Politica

Controriforma per la democrazia costituzionale: dai comuni al governo centrale no al premierato

di Giuseppe Mazzella di Rurillo

 

Ritengo che il no al premierato che la nostra premier di destra definisce “madre di tutte le riforme” debba segnare una netta chiarificazione sull’assetto istituzionale dello Stato italiano che è irreversibilmente una Repubblica con buona pace della premier e delle destre al potere che fanno uso corrente del termine Nazione enfatizzandolo proprio per rimarcare un nuovo Ordinamento dello Stato molto diverso da quello delineato dalla Costituzione del 1948.

La riforma del premierato cozza con quella della autonomia differenziata. É una rotta di collisione tra la nave Stoccolma e l’Andrea Doria.
Le due riforme sono non conciliabili poiché la prima punta su un “uomo o donna sola al Comando” mentre la seconda mira di fatto alla disgregazione dell’ unità nazionale (e qui il termine aggettivato è corretto nella pienezza della semantica) con 20 repubblichette dove le più forti sono al nord del paese che lasciano il sud nel suo secolare ritardo di sviluppo.

Le due riforme proposte evidenziano il matrimonio di interesse – non per amore o omogeneità politica – tra i post-fascisti espressi dal partito della premier ed i post-scissionisti o federalisti del vice premier leghista che ormai ha costruito un partito di estrema destra con residuali radici con la Lega Nord tanto che il fondatore Bossi, coerente con la sua storia, non l’ha votato.
In mezzo a queste due destre in collisione c’è il partito dell’altro vice premier Tajani che, memore del retaggio di Berlusconi, definisce sé stesso e la formazione di centro come se un “centro” può avere dignità “liberale” in questo quadro e in questa alleanza che Giovanni Malagodi, l’ultimo grande leader del PLI che fu il partito di Benedetto Croce e di Luigi Einaudi, non avrebbe mai realizzato o avrebbe partecipato.

In questo scenario una nuova sinistra che può avere forza solo con un forte e rinnovato PD ancorato al socialismo europeo deve fare i conti con sé stessa ed i propri errori o orrori degli ultimi 30 anni. La democrazia costituzionale italiana decisa nel 1948 è fondata nel parlamentarismo ma nell’equilibrio e nell’efficienza dei poteri pubblici. Il Presidente della Repubblica non ha solo un ruolo di rappresentanza. Ha un ruolo di potente garante della Repubblica. Se la costituzione del 1948 fosse stata di assoluto parlamentarismo credo che Piero Calamandrei non l’avrebbe votata.
Il parlamentarismo italiano punta alla crescita costante della maturità democratica dei cittadini, alla diffusione dell’istruzione e della cultura. Queste due componenti sono le sole strade per la “stabilità” che non può essere imposta artificialmente. Le modifiche introdotte negli enti locali – comuni province regioni – con l’elezione diretta del sindaco e del presidente con la partecipazione della sinistra ha di fatto costituito un “presidenzialismo all’italiana” dove il sindaco è di fatto un “podestà” ed il presidente della regione un “governatore” e nel 2014 il ministro del governo Renzi Del Rio pensò di “svuotare” le province eliminando l’elezione dei consiglieri e financo del presidente.
Ed allora la sinistra deve avviare una controriforma affinché ovunque dal basso ed in alto sia ripristinato il parlamentarismo con una legge elettorale proporzionale ovunque.

1 Comment

1 Comments

  1. La Redazione

    19 Giugno 2024 at 07:28

    La Redazione propone a commento L’amaca di Michele Serra su la Repubblica di oggi 19 giugno.

    Parlamentari contro il Parlamento
    di Michele Serra
    Un Parlamento che vota a favore del premierato vota per ridimensionare se stesso e il proprio ruolo (assieme a quello del Quirinale). Si auto-declassa e perde una ulteriore fetta del suo prestigio, già calante. Concede al premier o alla premier un potere molto maggiore di quello fin qui attribuito, secondo le regole costituzionali e le consuetudini politiche, a Palazzo Chigi.
    Chi già dubitava della rappresentatività degli eletti trova una decisa conferma nel voto di queste ore: non sono in quell’aula per portare la voce dei loro elettori e dei collegi dai quali provengono. Sono, più banalmente, truppe di partito, claque di un leader o una leader, e il loro voto è spiegabile solo in quella chiave. Meloni ha detto “premierato”, dunque noi votiamo premierato, compatti ed entusiasti.
    Si dice tanto, e giustamente, dei guasti della semplificazione, del rifiuto sempre più diffuso dei ragionamenti complicati in favore di formulette veloci. Con tutto quello che abbiamo da fare, mica possiamo sprecare tempo e fiato per la politica, tutte quelle chiacchiere, quelle lungaggini, quelle decisioni sempre rimandate. Mettiamo a Palazzo una o uno che decide per tutti, e finalmente si volta pagina. Non sorprende che questa ideuzza, metà illusoria metà dispotica, possa piacere a molti italiani, anche se è difficile sapere quanti. Ma che trovi proprio nel Parlamento il suo trampolino di lancio è particolarmente penoso. Assomiglia al nobile caduto in disgrazia che mette volontariamente la testa nella ghigliottina, e saluta cordialmente il suo boia. E assomiglia, nonostante le manate e le urla, alla famosa aula sorda e grigia della quale il Capo decide di fare a meno.

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