Cinema - Filmati

Hitchcock, il Maestro. Intrigo internazionale

di Gianni Sarro

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La filmografia di Hitchcock è corposa: comprende cinquantatré titoli. Ragionando su quelli più importanti in genere si citano Notorius (1946), La finestra sul cortile (1954), La donna che visse due volte (1958, molto più bello il titolo originale Vertigo), Psycho (1960), un poker d’assi che delinea perfettamente il diritto del regista ad essere considerato uno dei grandi geni della settima arte; tuttavia possiamo tranquillamente trovarne altrettanti, di capolavori del cinema, uno per decennio a partire dagli anni venti: Ricatto (1929, primo film di Hitch parzialmente sonoro); L’uomo che sapeva troppo (1936, rifatto dallo stesso Hitch vent’anni dopo); Rebecca (1940, primo film americano), fino ad arrivare agli anni cinquanta e al film di cui vi voglio parlare: Intrigo internazionale (North by NorthWest; 1959) riproposto spesso dalle tv nostrane.

L’inizio è tra i più vorticosi e coinvolgenti della storia del cinema; non parlo della vicenda dei personaggi ma della sequenza dei titoli di testa (creati da Saul Bass, autore anche di quelli di Vertigo, Psycho) cattura subito la nostra attenzione per l’evocazione di una accentuata verticalità. Il disegno si trasforma in immagine del simbolo di NYC, il grattacielo; a rendere la sequenza avvincente e a metterci subito sull’avviso che il film sarà pieno di emozioni è la musica di Bernard Herman (anche lui collaboratore abituale di Hitch, un titolo? Psycho, la sua ultima colonna sonora sarà per Taxi Driver (Scorsese, 1976). Da segnalare altri suoi due abituali collaboratori che tanto hanno contribuito al successo: lo sceneggiatore Ernest Lehmann e il direttore della fotografia Robert Burks.

Intrigo internazionale è una summa del cinema di Hitchcock; vi ritroviamo temi e figure ricorrenti, a partire dal protagonista Roger Thornhill, magistralmente interpretato da Cary Grant.
Chi è Roger? Uno dei due tipici eroi hitchcockiano, tutt’altro che senza macchia e senza paura (al contrario di quello incarnato da James Stewart), è un pubblicitario, scapolo, a cui piace bere, è indifferente ai destini altrui, affabulatore: gioca con le parole per raggirare il prossimo (se guardate con attenzione il primo quarto d’ora del film troverete tutto). Altre ricorrenze: dopo Notorius e Caccia al ladro, l’inseguimento in macchina visto in soggettiva (ocularizzazione interna primaria): definiamoli piloti (a volte ubriachi) euforici. Grant, per gran parte del film, cerca di trovare il fantomatico Kaplan senza capire che in realtà non esiste. Kaplan è un simulacro di una persona, come il cinema della realtà, una delle riflessioni più profonde fatte da Hitch riguardo il cinema. Ancora: l’inverosimiglianza del rapporto tra il tempo e la storia, come in altri racconti hitchcockiani troppo accade in troppo poco tempo, eppure chi ci fa caso?
L’inverosimiglianza è un altro caposaldo della narrazione hitchcockiana, ribadita anche a Truffaut in «Il cinema secondo Hitchcock» (1963, prima edizione italiana solo nel 1977) al quale il maestro britannico spiegò che l’aspetto che gli interessava di più era emozionare il pubblico, non convincerlo che quello che stava guardando sullo schermo era la realtà: come scritto poche righe fa il cinema è un simulacro della realtà, non la sua fotografia.

Tre edizioni italiane del fondamentale libro di Truffaut  del ’63

Anche qui abbiamo “il pretesto” intorno a cui il Maestro imbastisce la storia. Il MacGuffin («scappatoia, trucco, espediente», come lo definisce il regista) è un elemento della storia che serve come inizializzazione o come giustificazione ma che, di fatto, si manifesta senza grande importanza nel corso dello sviluppo della trama del film. Qui è una “scatola nera” che tutti cercano ma di cui alla fine nessuno si ricorda più.

Ancora, in Intrigo internazionale riconosciamo anche il consueto uso dello spazio tipico del cinema di Hitchcock. Prendiamo una delle scene più famose non solo del film ma della storia del cinema: Cary Grant è attirato in una trappola: un appuntamento in un’area deserta, dove è inaspettatamente attaccato da un aereo che lo mitraglia. Sequenza che sorprende non poco il nostro occhio di spettatori. Siamo ai confini della realtà, eppure non pensiamo neppure alla verosimiglianza; viceversa vince la meraviglia e soprattutto la nostra identificazione col personaggio di Grant, verso il quale Hitch sin dall’inizio ci ha magistralmente veicolato. Sempre ragionando sull’utilizzo dello spazio  da parte dell’autore di Gli uccelli (1963) da sottolineare come tutta la sequenza dell’attacco dell’aereo è girata in studio: osservando bene le scene ci accorgiamo come le immagini dell’aereo sia proiettate su uno schermo che si trova alle spalle di Grant, che abilmente ci fa credere di riuscire a schivare le picchiate del suo persecutore volante prima nascondendosi in un campo di mais, poi riuscendo a far schiantare il veicolo su un’autocisterna piena di carburante, che ovviamente esplode. Descritto a parole fa quasi ridere, se lo vedete (anche se lo rivedete) vi terrà incollati allo schermo.

Un’altra sequenza indimenticabile di Intrigo internazionale è quella dove Grant fugge dal palazzo dell’ONU: Hitchcock ci mostra la scena in plongée, ossia una ripresa dove la macchina da presa è collocata molto in alta, si parla di oggettiva irreale, dove la presenza e il ruolo dell’istanza narrante emergono in modo marcato; alcuni la definiscono “il punto di vista di Dio”. Aldilà delle definizioni ciò che principalmente sta a cuore ad è mostrare quanto il protagonista è schiacciato dagli eventi. Fa pensare che qualcuno sta controllando dall’alto. Chi? Perché?

Intrigo internazionale si conclude con un’ancora più inverosimile scena sul monte Rushmore (quello su cui sono scolpiti i volti di quattro presidenti americani: anche in questo caso una ricostruzione in studio) e l’allusiva scena finale dove la macchina da presa dopo aver inquadrato i due protagonisti, che nel frattempo si sono sposati e stanno viaggiando in treno, stacca sul convoglio che entra a forte velocità in un tunnel… come abbia fatto a sfuggire alle maglie della sessuofoba censura hollywoodiana degli anni 50 rimane un mistero… ma d’altronde stiamo o non stiamo parlando del “Re del brivido”, di un autore che ha saputo mettere in scena suggestioni freudiane (pensiamo a Io ti salverò, 1945, con una lunga sequenza onirica ideata da Salvator Dalì) ma capace di parlare a qualsiasi tipo di pubblico?

Immagine di copertina. Foto da www.alamy.com

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