segnalato da Sandro Russo, da la Repubblica di ieri
.
Di Massimo Recalcati ((Milano, 1959), psicoanalista e scrittore, editorialista di Repubblica e de la Stampa) da tempo seguiamo e apprezziamo gli scritti per l’acume e per la capacità di interpretare la realtà da un’angolazione psicologica. Questo suo recentissimo articolo sul tramonto di Biden, l’abbiamo letto in una prospettiva più ampia (e coinvolgente), che tiene conto dell’istanza disperata di Bixio sul deserto che vede alle sue spalle (leggi qui) e – adattandolo a un caso più particolare – alle situazioni in cui l’eredità viene dispersa non per incapacità personale ma per cause esterne, come un cambiamento di mentalità e valori e una trasmissione generazionale problematica, come appunto per Bixio o per l’eredità del gruppo redazionale di Ponzaracconta.
S. R.
Le elezioni americane
L’arte di saper tramontare
di Massimo Recalcati
A pag 12 de la Repubblica di ieri: Anche Clooney abbandona Biden “Joe ti amo, ma devi lasciare”
In più occasioni Nietzsche ha ricordato che l’arte più alta che un essere umano può esercitare è quella di saper tramontare. Con una aggiunta che non dobbiamo trascurare. Saper tramontare, scrive, “al momento più giusto”.
Si tratta di un drammatico problema che investe attualmente la figura tristemente patetica e sfinita di Joe Biden, ma che, in realtà, definisce più in generale il carattere essenziale di una leadership politica all’altezza del suo compito.
Un vero leader, infatti, dovrebbe lavorare sin dal primo giorno del suo incarico per preparare la sua successione, per rendere il suo gruppo di appartenenza non dipendente dalla sua azione, per trasmettere il senso più fecondo dell’eredità. In questo senso lo scacco evidente di una leadership com’è quella di Biden mette sotto accusa non solo il soggetto in questione e il suo entourage più familiare, ma un intero partito e una intera cultura politica.
Come è possibile che nel corso degli anni non sia stata coltivata con la giusta attenzione un passaggio di consegne generazionale, la trasmissione efficace di una eredità?
L’arte di sapere tramontare dovrebbe guidare un leader degno di questo nome sin dal giorno del suo insediamento.
Circondarsi non dai mediocri ma dai migliori, guardare con cura alle nuove generazioni, ai loro talenti, affidare a loro compiti e responsabilità, attivare un principio di delega diffuso, non accentrare il potere sulla propria persona.
Si tratta di una versione non patriarcale — non edipica — della leadership che non si struttura più verticalmente ma secondo una orizzontalità plurale. Operazione complessa, più facile a dirsi che a farsi, che ha come presupposto l’idea che il leader non si manifesti essenzialmente attraverso un comando esercitato dall’alto e destinato a trasmettersi gerarchicamente verso il basso, ma come una luce che s’irradia.
La versione verticale della leadership è una versione fallica del potere. Non a caso essa si identifica spesso con il corpo vigoroso o carismatico del leader esibito come un feticcio pubblicitario. Esaltare la potenza virile del leader dovrebbe offrire una garanzia di solidità e affidabilità.
Spesso queste raffigurazioni autoritarie della leadership si sono storicamente impaludate in forme diverse di paranoia. Più, infatti, il potere si concentra nelle mani di un solo uomo e più fatalmente aumentano i nemici potenziali. Stalin elimina uno dopo l’altro i membri del comitato centrale del suo partito accusati di tradimento della Causa. In questo senso lo sguardo del leader che rifiuta il tramonto non vede mai nei suoi figli dei degni successori ma solo dei potenziali parricidi. Questa percezione distorta del rapporto tra le generazioni rafforza inevitabilmente il suo legame con il potere e la difficoltà a staccarsi dalle sue leve. È un problema che ha attraversato anche il nostro paese. Ne abbiamo visti leader che anziché passare il testimone alle nuove generazioni si sono confusi con il partito che dirigevano come se fosse una loro proprietà.
