Ambiente e Natura

Lavoro nero (3). Come c’entra la politica

segnalato dalla Redazione

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Un ottimo articolo di Carlo Bonini da la Repubblica di ieri, 27 giugno (in prima pagina, con continuazione all’interno), per chiudere la tripletta che abbiamo dedicato al lavoro nero nell’Agro pontino. Non abbiamo bisogno di ricordare quanto quelle zone sono vicine alla nostra isola e come alcuni politici citati nell’articolo sono frequentatori di Ponza e contigui alla politica isolana, anche per recenti interferenze.

Il commento
Di chi è l’Italia peggiore
di Carlo Bonini – Da la Repubblica del 27 giugno 2024

Converrà ricordare le parole che, ieri mattina, nell’emiciclo della Camera, con tono stentoreo ed espressione insieme terrea e severa, la presidente del Consiglio ha usato in memoria del bracciante indiano Satnam Singh. «Una morte orribile e disumana». Conseguenza «dell’atteggiamento schifoso del suo datore di lavoro». E poi, tutto di un fiato: «Dobbiamo dircelo: questa è l’Italia peggiore».
Giusto. Anzi, giustissimo. Questa è «l’Italia peggiore».
E tuttavia, di quale Italia parla Giorgia Meloni? E a quale Italia parla?
Diciamolo usando altrettanta franchezza: parla della sua Italia.
Quella di cui, dal primo giorno in cui si è insediata a Palazzo Chigi, fomenta risentimento e vittimismo e a cui ha garantito impunità fiscale (le tasse «pizzo di Stato»), protezionismo, corporativismo. L’Italia delle piccole patrie e dei mille egoismi, del «se l’è cercata». Quella che «non ne può più delle regole», dei controlli, magari anche di quelli rarefatti degli ispettori del lavoro. Quella del «padroni a casa nostra». Che «non va disturbata se vuole fare, disboscando la selva burocratica e amministrativa che penalizza». La stessa cui con inqualificabile cinismo ha continuato a spiegare, fino all’ultimo giorno di campagna elettorale, che i migranti che muoiono nel Mediterraneo sono tutt’altro che disperati in fuga da guerre, carestie, miseria. Piuttosto, sono voraci migranti economici e dunque una minaccia per il nostro lavoro, le nostre case, le nostre «tradizioni». Come dimenticare la battuta a favore di telecamere in Albania: «Poveri Cristi? Seeeee».

Già, l’Italia peggiore. E dire che Giorgia Meloni conosce benissimo le campagne del basso Lazio e della provincia di Latina. E i tanti «schifosi» Lovato che le popolano (un imprenditore che mentre con la mano destra arruolava con il caporalato braccianti indiani da lasciar morire dissanguati nei suoi campi, con la sinistra incassava più di 800 mila euro di finanziamenti garantiti dallo Stato tra il 2020 e il 2023 per fronteggiare la crisi del Covid). Le conosce quelle campagne non fosse altro perché sono storicamente una delle constituency della destra. Quella, anche geograficamente, custode dell’ortodossia e della memoria. Le conosce lei quelle campagne, come le conoscono il sottosegretario al ministero del Lavoro che ha voluto nel suo governo, il leghista Claudio Durigon, il ministro dell’Agricoltura e “cognato d’Italia” Francesco Lollobrigida e il fidato compagno di partito oggi eurodeputato Nicola Procaccini. Uno, per dire, che ancora nel 2020 aggrediva chi denunciava lo sfruttamento dei braccianti indiani nella campagna pontina, con argomenti pregevoli come questo: «L’Agro pontino non è l’Alabama dell’800. C’è integrazione».

La verità è che Giorgia Meloni sa bene che in quelle campagne, patria del caporalato, il lavoro del sindacato a tutela dei lavoratori è stato sistematicamente umiliato e aggredito da destra perché ritenuto un’intollerabile costrizione della “libertà di impresa”. E chi invoca o reclama diritti è stato aggredito e isolato come un vecchio arnese che puzza di sinistra.
Il punto, allora, è che a forza di cambiare freneticamente maschere e palcoscenici si finisce prima o poi per confondersi.
O, forse, per illudersi di poter prendere per i fondelli tutti e sempre. Dimenticandosi che lingua si parla o si è parlata fino al giorno prima. E che si ricomincerà a parlare dal giorno dopo. A Meloni capita sempre più spesso, prigioniera come è di un’idea rancorosa della politica e dell’ossessione del “nemico alle porte”. Si chiami sinistra, si chiami Europa, si chiamino migranti, famiglie omogenitoriali e più semplicemente tutto ciò che è diverso da sé. Un nemico cui naturalmente imputare il vuoto di politica, di tutele, di diritti che il governo continua a mostrare nella sua grottesca postura oscurantista. Come per altro oggi le rimprovera, proprio sul terreno dei diritti, persino Marina Berlusconi, non certo una nota comunista.

La verità è che da presidente del Consiglio quale è, se davvero volesse onorare la memoria di Satnam Singh, Giorgia Meloni avrebbe una sola strada da percorrere. Semplice. Lineare.
Trasparente. Tagliare il nodo gordiano che lega la sua avventura politica e le scelte del suo governo in materia di diritti, lavoro, diseguaglianze, a quell’Italia che oggi proprio lei definisce «peggiore». Ma l’impressione è che anche questo sia un passaggio impossibile. Diciamo pure contro natura. Un po’ come dirsi antifascisti.

[Di Carlo Bonini – Da la Repubblica del 27 giugno 2024]

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