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Paolo Rumiz ci ha portato con é per molte strade, a piedi, in macchina e anche (a Istanbul) in bicicletta: perfino per mare, in barca e intorno a fari sconosciuti (in fondo all’articolo una schermata di articoli sul sito sui viaggi di Rumiz).
Sull’Appia – a piedi – è stato nel 2015 e l’ha raccontato a puntate su la Repubblica e poi in un libro tradotto in molte lingue (Feltrinelli, 2016). Noi siamo andati ad ascoltarlo, al ritorno da quel viaggio, ad un incontro tenuto a Palazzo Chigi, ad Ariccia che proprio sull’Appia insiste (leggi qui).
Abbiamo scritto in quell’occasione:
“Perché questo incontro ci ha interessato, noi che sempre abbiamo Ponza nella mente e nel cuore?
Per gli aspetti della partecipazione dal basso. Per le tante occasioni in cui è stata la disinteressata partecipazione dei cittadini a rendere possibile delle iniziative di civiltà che le istituzioni lascerebbero finire nell’incuria”.
Paolo Rumiz è quindi una delle persone più qualificate per esprimere pareri e dare consigli sulla Regina viarum, da poco promossa a patrimonio mondiale dell’Unesco (leggi qui nel Comunicato Stampa del Comune di Formia).
Qui in un’intervista ripresa da la Repubblica di ieri 29 luglio.
Rumiz: “La mia Appia dimenticata in patria”
di Lara Crinò
Lo scrittore, che ha raccontato il suo viaggio a piedi lungo l’antica strada su Repubblica e in un libro, dopo il riconoscimento dell’Unesco lancia un appello: “Vorrei dire a Sangiuliano quanto sia urgente proteggerla dal degrado, ma finora non c’è stato nessuno incontro con il ministro”
L’inserimento della via Appia nella lista Unesco è stata accolta con toni trionfali dal ministero della Cultura che ne ha promosso la candidatura. Ma se è di certo un riconoscimento importante, guai a considerarlo un punto di arrivo.
Perché occuparsi davvero della Regina Viarum implica che tutte le realtà coinvolte dovranno trovare un accordo e coordinarsi con il governo. Se ciò non accadrà, il suo patrimonio continuerà a essere messo a repentaglio da una gestione lacunosa.
Lo sa bene Paolo Rumiz, giornalista e scrittore, che l’Appia la conosce bene. Nel 2015, sulle pagine di Repubblica, ha raccontato il suo viaggio a piedi da Roma a Brindisi. Ne è nato poi un libro (Appia, Feltrinelli) ma soprattutto un lungo impegno per la sua valorizzazione.
Il logo (di Altan) delle puntate durante la pubblicazione su la Repubblica, nel 2015
Cosa ti ha insegnato il viaggio a piedi lungo tutta l’Appia?
«Il viaggio che raccontai su Repubblica ebbe una valenza speciale. Con le tre persone con cui camminavo, Irene Zambon, Riccardo Carnovalini, Alessandro Scillitani, ci accorgemmo che nessuno negli ultimi due secoli aveva fatto tutta l’Appia a piedi.
Pensammo che l’Italia, da cui ogni anno migliaia di pellegrini partono per il Cammino di Santiago, doveva riscoprire l’Appia, che è ponte verso la Grecia, la Turchia, quindi è una grande via mediterranea».
Cosa implicava riscoprirla?
«Ci mettemmo in contatto con la segreteria di Franceschini, allora ministro della Cultura per parlargli dell’ipotesi di un altro tipo di turismo dentro un’Italia semi dimenticata. Dopo il primo viaggio abbiamo incontrato le comunità locali per far emergere un “popolo dell’Appia”. Abbiamo aiutato National Geographic America a realizzare un reportage, rilasciato interviste, realizzato una mostra che dall’Auditorium di Roma ha raggiunto varie località prima dell’arrivo del Covid. Ma abbiamo capito che i poteri locali spesso vivevano questo interesse per la via come un’intrusione nei loro orticelli. A distanza di nove anni, il riconoscimento dell’Unesco arriva su un’Appia per la quale non solo non è stato fatto nulla, ma in certi casi è stata lasciata a degradarsi. In Campania e in Puglia sono stati realizzati cementificazioni e sovrappassi. Insomma, ci sono lungaggini burocratiche, problemi di competenze, avvicendamenti di ministri. Così che il progetto nato con i 20 milioni di euro stanziati all’epoca da Franceschini è stato falcidiato».
Ora cosa speri per l’Appia?
«Credo che al di là della politica, sia il momento che come in Spagna sia la gente a riappropriarsene, lasciando che siano i piedi a segnare la strada, alla buona, con vernice rossa e pennello. Ho avuto un momento di speranza, in collisione con le mie convinzioni politiche, quando ho visto che andava al potere un governo di destra, ovviamente sensibile alla romanità, e centralista. Speravo che così venissero messi in riga i poteri locali che hanno frenato finora la realizzazione dei progetti di valorizzazione».
Non è stato così?
«Fin da quando è entrato in carica, ho voluto incontrare Sangiuliano per discutere con lui dell’Appia, per fargli presente quanto sia urgente proteggerla dal degrado, ma finora non c’è stato nessuno incontro. E quindi quando c’è stato l’annuncio che la via è entrata nella lista Unesco, ho provato una specie di felicità triste, perché temo che l’Italia faccia una pessima figura. Si sono spesi soldi per avere dall’Unesco un riconoscimento di una cosa che sapevamo già, e invece non si è fatto niente sul terreno. Conosco le regioni dove passa la via: i soldi ci sarebbero, perché non si è riusciti a spendere ancora un euro per questa strada, e questo al di là del colore politico?
Rinnovo al ministro Sangiuliano l’invito a incontrarsi».
La prima schermata degli articoli di P. Rumiz, sul sito
Paolo Rumiz 2011 (da Wikipedia)