Personaggi ed Eventi

Franchino, o l’arte del coltivare la vite

di Sandro Vitiello

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Io e Franchino ci conosciamo da sempre.
Abbiamo la stessa età, abbiamo fatto le scuole elementari insieme e poi ad un certo punto ci siamo persi di vista.
Lui ha continuato gli studi a Procida, come tanti altri ragazzi dell’isola e io me ne sono andato al nord.Ci siamo incontrati e salutati un sacco di volte, quando stavamo a Ponza per le varie feste.
Ma adesso che la condizione da pensionati ci regala maggiore libertà gli incontri sono diventati più frequenti e per me è stato un piacere ritrovare un amico della mia infanzia.
Lui è rimasto discreto, così come lo ricordavo. Le sue parole sono essenziali e i ragionamenti non abbandonano mai il senso della concretezza.
E così Franchino mi ha invitato a visitare il suo vigneto, prossimo all’abitazione in cui vive, sopra cala Cicata. E’ una vigna abbastanza grande per un consumo familiare, molto ordinata, su un solo livello e molto ben esposta al sole ed ai venti.

I vitigni coltivati sono gli stessi da generazioni: trebbiano, pinot bianco, vernaccia, malvasia e un po’ di uva da tavola. C’è inoltre una varietà sempre di uva bianca dal nome decisamente insolito -macbè- che non mi è mai capitato di sentire. Per lui è quello il nome, sentito così da sempre.
Non è il malbec che tra l’altro è un’uva nera.

Franchino l’arte di seguire la vigna l’ha appresa da sua madre e anche da sua nonna materna.
Nel tempo in cui i maschi di famiglia erano in giro per il mondo imbarcati sulle navi o a pescare fuori da Ponza per intere stagioni, era compito delle donne coltivare la vigna e prepararsi alla vendemmia. A volte i maschi tornavano in tempo, in autunno, ma non era scontato.
E quindi quei riti antichi così come il seguire i vigneti erano demandati alle donne.
E ai ragazzini come Franchino, che apprendevano i fondamenti della potatura e dei trattamenti in vigna.
Così come diventava importante ripetere i gesti della vendemmia. Comprendere il giusto punto di maturazione delle uve, la corretta lavorazione di queste e poi i passaggi finali in cantina che permettessero di valorizzare il raccolto e di ottenere un vino che, oltre che essere buono, si conservasse almeno per l’anno successivo.

I cambiamenti climatici giocano le loro carte anche con la piccola vendemmia ponzese.
Franchino mi ricorda che il pinot bianco ormai esprime un grado alcolico decisamente alto.
“Non è il caso di berlo a mezzogiorno, non riesci più a combinare niente nel pomeriggio”.

Lui che comunque non fa certo un vino di qualità, secondo i moderni canoni, fa sicuramente un buon vino “tipico” con tutti i pregi e i difetti.
Sono i vini appartenuti alle generazioni passate, dove l’uva si portava in cantina tutta assieme, dove il raccolto si faceva in un solo giorno e dove le tecniche di vinificazione erano affidate più che altro al destino.
Eppure erano i vini che davano un po’ di calore nelle giornate d’inverno, quando il freddo si fa sentire anche a Ponza. Era il vino che rallegrava le feste in compagnia, quando si aveva occasione di incontrarsi. E veniva esibito con un certo orgoglio quando un ospite veniva a far visita.
Era parte del nostro mondo.

Mi fa piacere che Franchino continui questa tradizione.

Altre immagini dal mondo di Franchino:

Fiori di carota selvatica (Daucus carota) nella vigna di Franchino

L’apparato per l’irrorazione (un cimelio storico)

1 Comment

1 Comments

  1. Sandro Vitiello

    2 Luglio 2024 at 07:38

    Ho aggiunto altre tre foto del mondo di Franchino, a quelle già presenti nell’articolo

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