Canzoni

Una canzone per la domenica (305). Leonard Cohen, una canzone dovuta, un artista complesso

proposta da Sandro Russo

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Perché la canzone era dovuta è presto detto: perché pensavo che tra le tante canzoni di Leonard Cohen presentate sul sito sicuramente ci fosse anche So long, Marianne (il riferimento è il recente articolo di Elena Stancanelli  dedicato a Leonard e Marianne). E invece, con mia sorpresa, sul sito non c’era.

Ma c’è di più. Ho ricordato un articolo di Gabriele Romagnoli, uno dei miei giornalisti preferiti nel gruppo di eccellenza di Repubblica che aveva cambiato in mio modo di considerare il personaggio – mezzo hippie in gioventù, giramondo, cantore di grandi amori disperati, ma essenzialmente poeta a tutto tondo -, presentandone un’altra dimensione, più oscura e problematica, di scrittore. Che partecipo ai lettori di Ponzaracconta, insieme a due canzoni del Nostro.

Leonard Cohen, two halves (foto Ansa)

Riscopriamo l’autore
Leonard Cohen
Musicista, suo malgrado

di Gabriele Romagnoli – da la Repubblica del 30 luglio 2023

Cantautore prodigioso dalla voce inconfondibile ha inseguito il sogno della letteratura tutta la vita. Alla sua compagna avrebbe dedicato una delle due canzoni indimenticabili con nomi femminili
Amò, litigò, fumò, scrisse e pubblicò altre poesie. Si innamorò di García Lorca
Ma non era quello il suo vero talento Anche se i più non potrebbero neanche immaginare “Il gioco preferito”

Cominciamo dalla fine. Anzi, da sei anni dopo la fine. Dalla pubblicazione postuma, avvenuta in America nel 2022, di quello che avrebbe potuto essere il libro d’esordio di Leonard Cohen: A ballet of lepers. Si tratta di una novella, a cui sono stati aggiunti 16 racconti (uno dei quali è un testo da riprodurre in radio), tutti inediti. Qualche critico ha sostenuto che meglio sarebbe stato lo fossero rimasti. Qualcun altro ha giustificato: di Leonard Cohen non se ne ha mai abbastanza. Oppure sono piaciuti, di per sé. L’autore l’avrebbe comunque considerata una personale rivincita. Sosteneva che quel breve romanzo rimasto nel cassetto fosse migliore di quello con cui poi debuttò, Il gioco preferito. Parere personale: sbagliava, alla grande.
Il balletto dei lebbrosi è inquietante. Leggerlo mette a disagio. Si addentra in spazi della psiche lasciati spesso (e volentieri) in ombra. A un uomo viene affidato il nonno che non ha mai conosciuto. Il vecchio si presenta come un disinibito e forse malato detonatore di violenza, capace di contagiare il presunto nipote. Seguono scene di abusi su donne di ogni età, assalti a pubblici ufficiali, umiliazioni psicologiche nei confronti di altri e di sé stessi, che conducono a un rovesciamento finale dei ruoli, privo di catarsi. Un incrocio fra Stephen King e Michel Houellebecq, ma nei loro momenti peggiori: Misery iniettata di serotonina.
Dunque questo era il Leonard Cohen scrittore che avremmo dovuto conoscere? E se oggi lo facciamo è soltanto perché nel frattempo ha cantato molte canzoni memorabili, con testi poetici e voce unica?

Strano il suo destino. Avrebbe voluto aver successo nella letteratura e ci riuscì ( in parte) soltanto dopo aver fatto altro. Contravvenendo alla teoria di James Hillman (1) sul codice dell’anima che induce a riconoscere il proprio daimon, non lo fece. Equivocò. Fu il piano B a salvarlo. Due volte. La prima quando non comprese la propria vocazione e ricorse alla musica per sopravvivere. La seconda quando l’aveva abbandonata per la vita monastica, ma gli giunse eco che tutto il suo patrimonio era stato disperso da un truffatore e dovette tornare a esibirsi per rimediare.

Il giovane Cohen non avrebbe voluto niente di tutto questo.
Nato a Montreal da famiglia ebraica di origini russe, passato per New York, nel 1960 aveva eletto domicilio nell’isola greca di Hydra. Qui viveva con una splendida norvegese a cui avrebbe dedicato una delle due canzoni con nomi femminili che tutti hanno imparato a conoscere: Marianne (l’altra era Suzanne). La loro storia è raccontata in un toccante documentario (Leonard e Marianne, parole d’amore).

Lui era fuggito dal rigore degli inverni e delle tradizioni religiose. Lei da un matrimonio infelice, di cui portava con sé il figlio.
Entrambi avevano un appetito insoddisfatto per la vita. Per Marianne sfamarlo era il fine ultimo. Per Leonard, un mezzo per arrivare a esprimersi. I suoi testi rifiutati dagli editori risalivano agli anni precedenti. Aveva invece pubblicato un libro di poesie (Confrontiamo allora i nostri miti) diffuso in appena 400 copie.