In gioco nell’arte di saper tramontare come virtù fondamentale di ogni leadership è il rapporto del leader con la morte. Tanto quanto la rappresentazione fallica del leader pretenderebbe di oscurarne la presenza facendosi addirittura in alcuni casi simbolo religioso di una immortalità incorruttibile dal tempo, tanto quanto il corpo tremante e smarrito — totalmente svirilizzato — di Biden rivela, come accadde a quello di Berlusconi nella parabola finale della sua carriera politica, una fragilità sconcertante che contrasta con il ruolo che si candida irresponsabilmente a ricoprire. Poiché il vero problema di questa inverosimile candidatura non è tanto quello di vincere la competizione con Trump, ma l’eventualità sciagurata di una sua vittoria. Come potremmo immaginare un uomo così debilitato, confuso, evidentemente a fine corsa, alla guida degli Stati uniti?
Il caso Biden dovrebbe spingerci a pensare a forme femminili della leadership dove l’ingombro fallico non offuschi la visione, dove l’attaccamento al potere non è questione di vita e di morte.
Bisognerebbe ricordare altresì che il tramonto non è solo il tempo di un indebolimento fatale della luce del sole, il tempo della fine desolante della giornata, ma l’incanto di una bellezza struggente, uno spettacolo straordinario che ogni volta ci colpisce.
Dovremmo allora modificare il nostro sguardo per vedere nell’arte del saper tramontare un gesto nobile di trasmissione dell’eredità più che l’esito di un destino crudele, di una caduta senile del leader, di una sconfitta dettata dall’inesorabilità del tempo che passa; un gesto grande che ha in sé la bellezza infinita dei tramonti, il dono di una eredità che resta viva solo grazie a questo dono.
[Di Massimo Recalcati. Da la Repubblica dell’11 luglio 2024]
Immagine di copertina: Monte Cengio ed il Salto dei Granatieri (Altopiano di Asiago): escursione al tramonto (da https://www.giulionicetto.it/ )
Emilio Iodice
12 Luglio 2024 at 12:37
Leadership is not always black or white even if it seems that way. At times leaders sacrifice themselves for a cause they feel is bigger than just one person.
Rodrigo Diaz de Vivar was a Spanish knight known as El Cid Campeador who fought to expel the moors from Spain in the 11th century.
Legend has it that on his death bed he forced his followers to fulfill a promise.
He had become the symbol of resistance to the moors. After a terrible battle the Arabs were convinced El Cid was dead. His loss would demoralize the Spanish forces and the moors would defeat them.
Instead, at the next and most decisive battle El Cid was at the head of his armies. The moors sensing a power greater than themselves panicked and were driven from the kingdom.
In reality Rodrigo was dead.
He demanded that his body be dressed in armour with royal regalia and the flag and mounted on his horse to lead the soldiers into combat.
It worked.
The moors were driven from Spain forever.
In 1944 an American President underwent a physical examination. His doctors told him he was gravely ill, needed to retire or he would not live through another term. The President realized that great challenges were ahead and only he could deal with them even if it cost him his life.
His name was Franklin Roosevelt.
FDR decided he had to run for a fourth term in 1944 because the candidate of the Republican Party Governor Thomas Dewey of New York could not deal with finishing the war which America was fighting on two fronts.
Roosevelt knew he would die soon.
He asked the Democratic party leaders to pick a Vice President for the 1944 campaign who could make the hard decisions to end the war and deal with the post war international difficulties that the United States would face.
They chose Senator Harry Truman of Missouri. He was a pragmatist and known to make decisions based on facts.
Roosevelt was reelected to a fourth term.
Shortly after the inauguration he flew to Yalta to meet with Stalin and Churchill against the orders of his doctors.
The trip of tens of thousands of miles cost him his life.
He died less than a month after he delivered his report to Congress about the trip and the direction of the war which was ending in Europe.
