), ma ci accontentiamo della sintesi che ne fa Serra, che personalmente e come sito seguiamo da tempo; d’altronde le posizioni che emergono sono chiare. Propongo ai lettori del sito un tema così complesso e ‘alieno’ con l’intento di confrontare i nostri convincimenti con quelli dei due giornalisti e mostrare come sono svolte le argomentazioni.
Sandro Russo
Non ho mai fatto la guerra…
di Michele Serra
Non ho mai fatto la guerra. Così è capitato, e mi ritengo in dovere di sapere che è un privilegio raro. L’ha fatta mio padre, artigliere in Africa; quella precedente, la Grande Guerra, l’ha fatta suo padre, militare di carriera; un fratello di mia nonna materna, francese, è morto nel ’14, diciannovenne, nella carneficina del fronte orientale. E andando indietro nelle generazioni, non dubito che la guerra abbia dirottato oppure reciso il destino di molti dei miei progenitori. I maschi perché in obbligo, le femmine perché costrette alle conseguenze di quell’obbligo.
Nemmeno Giuliano Ferrara ha mai fatto la guerra, ma è come se ne conoscesse e ne custodisse da sempre, in opposizione a quelli che lui chiamò “panciafichisti”, la natura profonda. In antitesi alle letture un poco piagnone che ne fanno i deboli di spirito. Da che cosa “difende” la guerra, Giuliano Ferrara? Beh, dall’ovvietà del pietismo, dal facile elogio della pace (che effettivamente è banale: come l’elogio della vita, o di una bella giornata), e in ultimo, ieri l’altro, dall’“umanitarismo wokista”, che nello specifico sarebbe il movente che spinge alcuni ebrei italiani ad angosciarsi per i palestinesi reclusi e bombardati, e il sottoscritto ad averne parlato, solidalmente, in una recente Amaca su Repubblica (sul sito, leggi qui, appunto).
Ho scritto pochissimo – quasi niente, fin qui – su quanto accade in quei luoghi segnati dal crisma (o dallo stigma?) di essere “Terra Santa” delle tre religioni monoteiste. Un poco per la pochezza di quello che si può dire e fare comodamente seduti in casa propria. Un poco perché non ne so abbastanza (non se ne sa mai abbastanza, di storia e geografia: e lì, proprio lì, la storia e la geografia si sono addensate e aggrovigliate come in nessun altro posto al mondo). Un po’, anzi soprattutto, perché qualunque frase spesa sull’argomento viene implacabilmente impallinata dai cecchini dei due fronti; anche loro comodamente seduti in casa propria, ma con l’elmetto in testa. La ferrea univocità delle rispettive obiezioni rende faticosissimo, e mi permetto di aggiungere anche molto noioso, partecipare al dibattito più prevedibile del mondo: un sentimento di impotenza già descritto da Luca Sofri in un paio di Wittgenstein (1).
L’articolo in cui Giuliano Ferrara se la prende con il mio elogio di tre libri scritti da ebrei “critici” (Anna Foa, Gad Lerner, Davide Lerner – nell’articolo di Serra, sopra citato; per il libro di Anna Foa, leggi qui -ndr) è la conferma, ennesima, della legge sopraddetta. Una reazione pavloviana a una mia intrusione in un mondo – quello, complicato e multiforme, delle persone ebree e delle loro opinioni su Israele – del quale Ferrara presume, legittimamente, di saperne più di me: e mi spiega di non avere il diritto di distribuire patenti di “affidabilità democratica” ad alcuno, ma men che meno agli ebrei. Ma l’appunto personale è del tutto trascurabile rispetto alla riproposizione, che aleggia quasi in ogni riga, di un assunto antico, molto ferrariano, che trascende di parecchio anche la questione Gaza e dintorni.