Per andare oltre ricorse agli acidi, all’amore puro e a quello libero.
Un giorno entrò in una stanza della casa, salì su una sedia con un pennello e un barattolo di vernice dorata e scrisse su tutte le pareti: «I change, I am the same». Cambio, sono lo stesso. All’infinito. Come Jack Nicholson nella pagina su cui batte e ribatte «Il mattino ha l’oro in bocca » all’hotel Overlook Hotel di Shining (2).
Amò, litigò, fumò, scrisse e pubblicò altre poesie. Si innamorò di Garcia Lorca (chiamerà Lorca sua figlia), del socialismo spagnolo, ma soprattutto, seppure a fasi alterne, di sé stesso.
Nel 1963 uscì Il gioco preferito, un romanzo di formazione in cui l’arte non è «una calcolata manifestazione di sofferenza». Tre anni dopo, Belli e perdenti. Tra l’uno e l’altro ancora una raccolta di poesie mai tradotta in italiano, Flowers for Hitler. La ragione risulta evidente.
Tre libri discussi, amati, attaccati. «Una masturbazione verbale » scrisse un critico. Altri scomodarono James Joyce. Era sperimentale, provocatorio, cinico. Era anti-poetico, morale e tremendamente sessuale. Vendette tremila copie.
Non sarebbe stato neppure un brutto inizio, ma non bastava per pagare l’affitto a Hydra, figurarsi a New York dove ora pensava di trasferirsi. Aveva mandato a un discografico le sue canzoni, musica addossata ai versi. Erano piaciute. Andò a provare di cantarle dal vivo. L’uomo che avrebbe fatto una tournée ininterrotta di cinque anni scoprì di avere la fobia del palco, ma seppe vincerla.
Da quel momento davvero cambiò, restando lo stesso.
Il successo come cantante travolse ogni altra cosa: la sua attività di romanziere, la sua storia d’amore con Marianne, una parte della sua anima (forse, quella più nera). A volte diede la sensazione d’esser stato preso in un ingranaggio nel quale anche il sogno principale era stato stritolato.
Esiste un demone della mancata riuscita che perseguita per una vita. Se il talento che volevi mostrare al mondo viene accolto in parte, il resto rischia di non essere mai sufficiente. Non ti piaci mai abbastanza. Non importa quanto ti applaudano mentre canti. Che non ci abbia seriamente riprovato con i romanzi è un indizio. Tuttavia, Il gioco preferito è qualcosa che molti non hanno mai sognato di scrivere.

Immagine dell’articolo di Repubblica. Leonard Cohen (1934-2016) cantautore e scrittore (Andie Mills / Alamy Stock Photo)

Da YouTube, So Long Marianne. Ho scelto questo videoclip perché è il più semplice, concentrato su musica e parole e mostra la copertina del mio album originale (anni ’70, prestato e mai più tornato indietro).

https://www.youtube.com/watch?v=3XzAjfwQtvM

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La seconda canzone, in omaggio, senza sovrapprezzo, è Sister of mercy, un’altra delle mie preferite, sempre dal suo primo album “Songs of Leonard Cohen” (1967).

https://www.youtube.com/watch?v=frWZSAZWs1g

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Come Cohen ha raccontato in diverse occasioni, la canzone è dedicata a Barbara e Lorraine, due ragazze che incontrò a Edmonton durante una tempesta di neve nel 1966:
“Mi trovavo a Edmonton, circa un anno e mezzo fa, quando due ragazze in minigonna vennero a salutarmi in aeroporto, dicendomi che avevo introdotto la moda delle minigonne in città. E si sono prese cura, un’ottima cura, di me. E ho scritto questa canzone per loro.”
“Di notte, sebbene il mio sonno fosse indisturbato, mi svegliai e scrissi questa canzone molto velocemente ed era già pronta prima che si svegliassero e appena si svegliarono – e questo è uno dei bonus di essere un poeta, credetemi – quando si svegliarono cantai questa canzone.”
Il titolo della canzone è uno scherzoso paragone tra le due ragazze molto espansive e l’ordine delle “Suore della Misericordia”, particolarmente dedite all’istruzione e all’educazione cristiana della gioventù (fonte: https://www.fabiosroom.eu/it/canzoni/sisters-of-mercy/).


Note
(a cura della Redazione)

(1) – James Hillman (1926 –2011) è stato uno psicoanalista, saggista e filosofo statunitense. Ha descritto gli archetipi che costituiscono la radice dei miti. E i miti sono le figure nelle quali si incanala e si esprime l’energia dell’anima, delle singole anime viventi: in alcuni casi e situazioni queste figure si impadroniscono del loro ospite, e lì nasce l’alienazione, cioè la perdita di sé. Il codice dell’anima porta come sottotitolo “Carattere, vocazione, destino” (da Wikipedia; ibidem)

(2) – Fa riferimento al personaggio di Jack Torrance (Jack Nicholson), in Shining, di Stanley Kubrick (1980), tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King del 1977

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