Pubblichiamo in un articolo unico diversi invii successivi in redazione di Bixio che ci sembrano un amalgama di diversi pensieri, ma a ben leggere hanno una omogeneità sostanziale.
S. R.
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Aldo, il cav. svedese-napoletano, grandi immersioni con lui sulla nave da guerra al forte Papa e intorno all’isola; a 80 anni cantava con la moglie svedese alla chitarra. Lui sapeva e anche noi sentivamo, mentre gli stavamo intorno, che quella sera sarebbe stata l’ultima suonata. Ora giace sepolto nella sua baia di cala Feola…
Lo scorrere della vita a volte lo tocchi con mano.
“Amò l’ isola e Le Forna come propria terra”
Una strada intitolata al “Cavaliere”. Questo e altro dalla stampa di ieri e di oggi
Il luogo: a suo tempo e dalla colonizzazione, era “il fontone” ; poi per i turisti divenne piscine naturali.
Qualcuno ha scritto: “Quel che resta di una tomba imbiancata è il ricordo”.
Credo che la pratica della cremazione che ha preso piede anche sull’isola non sia conforme alla nostra cultura: sparire nel nulla senza lasciare traccia alcuna.
Quello che mi colpiva fin da ragazzo erano quei versi all’ingresso della “città dei morti ” su punta Madonna.
La lapide della famiglia Martinelli ancora oggi riporta malinconico e sereno riferimento al carro di fieno che passa racchiudendo il significato della vita. Lì sopra è come una piccola cittadina, un agglomerato di costruzioni arroccato sul promontorio, tra i vicoli e le cappelle vi svolazzano le rondini e altri uccelli (del Cimitero di Ponza, leggi sul blog di Francesca Iacono ‘Frammenti di Ponza’).
Il silenzio e il vento non sembrano destare particolare paura, i volti di amici e gente conosciuta che ti osservano dalle pareti ti conforta testimoniando quando sia labile quel sottile confine tra la vita e la morte.
Nella cappella Zecca, sul lampadario una coppia di passeri da anni ha costruito il nido al riparo dalle intemperie, entrano da una finestrella posta più in alto, me lo faceva notare Elio, un tenero e dolce segnale vicino e forte sulla continuità della vita…
Chissà? Forse… Non so.
Fate voi, vi lascio al vostro pensare…
A questi anni, non puoi non notare la cecità delle persone. Nessuno può sentirsi superiore agli altri ma a volte sei quasi ‘costretto’ a certe considerazioni. Si riuniscono e fanno salotto con sfoggio di cultura spicciola, scontata e inconcludente – loro se la cantano e se la suonano. Ci sentivamo e ci sentiamo più a nostro agio col cosiddetto – lo affermano loro – “basso ceto sociale”, in cantine, in bettole, intorno ai tavoli a carte degli anziani da cui si sollevavano bestemmie e imprecazioni per la carta migliore; nei vicoli dove le vecchiette sedute vicino alla porta di casa filano la lana; il gatto che gioca col gomitolo, a poppa della zaccalena, pescatori di poche parole riparano la rete senza alzare la testa dal lavoro, il contadino piegato dagli anni e dalla fatica sopra la zappa: – Niente pioggia niente vendemmia quest’anno!
È questa la mia gente! Io appartengo a loro, a quel mondo perduto, a quella cultura, poco esposta, poco apprezzata, mai protagonista ma di uno spessore unico!
Estemporanee iniziative estive, lasciano il tempo che trovano!
