Racconti

Ti ricordi quei giorni… (seconda parte)

di Fabio Lambertucci.

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Per la prima parte, leggi qui

Andiamo al cinema Nuovo Sacher di Nanni Moretti a vedere Terra e Libertà di Ken Loach, film sulla guerra civile di Spagna del 1936-39.
– Certo se fosse capitata a noi quella situazione, che avremmo fatto? 
– Io non ho dubbi, avrei fatto come l’anarchica Blanca! – proclamò Irina.
– Mi sa che è molto più rivoluzionaria di me, la ragazza! – pensai.
Non ce ne fu bisogno perché nell’aprile 1996 vinse le elezioni l’Ulivo del professore Romano Prodi.

I Nuclei Comunisti Combattenti fecero esplodere di notte un ordigno che danneggiò l’Ufficio Relazioni con il Pubblico dell’Aeronautica Militare Italiana in viale dell’Università.
– Si avvicina la Rivoluzione! – commentò Irina.

Al Sacher vediamo il film iraniano Close Up di Abbas Kiarostami. Dopo la proiezione Irina mi propone una “pausa di riflessione” del nostro rapporto. A malincuore e soffrendo come un cane acconsento. Ascolto per ore la canzone di Guccini Ti ricordi quei giorni, struggendomi.

Vado al cinema, da solo, a vedere il film “Italiani” di Maurizio Ponzi che fu collaboratore di Pier Paolo Pasolini: su un treno di emigranti siciliani diretti nel 1965 al Nord si intrecciano varie storie legate dal capotreno Giulio Scarpati. Trent’anni dopo su un altro treno diretto a Sud scopriamo come si sono sviluppate le vicende. Conosco il regista Ponzi, comunista e grande appassionato di tram romani, perché i suoi anziani genitori hanno vissuto in un seminterrato del mio palazzo. Chissà come sarò io fra trent’anni!

Vado al Concerto del Primo Maggio 1997 e ritrovo per caso Irina. È un bel po’ cambiata, non mi sembra più tanto serena:
– Irina, che bello rivederti!
– Fabrizio, anch’io ne sono molto felice!
– Cosa fai adesso? –
– Sto con quelli dei centri sociali. Ho mollato Biologia e la bella casa dei miei, ora abito al Pigneto e lavoro in un’edicola a Monte Sacro.
– Tu?
– Mi sono laureato con una tesi sull’austro-marxismo, tanto amato dal mio professore. Aspetto qualche concorso per la scuola… 

Del concertone apprezziamo i Litfiba, i marchigiani Gang e i napoletani 99 Posse.
Alla fine lei mi guarda fisso negli occhi e mi implora: – Fabrizio, ti voglio subito!
In moto andiamo alla casetta di vacanza della mia famiglia a Santa Marinella e lì ci amiamo come mai prima!

A letto mentre fuma uno spinello e mi accarezza Irina mi sussurra:
– Fabrizio, sono entrata in un gruppo politico molto serio. 
– Di che tipo? – le chiedo preoccupato.
– Lotta armata… Bierre.
Resto basito. – Ancora! Ma c’è un governo di centrosinistra! – urlo.
– Caro il mio dottore non lo sai che ogni governo borghese è sempre espressione della classe dominante?  – mi spiega ironica.
– Che intenzioni avete?
– Al momento stanno teorizzando poi si potrà passare all’azione! Giurami che quando succederà tu mi aiuterai! –
– Ti amo Irina! Ti prego lascia perdere!
– Fabrizio, anch’io ti amo. Per questo non me lo chiedere mai più e stai sempre dalla mia parte…

– Va bene, amore mio... – cedetti infine.

Così mi ritrovo col nome di battaglia “Fulvio” qui in via Salaria in bici perché non ho la patente e disarmato perché non so sparare ad aiutare la mia amata a uccidere un uomo. Intravedo per un attimo Irina, nome di battaglia “Clara”.
Eccolo, è lui! Calvo e con i baffi neri, porta due borse e sta passando lungo il muro di recinzione della villa. I due nel furgone hanno ricevuto il via libera, scendono e gli si avvicinano. Sento i colpi di pistola. Fuggono con calma su un scooter. Io sconvolto pedalo affannato, in un cassonetto dei rifiuti in via Crispi depongo il documento di rivendicazione e poi mi dirigo verso il Prenestino a via Raimondo Montecuccoli dove Irina ha affittato uno scantinato dove ripongo la bici. Mi viene in mente che in questa strada il grande regista Roberto Rossellini girò la scena iconica di Roma città aperta: i nazisti che sparano a Pina, Anna Magnani, mentre rincorre l’autocarro che sta portando via il suo Francesco. Corro a casa a sentire le ultime notizie.