La guerra, come la vita – scrive Ferrara citando Amos Oz (4) – sono “intessute di amore e tenebra”, ed è dai tempi della più idiota (sì, la più idiota) delle guerre mosse negli ultimi secoli, quella di Bush e Blair contro l’Iraq nel 2003, che la presenza materiale della guerra in mezzo a noi viventi viene “spiegata” da Ferrara agli smidollati (presente!) come una manifestazione ineluttabile della condizione umana. Vigorosa e terribile è la guerra, vita e morte, sangue e onore, corpi e acciaio, e guai a chi si illude di esorcizzarla con la lagna pacifista, o mettendo in campo l’umanitarismo ante-woke e oggi woke (3). In campo la sola cosa che conta sono i cingoli e gli stivali dei soldati: il suo elogio dei boots on the ground, segno tangibile che la guerra dispone di noi fisicamente, ineluttabilmente, risale a quel vergognoso conflitto, così da farci chiedere, ancora oggi, se gli stivali dei soldati non meritassero di impolverarsi o infangarsi più degnamente in altri luoghi e per altre ragioni.
Leggendo Ferrara quando parla di guerra, anzi di guerre, non viene in mente Il sergente nella neve di Rigoni Stern (che pure gli stivali sul terreno li ficcò eccome), ma Nelle tempeste d’acciaio di Ernst Jünger – non cito i futuristi perché rischierei di fare reclutare GF, immeritatamente, in qualche convegnuccio governativo. Sarebbe improprio, forse anche ingeneroso definirlo bellicista, ma certo c’è molto agonismo, un’idea di virilità combattente che il suo italiano eccellente amministra con pochissime sbavature irose, ma con una costante irrisione per la mollezza ipocrita, l’incertezza ideologica, la renitenza deplorevole alla “prova del fuoco”. Occidente contro Resto del Mondo, questo è il passaggio d’epoca, non avete ancora capito l’antifona? Volete combattere o volete imboscarvi, nascosti dietro le vostre dubbiose obiezioni? Vi illudete di qualche impossibile neutralità? Vi attardate nello stucchevole esercizio di “capire gli altri” quando gli altri non si concedono altro esercizio che odiarvi come fanno, dal 1947, i capi arabi intorno e dentro Israele?
Né io né Ferrara abbiamo mai fatto la guerra, entrambi possiamo parlarne, dunque, con minore cognizione rispetto a Rigoni Stern e Jünger, entrambi soldati seppure così umanamente differenti. Il nostro scriverne è dunque, fondamentalmente, un esercizio di stile. Relativamente al quale, potendo, inserirei comunque qualche variante che renda un po’ meno prevedibili i ruoli.
Si può servire l’Occidente (prendendo per buono il fatto che sia sinonimo di democrazia) senza calpestare, boots on the ground, le vite di altri popoli meno illuminati? Si può pensare che Israele abbia ragione a voler esistere, ma torto nel considerare che questo renda trascurabile ogni altra ragione? Quanto alle patenti di mollezza e durezza, che Ferrara distribuisce, da sempre, con ben maggiore frequenza delle mie patenti di democraticità, visto che la persona più dura, più intransigente che io abbia mai conosciuto si chiamava Gino Strada, vero e proprio guerriero della pace e dei punti di sutura, non sarebbe il caso di ridistribuire le carte, in fatto di capacità di misurarsi con “amore e tenebra”? Che cos’è questa storia che alzare i toni, e se necessario gli schioppi, mette in regola con la severità del mondo e della vita, e abbassarli (i toni e gli schioppi) è un indizio di pusillanimità o peggio di opportunismo?
L’agonismo di GF, anche in politica, è proverbiale e consolidato. Non c’è scontro al quale si sia sottratto, fazione nella quale non abbia militato o che non abbia detestato. Non c’è sfumatura o dubbio o titubanza che lo abbia sedotto. È una postura del tutto lecita (anche se piuttosto faticosa per il circondario), a patto che non pretenda di ridurre lo spettacolo del mondo a un conflitto senza scampo, rimproverando o deridendo chi cerca una via di fuga. Ferrara è una Fallaci molto (ma molto) più brava e coltivata, assai più leggibile, ma non deve adombrarsi se una fetta di mondo, alla quale sento di appartenere da quando vado alle elementari, preferisce Tiziano Terzani.
