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Qui a Punta Ala, dove attualmente risiedo, ha costituito la propria base, da circa tre anni, il “Flying Nikka”, un “foil” poco più corto degli AC 75 che corrono la Coppa America.
È lungo 19 metri e, esteticamente parlando, per un marinaio è inguardabile: infatti, è fatto per volare sull’acqua, non per navigare. Mette il naso fuori dal porto solo se il mare è assolutamente piatto e c’è poco vento.
I “foil” sono, attualmente, una delle applicazioni più avanzate della fisica dei profili alari e del principio della “portanza”. Vediamo di cosa si tratta.
Se consideriamo un profilo alare immerso in un flusso (indifferentemente liquido o gassoso), si osserva, con l’ausilio di traccianti radioattivi, che due molecole del fluido, che affrontino, contemporaneamente, il bordo di attacco e seguano una il dorso e l’altra il ventre del profilo, arrivano contemporaneamente al bordo di fuga, pur percorrendo distanze diverse.
Ciò si spiega ammettendo che la depressione, che si crea sul dorso del profilo alare, rispetto alla sovrapressione che si crea sul ventre, svolge un ruolo attivo sul trasporto delle molecole: la “portanza”, appunto.
Questo viene – o dovrebbe essere – insegnato in ogni corso di iniziazione alla vela e spiega perché le barche a vela, fino ad un angolo che consenta l’istaurarsi della differenza di pressione sulle due facce del profilo, possono “risalire” il vento.
Gli AC75 funzionano così, tanto per la parte aerea (vele) che per la parte immersa (foil), con un indice di efficienza elevatissimo.
La navigazione, tuttavia, è una faccenda diversa: riguarda l’interazione tra l’imbarcazione e il mare in tutte le condizioni, non solo quelle ottimali per le regate di Coppa America, che prevedono limiti – minimi e massimi – dell’intensità del vento e condizioni di mare poco mosso.
La vela moderna, in termini di sicurezza, nasce con la regata del Fastnet del 1979, le cui conseguenze imposero le definizioni di sicurezza che, oggi, prendiamo in considerazione per definire le qualità marine di un’imbarcazione: i “foils” le contraddicono assolutamente tutte.
I foils sono dei giocattoli, divertenti da vedere e sicuramente divertentissimi da guidare: le barche sono un’altra cosa.
In generale, possiamo dire che le moderne barche plananti, rispetto alle barche classiche dislocanti, sono strutturalmente più veloci, più leggere e molto più fragili: ma di rado vengono usate in lunghe navigazioni di altura.
D’altronde, la barca classica che “per definizione” è stata progettata per le lunghe navigazioni, lo Swan 65, considerata da tutti come la barca strutturalmente più affidabile, dal 1975 ad oggi, durante l’ultima Ocean Globe Race, un giro del mondo in quattro tappe, ha rotto due volte il timone.
I foils non sono progettati per affrontare la navigazione e sono troppo fragili, strutturalmente, per immaginare questa soluzione come “ il futuro” del diporto o del trasporto nautico, almeno allo stato attuale delle tecnologie terrestri.
Tre anni fa, quando ho incominciato ad occuparmi del Porto di Marina di Cala dell’Acqua, l’amministrazione comunale era stata informata del progetto di sviluppo, da parte di Leonardo, di un prototipo di “ekranoplano”: un’ipotesi completamente diversa.
L’ekranoplano, un concetto sviluppato, negli anni ‘50 dello scorso secolo, da diversi fisici, soprattutto sovietici e anche da un italiano, Roberto Bartini, emigrato durante il fascismo.
Si basa sul principio dell’ effetto suolo : un profilo alare, dotato di una velocità propria, crea sotto di sé un cuscino d’aria che lo sostiene nella prima fase del decollo.
I cosiddetti GEV – Ground Effect Vehicles – funzionano anche sull’acqua e rappresentano un ibrido tra un aliscafo ed un idrovolante.
