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Ognuno di noi ha un proprio destino. Si nasce, a caso, in un certo luogo ed una tale famiglia; si muore, non si sa quando, anche per un qualsiasi “accidenti”. Inutili i rimedi per evitare il trapasso. Dicono che attraverso alcuni accorgimenti quello può essere allontanato nel tempo ma non può essere evitato. Quello arriva in modo subdolo e furtivo come è successo a quella povera donna sul cui capo è piombato accidentalmente un vaso mentre passeggiava per una via di Napoli. La stessa sorte poteva capitare anche a me. Mentre, infatti, nel corridoio di una scuola parlavo con una collega, dal soffitto si staccò un grosso lampadario e ci sfiorò. Potrei citare altri episodi che mi sono accaduti ma credo che ognuno di noi potrebbe dire la sua. Solo che molte volte non ce ne accorgiamo se non riflettendoci un po’ su. E allora? Si ritorna al passato!
Tra la nascita e la morte corre una linea o meglio un segmento. Questo è tratteggiato, evanescente, diafano, ondulato, fluttuante, quasi impercettibile. E’ il futuro. A mano a mano che lo calpestiamo, esso immediatamente si pone in risalto come fosse scritto in grassetto: si realizza e si irrigidisce come orma nel cemento. E’ il nostro presente che scorre incessantemente. Tornare indietro così com’era non è possibile. Ci possiamo solo voltare per ricordarlo ma, come orme sulla “rena”, non lo possiamo più calpestare. E, se anche per magia, lo potessimo di nuovo fare, sicuramente non metteremmo più i piedi nella stessa orma. Inoltre: quanto più ci si allontana dall’inizio del segmento, tanto più quei tratti, che una volta erano in grassetto, per effetto del tempo che divora tutto, svaniscono oppure si frantumano in scaglie più o meno grandi oppure ritornano diafani e non li avvertiamo più. Il tutto ci sembra un sogno perché non se ne ha più la percezione.
Quante volte, infatti, con gli amici parliamo del nostro tempo passato, ma non avvertiamo più quelle sensazioni, quella realtà. La quale anche se è stata dura, durissima oppure bella, bellissima non ci appare più tale. Ci abituiamo al presente e desideriamo altro.
Un amico, a proposito dei collegamenti con la terraferma, mi chiedeva come gli abitanti di un’isola potessero vivere, oggi, in certe condizioni (si riferiva ad una persona di Ventotene). Ha sgranato tanto d’occhi quando gli ho raccontato quali fossero i collegamenti di una volta. Ventotene quattro volte la settimana da e per la terraferma. Un poco meglio Ponza. A meno che non capitasse qualche passaggio su… “bastimento”! Ma noi così eravamo abituati. Poi sono arrivati più collegamenti con altre navi. Ora, per le mutate esigenze, non basta più. Sorge però, un problema. Ogni nuova generazione crede che il mondo, l’ambiente ed altro sia sempre stato lo stesso così come lo vive. A meno che qualcuno non voglia sottolineare solo e soltanto alcuni aspetti del passato secondo un proprio punto di vista.
Per evitare questa visione parziale del passato (sempre pericolosa!) bisognerebbe che lo stesso venisse analizzato nel modo più esaustivo possibile. Per fare questo bisogna conoscerlo da diverse angolazioni raccogliendo le notizie un po’ dappertutto. E poi trarre le proprie conclusioni. Insomma ci vuole una buona conoscenza; come d’altronde avviene in ogni campo. Da quello poi si può veleggiare verso il futuro anche in un mare, eventualmente procelloso.
Chi veleggia sa come affrontare il vento ed eventualmente i marosi. Conosce la difficoltà della navigazione anche nella bonaccia. Perché è problematico navigare anche senza vento, con un mare piatto, tranquillo, oleoso: si potrebbe rimanere fermi e non andare da nessuna parte oppure essere trascinati da una debole corrente anche là dove non si vorrebbe andare. Se, invece, si alza il vento, forte o debole che sia, bisogna che il nocchiero dimostri la sua abilità!
