di Tonino Impagliazzo
“Corri… fai presto che il vapore ha buttato l’ancora”… da quel momento noi ragazzi abbandonavamo il gioco e andavamo ad assistere, dalle scogliere prospicienti il mare, alle operazioni di imbarco e sbarco dei passeggeri e carico e scarico delle merci, operazioni che sarebbero avvenute con l’aiuto delle barche a remi.
Il vapore, gettata l’ancora, apriva la scaletta laterale e subito dopo permetteva alle barche di avvicinarsi consentendo al postino di salire per primo. I passeggeri, che dovevano sbarcare, recuperavano i bagagli personali mentre altre barche erano invitate a recarsi a prua per lo scarico delle merci ingombranti e degli animali vivi.
Il vapore, per gli abitanti delle isole, ha rappresentato quel legame profondo che, negli anni, ha permesso agli isolani di arrivare sul continente e di poter prendere il tram dello studio e del lavoro per continuare a credere in una scelta di vita ancora da compiere. Ha consentito anche di poter accedere ad un’assistenza sanitaria che l’isola non poteva garantire.
Quando le condizioni meteomarine non consentivano la sosta all’ esterno del Porto Romano, l’attività di carico e scarico avveniva in località Parata Grande su di una piattaforma di tufo. In detto luogo, per superare il dislivello tra il mare e la stradina di Via Parata Grande era necessario percorrere circa 80/120 gradini e un breve tratto a piedi sul ciottolato marino della spiaggetta di Parata Grande.
Il tempo della sosta nella darsena di Parata Grande non consentiva il “carico e lo scarico” delle merci ingombranti e di grosso peso, per cui le relative operazioni venivano rimandate al giorno dopo.
Negli anni del dopo guerra (1945/1955) la SPAN (Società Partenopea Anonima di Navigazione) stipulò con lo Stato una “Convenzione di servizi” per il collegamento del Golfo di Napoli con le Isole Partenopee (Pontine), per il Servizio Postale, il Servizio Socio-Sanitario ed il Servizio passeggeri. La convenzione consentiva alla Società di effettuare due viaggi alla settimana, il martedì e il giovedì, per collegare Napoli a Ponza e viceversa, e due viaggi alla settimana, il sabato ed il lunedì, per collegare Ponza con Ventotene e Gaeta e viceversa (il porto di Gaeta verrà sostituito negli anni ’60 dal porto di Formia).
Sulla banchina del Porto Romano di Ventotene, per la consegna delle merci ordinarie e dei bagagli di grosso peso, operava una carovana di facchini addetta al trasporto a spalla o con animali da soma o con carrozzelle dotate di cuscinetti a sfera.
In quel periodo le barche dell’isola, fornite di licenze, erano quelle dei fratelli Musella (Stefano e Raffaele) che garantivano il servizio di carico e scarico di ogni tipo di merce, ivi compresi gli animali vivi. Il terzo fratello dei Musella (detto Crescenzo, di soprannome Fessillo) svolgeva il compito di delegato delle Poste per la posta ordinaria, i plichi speciali e i pacchi postali in genere, mentre le barche di Andrea Catuogno e Antonio Catuogno (detto Taturiello) garantivano il servizio nave ed il collegamento tra Ventotene e Santo Stefano con proprie barche.
Il fischio della nave, simile ad uno stridulo acuto, era per noi ragazzi solo l’inizio del nostro curiosare perché il prosieguo, fatto anche di emozioni, si svolgeva subito dopo davanti all’ufficio postale (Piazzetta Posta) e, più precisamente, sulle scalette di Silvia (coniugata Balzano, detta la Ponzese) dove Fortunatina Vallinoto, la postina, consegnava, chiamando gli interessati ad alta voce, lettere, plichi, pacchi postali ed altro.
Quello era il momento più divertente per noi ragazzi, perché laddove la lettura del nome e del cognome non sortiva risposta, la postina faceva ricorso ai soprannomi, anche di familiari, come Meniello, Rafel ‘o strunz, Capa rossa, Matalena, Cul ‘e chiumme, etc. ). Per noi era come un teatrino familiare, allegro e pieno di emozioni per quello che dalla consegna delle lettere e dei plichi poteva venir fuori… un posto di lavoro, una cattiva notizia, un regalo contenuto in un pacco proveniente dall’ America.
Associavamo la partenza della nave sempre ad una serie di sentimenti che potevano essere l’amarezza di un addio, come per chi emigrava per le Americhe, o la velata tristezza per chi andava ad adempire il servizio militare o chi faceva ritorno al collegio. Poteva anche essere la preoccupazione per una visita medica da fare a Napoli o la gioia di una promessa sposa che andava a comprarsi il corredo.
Il collegamento marittimo, tra l’area Partenopea (Napoli) e le Isole Pontine, negli anni ’50, consentiva alle comunità isolane di poter usufruire di una Assistenza Sanitaria meglio organizzata, di Servizi Catastali e Legali, Servizi Giudiziari e Notarili efficienti e, infine, anche della disponibilità di una rete vasta di negozi per acquistare capi di abbigliamento.
Il servizio Marittimo per le Isole Pontine consentiva allo Stato di migliorare l’assistenza al Carcere di Santo Stefano e garantire ai reclusi una migliore assistenza legale, giudiziaria e familiare e offriva agli abitanti di Ponza e Ventotene la possibilità di vendere i propri prodotti della pesca e dell’agricoltura con conseguente beneficio del bilancio familiare.
Non va taciuto, altresì, che in questo periodo il porto Romano di Ventotene ha iniziato ad ospitare i primi bastimenti a motore (appartenenti alla ditta Mazzella, detto Sigaretta, di Ponza e alla ditta Assenso Nicola di Ventotene) ed alcune piccole motobarche della lunghezza di 12/14 metri, che venivano utilizzate per il trasporto di ridotti quantitativi di merce e del pesce locale. Cito: la barca dei tre padroni di Sportiello Giovanni (Bebè), Santomauro Antonio (detto Mastacciello) e Gotti Antonio (la Cacaglia) e la motobarca Santa Rita di Tatonn ‘o pazze di Mergellina.
Ricordo anche che alcune barche a remi dell’isola, dotate di una minuscola vela latina, in determinati periodi dell’anno, oltre a praticare la normale pesca locale, effettuavano anche viaggi extra verso Ischia e la terraferma (Pozzuoli, Torre del Greco, Castellamare di Stabia e Napoli).
Questi viaggi avevano le finalità più diverse. Erano destinati, per esempio, alla vendita dei fichi d’India sulla piazza di Torre del Greco, o come Pronto Soccorso urgente presso l’isola di Ischia, magari per assistere una donna gravida, oppure per il trasporto e la vendita dei prodotti della pesca a Mergellina e a Pozzuoli, o dell’uva moscata nel porto/canale di Terracina.
Insomma una vita attiva che, grazie al commercio di alcuni prodotti rivenienti dalla pesca e dalla terra e alla pratica di alcuni servizi, consentiva di alimentare i rapporti con la terraferma che significavano innanzitutto ampliamento dei contatti con altre culture.