A ogni buon conto, c’è posto per tutti. In caso di un coinvolgimento senile in un conflitto, GF farà da supporto letterario a un paio di divisioni cingolate e stivalate, a me piacerebbe fare la crocerossina e soccorrere i feriti. Uno dei pochi versi decenti che ho scritto, su Cuore, da poetastro satirico, dice così: “avrei fatto la suora/se ne avessi i coglioni”. Per dire che la questione della virilità, come acclarato dai tempi correnti, si è molto complicata rispetto a quando bastava fare la guerra per sentirsi uomini tutti di un pezzo. Fallaci del resto era una femmina, Terzani un maschio.
Note
(1) – il Post è un quotidiano online italiano, edito e diretto dal 2010 da Luca Sofri. Dal 20 novembre 2000 Luca Sofri gestisce un blog intitolato Wittgenstein dove pubblica riflessioni e articoli di cultura generale.
(2) – Giuliano Ferrara (Roma, 1952) è un giornalista, conduttore televisivo e politico italiano. È stato europarlamentare per il Partito Socialista Italiano (1989-1994) e poi ministro per i rapporti con il Parlamento del primo Governo Berlusconi (1994-1995). È fondatore del quotidiano Il Foglio, che ha diretto dalla fondazione nel 1996 fino al 27 gennaio 2015 (dal giorno seguente la direzione è passata a Claudio Cerasa). È stato editorialista de Il Giornale.
(3) – Woke (stay woke – letteralmente “stai sveglio”) è un aggettivo inglese con il quale ci si riferisce allo “stare allerta”, “stare svegli” nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali. La voce è entrata nei dizionari della lingua inglese nel 2017, attraverso il movimento attivista statunitense Black Lives Matter. Penetrato nel linguaggio politico anche in Europa, Asia e America Latina il termine è ora principalmente usato per designare e stigmatizzare un’ideologia, quanto onnicomprensiva dell’agenda politica della sinistra, la quale comprenderebbe una gamma di posizioni politiche tipicamente progressiste (dal femminismo all’opposizione al razzismo a varie posizioni economiche e sociali di sinistra) [Da Wikipedia – ibidem]
(4) – Amos Oz (1939-2018), scrittore israeliano, tra le voci più importanti della letteratura mondiale, ha scritto romanzi, saggi e libri per bambini e ha insegnato Letteratura all’Università Ben Gurion del Negev. Il libro citato è del 2003, edito in Italia da Feltrinelli
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Appendice del 30 ottobre 2024 (cfr Commento di Tano Pirrone)
La risposta di Ferrara, in file .pdf
Questa è la risposta di Giuliano Ferrara a Michele Serra
Sandro Russo
29 Ottobre 2024 at 10:23
Riporto i commenti da parte del gruppo “Dialettica”
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Luciano: Bello Non è proprio facile rimanere garbati dopo 50000 morti ma Serra ci riesce. Chapeau
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Dora Iacobelli: Bravo come sempre Serra e soprattutto umile, non e’ uno che crede di aver capito tutto, ma di una cosa è certo: che la guerra non fa fare passi avanti all’umanità…
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Maria Fausta Adriani: Sì, bravo Serra, difficile che ne sbagli una. Avevo letto l’Amaca a cui si riferisce e ne avevo molto apprezzato i toni, i contenuti e il linguaggio. Quanto a Ferrara, che dire? Ricordo il padre comunista, un fanatico, violento… Forse deve ancora risolvere il suo rapporto di figlio…
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Sandro Di Macco: Grazie Giuseppe riflessioni condivisibili; troppo spazio dato da Serra ad un personaggio ambiguo che considera sempre l’aggredito ed l’aggressore secondo un suo personale ragionamento e spesso li confonde.
Tano Pirrone
29 Ottobre 2024 at 22:07
Ferrara ha risposto a Serra: per rispettare il bilanciamento democratico delle opinioni, lo propongo per la pubblicazione
In formato .pdf, in appendice all’articolo di base