Lo sconcerto iniziale per l’assassinio del professore, conosciuto perlopiù negli ambienti accademici e governativi, è dissipato dalla telefonata al “Messaggero” e dalla rivendicazione delle “Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente”.

Roma, 21 maggio 1999.
In migliaia affollano la camera ardente del professore al Ministero del Lavoro in via Flavia e in centinaia si recano sul luogo dell’agguato per manifestare il loro rifiuto della violenza politica.

Roma, piazza del Popolo, 29 maggio 1999.
Manifestazione nazionale indetta dai Sindacati contro il terrorismo, parla la vedova del professore. Sto malissimo. Incontro Irina e le dico che da tutta questa storia me ne tiro fuori.
– Fabrizio, ho garantito per te, se te ne vai mi lasci! 
– Irina, non posso, comprendimi, è troppo per me…
– Fabrizio, per fortuna gli altri non ti conoscono, con loro me la vedo io. Amore mio, Addio!

Seguo sui giornali e TV le indagini che prendono però strane piste e ritorna al governo Berlusconi. Finché a Bologna il 19 marzo 2002 uccidono un altro professore, un giurista. Accade poi che il 2 marzo 2003 sul treno Roma-Firenze ci sia uno scontro a fuoco fra tre poliziotti e due brigatisti. Muoiono un agente e un brigatista, l’altra brigatista è arrestata. Si scopre che erano loro due i capi delle Nuove Brigate Rosse. Avevano con sé l’intero archivio del gruppo…

A metà dicembre 2003 ricevo una telefonata:
– Ciao, sono io.
La riconosco immediatamente. Il cuore sobbalza, non riesco a parlare, biascico solo: – Sì…
– Devo vederti. 
– Dove? 
– Da te al mare 
– D’accordo 
Clic.

– Fabrizio, mi hanno individuata per il covo di via Montecuccoli. Ti lascio la bambina. Ha 3 anni e mezzo… 
– Ah, e chi è? – chiedo con il cuore in gola e la bocca secca.
– Tua figlia Blanca. Porta il cognome da nubile di mia madre la baronessa che si è suicidata due anni fa. 
– Me lo dici così che abbiamo una figlia? – la rimprovero urlando.
– Fabrizio, non ho tempo. Devo andare.
– Irina, Irina!

Il 22 dicembre 2003 la Polizia politica arrestò Irina a Santa Marinella in un appartamento di vacanza del palazzo in via Etruria chiamato Il Triangolo. Nascosta in un armadio a muro, non oppose resistenza. Venne poi condannata all’ergastolo, impazzì e il 31 ottobre 2009 si impiccò.

Accesi il giradischi, presi il disco “…quasi come Dumas…” di Guccini con la sua caravaggesca foto di copertina e posai la testina sulla consumata terza traccia:

Ti ricordi quei giorni?/
Uscimmo dopo le canzoni per camminare piano…/
Ti ricordi quei giorni?/
Gli amici bevevano vino, qualcuno parlava e rideva, noi quasi lontano/
vicino a te,/
vicino a me/
e ci parlammo ognuno per lasciare qualcosa,/
per creare qualcosa, per avere qualcosa…/
Ti ricordi quei giorni?/
I tuoi occhi si incupivano, il tuo viso si arrossava/
e ti stringevi a me nella mia stanza,/
quasi un respiro, poi mi dicesti: “Basta,
perché non voglio guardarti,
perché ho paura ad amarti”/
E dicesti, e dicesti e dicesti…/
e tue parole/
quasi io non ricordo più,/
ma nemmeno tu ricordi niente…/
E tu? Io non ricordo più/
che voce hai…/
che cosa fai?/
Io non credo davvero che quel tempo ritorni/
ma ricordo quei giorni,/
ma ricordo quei giorni,/
ma ricordo quei giorni/
ma ricordo…

– Papà perché piangi?
– Niente, Blanca, non è niente…

[Ti ricordi quei giorni (2) –  Fine]

(C) Fabio Lambertucci (2024). Qualsiasi riferimento a fatti accaduti realmente o a persone esistenti è puramente casuale.


Nota di redazione (a cura di Sandro Russo)

La meglio gioventù è un film del 2003, diretto da Marco Tullio Giordana. Racconta trentasette anni di storia italiana, dall’estate del 1966 fino alla primavera del 2003, attraverso le vicende di una famiglia della piccola borghesia romana.

Nella necessità di dover scegliere la foto di copertina del bel racconto di Fabio, mi sono orientato sulla locandina di un film che ho molto amato (lunghissimo, due serate al cinema) che al tempo in cui è uscito abbiamo visto tutti, quelli della mia generazione. Anche se ricorda il terrorismo degli anni ’70, a differenza del racconto contrato sul terrorismo anni 90, le atmosfere me lo hanno ricordato molto.

 

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