17 marzo 1861: l’anniversario dei cent’anni dell’Unità d’Italia sulla Domenica del Corriere
In Europa c’era (da sempre o quasi) una Penisola spezzettata in tanti Stati e Staterelli. Nel corso dei secoli questi erano stati o erano talmente minuscoli che poteva capitare di… dormire con i piedi in uno Stato e la testa in un altro. Lotte furibonde nel loro interno e tra loro. Condottieri e soldati di ventura, da ogni parte d’Europa e dall’Africa. Chi più ne ha, più ne metta. Un guazzabuglio. In quel tempo sarebbe stato difficile studiare la storia e la geografia di questo Paese. Chi si metteva in viaggio passava una frontiera ma dopo pochi chilometri, ne trovava un’altra. Altra fermata, altre leggi, altri doganieri. Come il treno che ferma nelle stazioni di Angri e Scafati: inizia la sua corsa ma dopo un minuto già rallenta perché molto vicine A Mantova quella casata, a Padova quell’altra. A Rimini una e a Ravenna un’altra! Perugia contro Assisi!
Forse da questo è scaturita la pubblicità di Sky per la Champions league! Tutti contro tutti!
Ad un certo punto della storia questi Stati divennero anche merce di scambio tra le casate europee. A te do la Sicilia; anzi no… la Sardegna. Io mi prendo la Lombardia. Lì, a Modena, ci va mio cugino mentre a Parma ci va mio cognato. Quale matrimonio è stato combinato? Allora gli tocca Lucca… no Parma! Aspettiamo la morte di quel sovrano! Poi si cambia bandiera! Insomma nel “bel Giardino d’Europa” ci venivano a passeggiare un po’ tutti! Pertanto qualcuno ha detto che, essendo un… giardino ed anche bello, era giusto che fosse così! Chi infatti non ama passeggiare in un bel giardino!? E cogliere, eventualmente anche qualche frutto o fiore? Anzi ha aggiunto che in quel tempo i sarti erano quelli che avevano più lavoro di tutti. “Essi – dice- trascorsi pochi anni, se non mesi, cucivano nuove divise, livree e nuove bandiere!”
Ma come hanno fatto/fanno alcuni a parlare della purezza della razza italiana? Su quali specchi si sono arrampicati? Chi mai pensava ad unificare una così malconcia Penisola? Pochi soltanto pensavano ad avere una qualche libertà da parte dei rispettivi sovrani ma nient’affatto all’unificazione di quello “Stivale”, sdrucito, sgualcito, strapazzato da ben milletrecento anni! Anche perché si era diversi in tutto. Non parliamo poi dei contadini, isolati da sempre in aperte campagne o sulle balze delle montagne. Abituati da sempre a togliersi il cappello al passaggio di carrozze con stemmi sempre differenti!
Ma se ciò da una parte costituì un problema al momento dell’unificazione, dall’altra è stato anche un bene perché è uno dei motivi per cui la Penisola è piena di magnifiche opere d’arte. Essa, infatti, è costellata da: insigni palazzi con annessi giardini, regge, cattedrali, fortezze ecc. perché, attraverso queste opere, ogni signore: re, principi, duchi (dogi) e granduchi, papi e signorie facevano a gara per celebrare se stessi o la signoria. Queste si trovano ovunque: nella grandi e piccole città ed anche in paesini arroccati sulle colline. Tutto questo, sommato alle vestigia romane e alle bellezze naturali, fanno della Penisola un unicum. Ci hanno lasciato questa bella eredità, per il bene nostro…
Nella prima metà dell’’800, pertanto, per effetto di nuove idee sopraggiunte da oltralpe, soltanto alcuni (pochi) confidavano in una costituzione concessa dai loro sovrani, altri in una confederazione di Stati. Uno solo, Giuseppe Mazzini, pensava ad una Penisola unita con Roma capitale. Egli, capendo che difficilmente i sovrani avrebbero abbandonato i loro possedimenti, propugnava per la repubblica. Per questo era così temuto da tutti i sovrani che sulla sua testa pendevano diverse condanne capitali e cercavano di distruggerlo con qualsiasi mezzo. Anche alleandosi con gli stranieri. Pertanto a ben pensare si può dire che l’unità d’Italia avvenne tra l’altro perché si cercò di debellare gli unici che in quel momento la propugnavano: i mazziniani. Ma questo è uno dei tanti paradossi della storia.
Non pensava, infatti, all’unità d’Italia il conte di Cavour che, volendo, tra l’altro, distruggere Mazzini, aveva accettato, con Napoleone III, la divisione della Penisola in quattro stati: uno a nord sotto Vittorio Emanuele; uno al centro sotto Gerolamo Napoleone cugino di Napoleone III; il Lazio al papa ed a sud un altro stato con un altro sovrano da definire (accordi di Plombiers).
