Mare

Quanta gioia

di Francesco De Luca

Se dovessi attribuire a qualcuno o a qualcosa la causa della gioia più grande che ho provato non avrei dubbi. A me la gioia l’ha data il mare.

Si è insediato, come motore di spensieratezza, nell’infanzia, quando ci si ritrovava tutti – coetanei e giovani più grandi, maschietti e femminucce – nella Caletta, ogni giorno, da luglio a settembre, per fare il bagno.
Ha continuato ad affascinare nell’adolescenza e poi nell’età matura, quando si usciva col motoscafetto, tutta la famiglia, per l’intero arco delle vacanze estive.
La spensieratezza che donava uscire dal porto, gli sbruffi d’acqua in faccia, lasciando dietro il dovere, il lavoro, e si andava verso l’avventura. Lungo le coste, sotto i faraglioni, nelle calette, sulle spiagge.

All’avventura… (si fa per dire!) come quella volta che fummo attratti dall’angolino di mare sotto il Cimitero, con alle spalle la falesia gialla: quel tufo farlocco che frana di continuo, in prossimità del faro.
Eravamo usciti allora allora dal porto e già si gettava l’ancora. Sai che avventura…! Ma… quel giorno fummo attratti dalla calma e dall’intimità del posto.
Ognuno della famiglia pensò al suo intrattenimento col mare e io cominciai a perlustrare la base dei faraglioni della Madonna.
Scartai subito la visita alla grotta di Ulisse, che conoscevo a menadito, e rasentavo gli scogli (il turbinìo della vita marina è uno spettacolo: amperepille, pummatore ‘i mare, vavuselle, scunciglie …). Sentii un rumore chioccio, come quando l’acqua entra in un buco chiuso. Porsi attenzione e vidi che lungo la parete, sott’acqua di un metro, la roccia si incurvava in dentro. Presi lo slancio e scesi giù. Al di sotto, nella roccia, c’era un passaggio. Alquanto stretto. Tanto stretto che feci diversi tentativi. Volevo rendermi conto, ma dovevo vincere la paura di rimanere incastrato. Una volta, due, altre ancora, finché mi imbucai nel canaletto che saliva. Fino a condurre ad una nicchietta. Piccola, tanto da contenere soltanto la testa. Con dell’aria racchiusa. Una bolla d’aria.
Ripresi fiato, feci una manovra contorta col corpo, ed uscii. Tutto, a un metro e mezzo sott’acqua.
Rifeci il percorso più volte sia per rendermi conto meglio di quella piccola erosione, sia per  provare l’ebbrezza di respirare l’aria racchiusa nella bolla. Di cui non appariva nulla all’esterno.
Non racconto frottole. La bolla d’aria penso sia sempre là, compressa in quella ampolla di roccia.

Quando ritornai in barca i miei erano abbastanza annoiati perché, preso dalla curiosità, trascorsi tanto tempo. Io a provare divertimento e loro a infastidirsi.

 

 

NdR: la foto di copertina è di Rossano Di Loreto

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