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Nota di Sandro Russo del 31 luglio (Cfr. in Commenti)
L’ultima estate di Klingsor (la mia edizione, negli Oscar Mondadori è del 1979)
L ultima estate di Klingsor (Klingsors letzter Sommer, 1920) è un romanzo breve dello scrittore tedesco-svizzero Hermann Hesse (1877 – 1962). Combina elementi autobiografici e fantastici, e riflette il momento di profonda crisi vissuta dall’autore negli anni venti (fonte Wikipedia)
Qui di seguito, l’incipit del romanzo (pag. 168)
«Un’estate appassionante e intensa era cominciata. Le giornate, cocenti in tutta la loro durata, divampavano via come bandiere ardenti; alle brevi afose notti di luna seguivano brevi afose notti di pioggia veloci come sogni e sovraccariche di immagini passavano febbrili le lucide settimane»
E in chiusura, l’inizio e la fine dell’ultimo capitolo: “Autoritratto”
pag. 214
Nei primi giorni di settembre, dopo molte settimane di sole cocente e insolitamente asciutto, ci furono alcuni giorni pioggia. In quei giorni Klingsor, nella sala dalle alte finestre del suo palazzo a Castagnetta, dipinse il suo autoritratto che ora è esposto a Francoforte. Questo terribile, eppure bello e affascinante dipinto, la sua ultima opera portata a termine, sta alla fine del lavoro di quell’estate, alla fine di un periodo di lavoro incredibilmente arroventato, furioso, quale vetta e coronamento. A molti ha dato nell’occhio il fatto che chiunque conoscesse Klingsor lo ravvisò immediatamente in questo quadro, e senza sbagliare, nonostante che nessun altro ritratto sia mai stato tanto distante da qualsiasi somiglianza naturalistica.
(…)
pag. 217
Ormai non c’erano più paura e fuga, ma soltanto la corsa in avanti, soltanto lotta e stilettata, fuga e tramonto. Egli era vittorioso e affondava, e soffriva e rideva, avanzava a morsi, uccideva e moriva, generava e veniva generato.
Un pittore francese andò a trovarlo, la padrona lo accompagnò in anticamera, disordine e sudiciume ghignavano nella stanza strapiena.
Klingsor arrivò, le maniche imbrattate di colore, colore sul viso, grigio, la barba lunga, correndo a gran passi attraverso la stanza.
Il forestiero recava saluti da Parigi e Ginevra e presentò i suoi omaggi.
Klingsor camminava in su e in giù, pareva non udisse, l’ospite tacque imbarazzato e cominciò a ritirarsi, ma Klingsor gli si avvicinò, gli pose una mano sporca di colori sulla spalla, lo guardò negli occhi.
« Grazie » disse lentamente e con fatica, « grazie, caro amico. Io lavoro, non posso parlare. Si parla troppo, sempre. Non se n’abbia a male, e mi saluti i miei amici, dica loro che li amo ». E scomparve nella stanza attigua.
Alla fine di quei giorni sferzati, collocò il quadro terminato nella cucina vuota, fuori uso, e chiuse a chiave. Non lo mostrò mai. Poi prese il Veronal e dormì difilato un giorno e una notte. Poi si lavò, si fece la barba, indossò biancheria e abito fresco., andò in città e acquistò frutta e sigarette per donarle a Gina.
Sandro Russo
31 Luglio 2024 at 09:03
Mentre leggevo gli appunti sparsi di Bixio per ricomporli in un pezzo unico, mi è venuto alla mente, per incoercibile assonanza emotiva un racconto di Herman Hesse, “L’ultima estate di Klingsor” letto molti anni fa: un periodo che leggevo quasi tutto di Hesse: Siddharta certo, ma di titolo in titolo, fino a Il gioco delle perle di vetro.
Ho cercato il libro (copertina nell’articolo di base e nota da Wikipedia). Appena possibile ne scannerizzo l’incipit e l’epilogo.
Anche se molto tempo è passato, Hesse conserva sempre il suo fascino per me.
Bixio
1 Agosto 2024 at 15:22
Non avevo letto Francesca Iacono ma sono in linea con le sue considerazioni.
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Chiarimento della Redazione
Il link ad un articolo sul Cimitero, da Frammenti di Ponza, il blog di Francesca Iacono, si trova nell’articolo di base.