segnalato dalla Redazione
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Pubblichiamo il discorso che lo scrittore ha tenuto il 16 giugno a Parigi, dove gli è stata conferita l’onorificenza di Cavaliere delle Arti e delle Lettere; articolo ripreso da la Repubblica di martedì 18 giugno 2024
La libertà che guida il popolo, Eugene Delacroix, 1830 (immagine dall’articolo di Repubblica):
La letteratura sfida la politica dell’odio
di Antonio Scurati
Oggi si è levato nuovamente quello stesso vento reazionario che soffia sulla paura del popolo, sulle sue passioni tristi, sul risentimento nei confronti del sistema, sul rancore, sul senso di delusione
È per me un grandissimo onore ricevere questa onorificenza in terra di Francia, culla della grande cultura europea, nelle cui università io stesso completai la mia formazione intellettuale oramai trent’anni or sono.
Me ne sento totalmente onorato non solo perché la Francia è Patria di altissima cultura letteraria e artistica ma perché lo è anche della nostra più alta cultura politica, la civiltà democratica che discende dall’affermazione dei diritti universali dell’uomo e del cittadino, racchiusa negli ideali di fratellanza, uguaglianza e libertà.
Nella mia visione di scrittore europeo del Ventunesimo secolo dell’era cristiana l’una non è separabile dall’altra: mi è letteralmente impossibile contemplare l’idea di vivere in un mondo nel quale la letteratura fiorisca in assenza di libertà e uguaglianza; mi è intollerabile l’idea di lasciare un tale fiore del deserto, stentato e disperatamente solitario, incongruo, in eredità alle mie figlie.
Eppure, è proprio la mia opera di scrittore a ricordarmi quotidianamente che un mondo del genere è esistito fino a ieri: fu il mondo in cui vissero, soffrirono e lottarono i nostri nonni, in cui crebbero le nostre madri e i nostri padri. Il fascismo, al cui racconto ho dedicato migliaia di pagine di un ciclo romanzesco finalmente avviato alla conclusione, sorse nel mio Paese cento anni fa’ in un momento di grave crisi della fiducia nella democrazia per molti aspetti simile a quelle che oggi anche noi stiamo attraversando. Si trattò, allora come oggi, di una crisi di fiducia nel futuro, di un declino della speranza, il sentimento collettivo che ha sostenuto l’umanità europea nel suo progresso storico negli ultimi due secoli.
Benito Mussolini sapeva molto bene che a partire dalla Rivoluzione Francese numerose generazioni di donne e di uomini avevano trovato uno scopo per i loro sforzi, un senso per le loro vite, nella promessa della storia: «Avanti, coraggio, non sei il primo, non sei l’ultimo, se lotti, se lavori, se non ti arrendi, se speri nel domani, la vita dei tuoi figli sarà migliore della tua, e quella dei tuoi nipoti migliore di quella dei tuoi figli». Ma il fondatore del fascismo sapeva anche che la politica della speranza gli era preclusa e lui, allora, smanioso di trovare una diversa strada che lo conducesse al potere, comprese che esisteva, ed esiste tuttora, un’unica passione politica più potente della speranza e questa è la paura.
Questo fu, essenzialmente il fascismo, l’abbandono di una politica della speranza per una politica della paura.
Le differenze rispetto a cento anni fa sono molte e profonde. Eppure oggi si è levato nuovamente quello stesso vento reazionario che soffia sulla paura del popolo, sulle sue passioni tristi, sul risentimento nei confronti del sistema, sul rancore, sul senso di delusione e di tradimento dei ceti medi impoveriti, sui cittadini spaventati da mutamenti epocali, schiacciati dalla inestricabile complessità di un mondo grande e terribile, angosciati da guerre, catastrofi naturali, pandemie, traditi dalle mancate promesse della storia. Quel vento malsano non si limita a seminare paura, opera una sorta di commutazione alchemica fra la paura e l’odio.
Sempre alla ricerca di un nemico straniero, di un nemico invasore, la voce sinistra che sibila in quel vento rovinoso invita a chiudersi, a temere, a odiare; dopo aver scoraggiato, sobillato, spaventato la gente, le offre protezione in cambio di libertà. Le offre un passato consolatorio e immaginario in cambio di un futuro migliore e ancora possibile.
Di fronte a questa sconcia, malinconica proposta, l’arte e la letteratura rispondono con una sola parola. Quella parola, negli anni ’30 del secolo scorso, nel mezzo della terrificante guerra civile europea, diede il titolo al romanzo di un grande scrittore che a lungo ispirò la cultura francese ed europea dalla cattedra di questo ministero: l’espoir.
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Al centro della foto la ministra della Cultura Rachida Dati con Antonio Scurati con la medaglia
dell’onorificenza di Cavaliere delle Arti e delle Lettere
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