Truman became President after only 80 days as Vice President and was unaware of so many decisions to be made including ending the terrible war with Japan.
The rest is history…
Today President Biden is dealing with a challenge he feels is bigger than himself.
He knows his limitations and his poor health. He sincerely believes he is the only person who can defeat Donald Trump because he believes Trump is a threat to global freedom
Biden believes in the end the people will re-elect his government and his policies even if they are not sure he will finish his term in office.
Biden could certainly retire now and perhaps he should for his sake but not ours.
According to Professor Allan Lichtman of American University Biden still remains the only candidate to beat Trump despite his health and frailty.
Lichtman has a 13 point set of “Keys ” which he has used to successfully predict every Presidential election and he believes Biden should stay in the race, sacrifice himself, and keep Trump out of the White House.
Perhaps in great moment of history like this one the choices are as clear as we imagine or write about.
Soon we will know.
Emilio Iodice
12 Luglio 2024 at 16:28
La leadership non è sempre una questione di bianco o nero, anche se sembra così. A volte i leader sacrificano se stessi per una causa che ritengono più grande di una sola persona.
Rodrigo Diaz de Vivar era un cavaliere spagnolo conosciuto come El Cid Campeador che combatté per cacciare i Mori dalla Spagna nell’XI secolo.
La leggenda narra che sul letto di morte impegnò i suoi seguaci a mantenere una promessa.
Era diventato il simbolo della resistenza ai Mori. Dopo una terribile battaglia gli arabi si convinsero che El Cid fosse morto. La sua perdita avrebbe demoralizzato le forze spagnole e i Mori le avrebbero sconfitte.
Invece, nella battaglia successiva, quella decisiva, El Cid era a capo del suo esercito. I Mori, percependo un potere più grande di loro, furono presi dal panico e furono cacciati fuori dal regno.
In realtà Rodrigo era morto.
Egli aveva chiesto che il suo corpo fosse vestito di un’armatura con le insegne reali e la bandiera e montato sul suo cavallo per condurre i soldati in combattimento.
Questo stratagemma funzionò.
I Mori furono cacciati dalla Spagna per sempre.
Nel 1944 un presidente americano venne sottoposto ad un esame medico completo. I suoi medici gli dissero che era gravemente malato, che doveva ritirarsi e che non sarebbe sopravvissuto per un altro mandato. Il Presidente si rese conto che grandi sfide si prospettavano e solo lui avrebbe potuto affrontarle, anche se gli sarebbe costato la vita.
Il suo nome era Franklin Roosevelt.
Franklin Delano Roosevelt (FDR) decise di candidarsi per un quarto mandato nel 1944 perché il candidato del governatore del Partito Repubblicano Thomas Dewey di New York non poteva farcela a porre fine alla guerra che l’America stava combattendo su due fronti.
Roosevelt sapeva che sarebbe morto presto.
Chiese ai leader del partito democratico di scegliere un vicepresidente per la campagna del 1944 che potesse prendere le decisioni difficili per porre fine alla guerra e affrontare le difficoltà internazionali del dopoguerra cui gli Stati Uniti si sarebbero trovati davanti.
Essi scelsero il senatore Harry Truman del Missouri. Era un pragmatico, noto per prendere decisioni basate sui fatti.
Roosevelt fu rieletto per un quarto mandato.
Poco dopo l’inaugurazione volò a Yalta per incontrare Stalin e Churchill contro le raccomandazioni dei suoi medici.
Il viaggio di decine di migliaia di chilometri gli costò la vita.
Morì meno di un mese dopo aver consegnato al Congresso la sua relazione sul viaggio e sulla direzione della guerra che si stava concludendo in Europa.
Truman divenne presidente dopo soli 80 giorni come vicepresidente e non era a conoscenza delle tante decisioni da prendere, inclusa la fine della terribile guerra con il Giappone.
Il resto è storia…
Oggi il presidente Biden si trova ad affrontare una sfida che ritiene sia più grande di lui.
