Antropologia

La gente di Calacaparra, dalla conferenza di Rosa Parisi

di Francesco De Luca

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Dalla conferenza della professoressa Rosa Parisi, tenuta a Calacaparra la sera del 24 agosto sulle famiglie trapiantate a Le Forna con la colonizzazione borbonica del 1772-74.

Parisi ha confessato d’essere venuta a Le Forna nel 1980, subito dopo la laurea in antropologia, per uno studio sulle comunità isolane e la pesca.
Scelse Ponza perché, con l’aiuto della Cassa per il Mezzogiorno, la flotta peschereccia dell’isola era in espansione. Vuoi per la pesca a pesce-spada, vuoi per la pesca ad alici, vuoi per quella con le nasse.

Le norme sulla pesca, in sintonia con i dettami comunitari, incrementavano la dotazione delle reti e dei palamiti. In modo non oculato, lo diciamo oggi, ché assistiamo al depauperamento inarrestabile della fauna ittica nel Mediterraneo. Anche in conseguenza delle scelte dissennate prese allora.
A Ponza erano attive nel 1980 circa 1900 barche per la pesca. Di varia stazza e per pesche diverse.

Lei prese dimora a Le Forna per frequentare con maggiore agio i pescatori di pesce spada. Conobbe infatti, fra gli altri, Costantino Vitiello (Sacco), la sua famiglia e la sua barca, il San Severino.

Il legame Fornesi-pescatori potrebbe risultare dirimente, in contrapposizione con l’ altro assunto Ponzesi del Porto-contadini.
Questa contrapposizione sinora trovava conferma anche nel fatto che la produzione agricola della zona Porto (vino e ortaggi) superava, nella memoria paesana, quella della zona di Le Forna. E poi, mentre quelli del Porto sono figli dell’isola d’Ischia, anche delle zone interne, quelli di Le Forna provengono da Torre del Greco, città già nota per la pesca del corallo e dell’aragosta.
Ebbene questa dicotomia non poggia sui fatti reali.

A contrastare l’egemonia nella pesca delle famiglie Vitiello e Sandolo di Le Forna, al Porto ci fu la famiglia Onorato. Famiglie, tutte quante, di pescatori non di poco conto, giacché hanno creato flotte di battelli per il commercio, fra l’isola e i porti laziali, fra la Sardegna e la Penisola, fra l’Italia e la Francia (Marsiglia), e la Spagna (Barcellona), fra l’Italia e l’isola di La Galite (Tunisia).
Insomma, per tutto il Mediterraneo commerciarono i brigantini-goletta degli armatori ponzesi. Per non dire della trovata delle mburchielle, ossia quei bastimenti dalle stive bucherellate per il trasporto in vivo delle aragoste e delle anguille.
Ne consegue che la contrapposizione espressa sopra viene meno, mentre si consolida la certezza che sia la comunità di Ponza-Porto sia quella di Ponza-Le Forna, entrambe erano proiettate verso i mestieri del mare e, nel contempo, ben radicate nella cura delle catene e delle parracine, da cui traevano con fatica il sostentamento e, insieme, rassodavano l’identità paesana e famigliare.

Tutto questo in una simbiosi esistenziale e viscerale fra la popolazione maschile, dedita per lo più alla pesca, e la popolazione femminile, dedita al lavoro nei campi.
Quanto sto scrivendo mette in evidenza come nell’incontro con Rosa Parisi non si è parlato soltanto di antropologia, ma si è messo sotto critica la realtà socio-economico-politica di Ponza negli ultimi quarant’anni. La qual cosa ha un po’ deluso, giacché si desiderava accedere a conoscenze nuove sulle famiglie dei Fornesi di Calacaparra.

Su tale versante, in verità, non si è detto molto. Se non che l’insediamento coloniale della contrada di Le Forna è avvenuto seguendo la strada delle discese.Insediatosi, il nucleo familiare in un colle, faceva nascere, accanto alle discese, le case. Dapprima una e poi, con l’ingrossarsi della famiglia con nuovi matrimoni, si ergevano altre case, una al di sotto dell’altra, fino alla strada principale.
Presero forma le discese: Sandolo, Falcone, Aprea, Pagano, Vitiello.

La discesa con la stradina che si inerpicava, rappresentava la via comunicativa privilegiata fra gli abitanti. Affratellati anche dai ‘pozzi in comune’, da ‘aie in comune’. Condividendo  lo spazio dove stendere i panni, dove ‘fare le bottiglie di pomodori’, ove accendere la fornacella  per arrostire  i rutunne, dove dire il rosario della quinnecina, dove intrecciare patti per matrimoni e dare una mano per portare a spalla la cassa del defunto.

È un merito indiscutibile quello che va attribuito al Centro Studi e Documentazione Isole Ponziane. E l’incontro di cui parlo, realizzato dal Centro, ne è un’ulteriore prova.

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