Immagine da: https://www.e-nsight.com/2021/04/30/
Tre anni fa se ne ipotizzava l’uso per il collegamento con le isole e, in particolare, tra l’aeroporto di Fiumicino e il sud Pontino: inoltre si parlava di realizzarne la produzione nell’area.
I foils avvicinano alla Coppa America e, soprattutto, ai suoi sponsor, una platea gigantesca di spettatori che mai si sarebbero appassionati, né avrebbero compreso, una competizione velica, basata sull’abilità a navigare: così invece, venticinque minuti di “match race” e tutti a casa.
Navigare e trasportare persone, invece, è un’altra faccenda.
Nota della redazione
Qui di seguito un breve articolo da la Repubblica del 20.09.2024 che ha innescato la nostra curiosità. L’abbiamo letto con una certa perplessità perché ci mancavano le conoscenze di base e questo ci ha spinto a chiedere maggiori informazioni a Guido Del Gizzo.
Ritaglio immagine da la Repubblica del 20.09.24. pp. 48-49 (cliccare per ingrandire)
Il commento
Quella rivoluzione chiamata foil. Niente sarà più come prima
di Andrea Iannuzzi – Da la Repubblica del 20 settembre 2024
Quando le barche cominciarono a volare, l’Italia smetteva di essere un’espressione geografica per diventare uno Stato. Nel 1861 sir Thomas William Moy, ingegnere suddito di Sua Maestà che studiava i primi rudimenti di aeronautica, decise di sperimentare l’effetto della portanza alare nell’unico fluido all’epoca disponibile, cioè l’acqua: costruì due appendici sotto la chiglia di uno sloop e poi fece trainare il natante lungo un canale da una squadra di cavalli al galoppo. Senza saperlo, aveva inventato il foiling, cioè il sistema che permette agli scafi di sollevarsi e navigare sopra il pelo dell’acqua, raggiungendo velocità altrimenti impensabili. Passarono molti decenni prima che l’invenzione di sir Moy trovasse applicazione nella nautica, con gli aliscafi a motore capaci di viaggiare a oltre 60 nodi (record stabilito nel 1919 dal modello “Hd-4” dell’americano Alexander Graham Bell, noto per aver conteso il brevetto del telefono ad Antonio Meucci).
Dieci anni prima del foil, nel 1851, uno yacht di nome America si era avventurato nelle acque della Manica per raccogliere la sfida lanciata dal Royal Squadron britannico, che aveva messo in palio la coppa delle 100 ghinee. Gli americani vinsero con tale distacco che, alla domanda della regina Vittoria su chi fosse arrivato secondo, il suo attendente rispose “Non c’è secondo”. Era nata la coppa America. La stessa che oggi vede sfidarsi i mostri volanti della classe AC75: la loro danza davanti al porto olimpico di Barcellona, sospesi sui foil di ultima generazione a velocità medie di 30 nodi, rende lo spettacolo dei match race quanto di più emozionante lo sport della vela possa offrire. Lo sanno gli appassionati ma anche i neofiti rimasti in questi giorni incollati davanti alla tv a soffrire ogni volta che quelle ali gialle si alzavano e abbassavano permettendo alla livrea argentata di Luna Rossa di splendere sopra le onde.
Gli esperti giurano che quella dei foil è una rivoluzione destinata a cambiare un’epoca, una specie di Fosbury del mare: non averli significa non poter raggiungere neppure una frazione della velocità consentita dalle ali sommerse, come si vede quando la barca “cade” sull’acqua.
Il prossimo passo sarà la nautica da diporto, ma anche quella commerciale: già si parla di un collegamento veloce proprio tra Barcellona e Genova su aliscafi di nuova generazione, velocissimi ed ecologici. Intanto, però, c’è una sfida da vincere per la nostra Luna splendente: ci aspettano i sudditi di Sua Maestà, su una barca chiamata Britannia. Gli inventori dei foil contro quelli che finora, tra gli sfidanti, hanno dimostrato di saperli usare al meglio.
[Di Andrea Iannuzzi – Da la Repubblica del 20 settembre 2024]