di Gianni Sarro
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Impagabili, queste sporadiche “pillole di cinema” by Gianni Sarro: infatti non gliele paghiamo. Gliene siamo molto grati, però.
S. Russo
Nell’agosto del 1899 nasce nei sobborghi londinesi Alfred Hitchcock, uno dei geni della settima arte.
Non è che all’inizio il talento di Hitch sia subito apprezzato, ci vorrà l’intuito di alcuni giovani critici francesi a metà anni 50 per per svelare al mondo che il regista britannico è un autore con la A maiuscola. Chi sono questi giovani critici? Godard, Truffaut, Rohmer, i futuri leoni della Nouvelle Vague.
Hitch esordisce dietro la macchina da presa a metà degli anni 20 (1), uno dei primi successi è “Blackmail”, a metà anni 30 Hollywood si accorge di lui: è David Selznick, il produttore di “Via col vento”, a costruirgli ponti d’oro.
È l’inizio di una cavalcata trionfale per Hitch che nel giro di 20 anni gira alcuni capolavori intramontabili come:
Notorius, 1946, con Cary Grant e Ingrid Bergman dove emerge nitido il genio hitchcockiano nel tenere incollato allo schermo lo sguardo dello spettatore.
La finestra sul cortile, 1954 dove il regista trasforma Jeff, James Stewart, un fotografo bloccato da un infortunio sulla sedia a rotelle, nella triplice veste di protagonista, narratore e spettatore.
La donna che visse due volte, 1958, dove emerge con tutta la sua forza il tema del doppio e del sogno.
Psycho 1960, Hitch ritorna su uno dei temi a lui più cari: la spirale dentro cui le vite dei protagonisti dei suoi film cadono, senza a volte saperne riemergere.
Il cinema di Hitch è tutt’oggi moderno, la sua capacità di messinscena impareggiabile, la sua capacità di emozionare intatta.
Alfred Hitchcock with silhouette (by david-lee-guss)
Nota (a cura della redazione)
Lo spartiacque nella sua carriera è rappresentato dal trasferimento da Londra a Hollywood nel 1940, data in base alla quale gli studiosi distinguono la sua produzione in due fasi ben distinte: il “periodo britannico”, dal 1925 al 1939 e durante il quale ha diretto ventitré pellicole, di cui nove muti, e il “periodo statunitense”, tra il 1940 e il 1976, in cui è autore di trenta film tra i quali si annoverano i suoi più noti al grande pubblico (fonte Wikipedia)
Franco Zecca
14 Agosto 2024 at 20:45
La nota di Gianni Sarro su Hitchcock mi ha ricordato il modo in cui in Italia lo abbiamo conosciuto. Si era in epoca pre-cinema (non avevamo né i soldi né alcuno stimolo ad andarci); invece lo propose la televisione in forma di brevi telefilm, della durata di una mezz’ora circa (ne furono programmati diversi cicli, dal 1959 al ’64). Iniziai a vederli dopo che acquistammo il primo televisore, comprato da me con i soldi delle mance del ristorante (Zi’ Capozzi, per chi l’avesse scordato).
Erano brevi storie che raccontavano il crimine perpetrato a volte nelle forme più inimmaginabili e grottesche.
Ricordo ancora la musichetta con cui ogni telefilm iniziava, con l’ombra che scorreva la dx verso sin fino quasi a sovrapporsi alla silhouette disegnata dallo stesso regista. È Marcia funebre per una marionetta, e a suo tempo seppi che era stata composta da Gounod.
Poi cominciava il telefilm, presentato di solito con poche parole dallo stesso Hitchcock. Non me ne perdevo uno!