Poiché, però, gli eventi avevano preso un’altra piega, lo statista piemontese ebbe la capacità di incanalarli (“convertendosi” all’unificazione) nella direzione da lui voluta. Insomma, nel bene e nel male, tutto ruotò intorno a… Mazzini! Era scettico anche Vittorio Emanuele II; tant’è che, al momento della proclamazione del Regno d’Italia, volle mantenere il titolo di II. Sostanzialmente per due motivi. Il primo perché i popoli della Penisola, attraverso i plebisciti, avevano chiesto l’annessione allo stato sabaudo cioè, in pratica, si erano sottomessi alle leggi del regno di Sardegna così com’erano. Il secondo perché il suo trono era ancora traballante. Vacillava, infatti, minato da nemici esterni ed interni. I “vecchi” sovrani, infatti (soprattutto Francesco II) tentavano di rientrare nei loro possedimenti. All’interno di questi ultimi circolava, poi, un vasto malcontento (cosiddetto brigantaggio) alimentato da vari fattori. Ma i Piemontesi, memori di ciò che era accaduto al tempo della repubblica partenopea (il passato aveva loro insegnato!), usarono un pugno decisamente molto duro. Il sud, pertanto, fu messo a ferro e fuoco fino a che non si ebbe ragione della resistenza. Altro dramma fu quello di unificare: pesi, misure, moneta e soprattutto lingua. Ogni Stato ne aveva di propri. Ma unificare la lingua fu l’impresa più ardua per una popolazione per la massima parte analfabeta. Si pensa che sia stato scelto il dialetto toscano perché più semplice da scrivere rispetto agli altri dialetti.
Bastarono, però, pochi anni dalla proclamazione del Regno d’Italia perché le nuove generazioni non avessero più sentore dei vecchi Stati e si proiettassero verso il futuro cercando di risolvere i nuovi problemi.
Oggi come moneta abbiamo l’euro. Ma chi ricorda più la lira? L’euro è stato introdotto nell’anno 2000. Orbene per capire a fondo il sistema lira bisogna avere, dico, all’incirca 50 anni. Un venticinquenne, infatti, dell’anno 2000 non aveva ancora in pugno il valore di quella moneta. Chi dei giovani ricorda la cosiddetta “congiuntura”? Chi il serpente monetario? In cui non si entrava quasi mai anzi si stava sempre fuori per effetto dell’elevato debito pubblico (a tal proposito: è cambiato qualcosa, oggi?).
L’introduzione della moneta corrente sollevò perplessità e mugugni perché ci si accorse che tutto immediatamente raddoppiò ad eccezione degli stipendi/salari. Chi non ricorda, tra l’altro, tutta quella polemica sugli aumenti a dismisura degli… zucchini?
Ma dopo un po’ di tempo ci siamo assuefatti. Se fino a pochi anni fa qualcuno faceva ancora i paragoni con i prezzi praticati con la lira, oggi questo è quasi del tutto svanito se non in quelli che hanno una certa età. Ma anch’essi oramai non ci fanno più caso e, giocoforza, si sono rassegnati!
Eppure, ogni tanto, qualche politico, la riesuma facendone una… bandiera di propaganda. Salvo poi non parlarne più ( come sempre accade ma questo in tutti i campi). Bisognerebbe, pertanto, avere memoria di ciò che viene detto e poi non fatto o attuato molto parzialmente! Cioè bisognerebbe voltarsi indietro e ancora una volta ricordare….!
Si può dire, però, che ogni nuova generazione calca il presente proiettandosi verso il futuro. Essa, pertanto, è l’unica responsabile nella scelta del nocchiero più adatto alle sue esigenze, sempreché faccia tesoro di ciò che il passato ci ha consegnato di buono.
Immagine di copertina. La statua dedicata al nocchiero di Enea, a Palinuro.
Palinuro è la maggiore frazione di Centola, in provincia di Salerno in Campania. È una stazione balneare del Cilento, il cui nome è leggendariamente collegato ad un personaggio dell’Eneide, il mitico Palinuro, nocchiero della flotta di Enea che cadde in mare di notte, tradito dal dio Sonno, mentre conduce la flotta greca verso l’Italia.