Conosce i suoi limiti e la sua cattiva salute. Crede sinceramente di essere l’unica persona che può sconfiggere Donald Trump perché crede che Trump sia una minaccia alla libertà globale.
Biden crede che alla fine il popolo rieleggerà il suo governo e le sue politiche, anche se non è sicuro che porterà a termine il suo mandato.
Biden potrebbe certamente ritirarsi adesso e forse dovrebbe farlo per il suo bene, ma non per il nostro.
Secondo il professor Allan Lichtman dell’Università americana, Biden resta ancora l’unico candidato in grado di battere Trump nonostante la sua salute e la sua fragilità.
Lichtman ha stilato una serie di 13 “punti chiave” che ha utilizzato per prevedere con successo ogni elezione presidenziale e crede che Biden dovrebbe rimanere in corsa, sacrificarsi e tenere Trump fuori dalla Casa Bianca.
Forse in un grande momento storico come questo le scelte sono più chiare di come immaginiamo o di come ne scriviamo.
Lo sapremo presto.
Bixio
13 Luglio 2024 at 06:05
Ricollegandomi al “saper tramontare”…
E che problema c’è? Basta attenersi e seguire il corso della natura, il percorso – non il declino -, dovrebbe avvenire serenamente, come presa d’atto di ciò che si è fatto e magari trarne un briciolo di soddisfazione.
Dal presidente degli Stati Uniti al calciatore e campione a fine carriera dovrebbe esserci accettazione e non un arrampicarsi sugli specchi. Insistere a voler continuare può essere definito un caso patologico, il potere, la poltrona, la fama lasciano il tempo che trovano. Se ciò che si pretende di fare non si è fatto in una vita, non può compiersi negli ultimi anni che restano, per questo l’insistere diventa patologia mentale.
All’inizio potere e carriera dovevano essere solo una parentesi della vita e non un fine, un modo di essere. La presente analisi scaturisce solo da una cosciente e consapevole maturazione e non da senile rassegnazione.
La Redazione propone il parere di Michele Serra, da la Repubblica di oggi
13 Luglio 2024 at 06:39
Impresentabile anche da giovane
di Michele Serra da “L’amaca” del 13 luglio 2024
–
L’aspetto più sconcertante del “caso Biden” è che ha quasi azzerato la gravità inaudita del “caso Trump”. Ha attirato su di sé gran parte delle ansie e delle paure dell’opinione pubblica, permettendo che un avversario appena meno vecchio di lui, abbastanza paranoico e abbastanza fascista da esortare i suoi ultras all’assalto del Campidoglio, offensivo con le donne, sotto la soglia minima della decenza culturale, aggressivo e volgare, sprezzante con i giudici e riottoso alla legge, non sia più considerato il vero problema di questo voto che sta facendo gemere di pena e di spavento mezzo mondo.
Si disse (già molti mesi fa) che gli americani avrebbero dovuto scegliere tra un demente e un delinquente, sembrò una battuta, minaccia di essere la realtà. E se non c’è alcuna colpa, ovviamente, nella vecchiaia, c’è invece colpa, eccome, nell’essere delinquenti, anche perché di solito si comincia a esserlo da giovani, nel pieno delle forze. Questa l’abbiano già sentita: la sinistra, con i suoi errori, rischia di spianare la strada alla destra.
Un candidato dem in buona salute, e di età energica, avrebbe permesso di puntare quasi tutti i riflettori su Trump, che è il vero problema, la vera anomalia, il vero scandalo delle elezioni del prossimo novembre. Un candidato inqualificabile che elettori disposti a tutto avrebbero votato a dispetto di qualunque evidenza di indegnità. Ma una fascia di incerti non piccola, anzi decisiva, magari qualche domanda sulla natura umana di Trump se la sarebbe fatta, se non fosse costretta a farsi domande sull’età di un gentiluomo non più nelle condizioni di battersi.