segnalato dalla Redazione
La strage di piazza della Loggia è stato un attentato terroristico di matrice neofascista con collaborazioni da parte di membri dello Stato italiano dell’epoca, servizi segreti ed altre organizzazioni, compiuto il 28 maggio 1974 a Brescia, nella centrale piazza della Loggia: una bomba nascosta in un cestino portarifiuti fu fatta esplodere mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista, provocando la morte di otto persone e il ferimento di altre centodue, una persona morirà in seguito alle ferite molto tempo dopo, portando a 9 il numero totale dei decessi [fonte: Wikipedia, strage di piazza della Loggia]
La piazza pochi istanti dopo l’esplosione
Piazza della Loggia 1974-2024
Il valore del dissenso
di Benedetta Tobagi – Da la Repubblica del 28 maggio 2024
I funerali delle vittime furono un grande esercizio di democrazia. E invitano a riflettere ancora oggi
La protesta civile non è in alcun modo equiparabile alla censura. E non è nemmeno l’anticamera della violenza
Cinquant’anni fa, una bomba assassina colpiva una manifestazione antifascista in piazza della Loggia a Brescia uccidendo otto cittadini. «Non vittime, ma caduti consapevoli», dissero di loro, perché quella mattina avevano scelto di essere in piazza, per manifestare in modo pacifico contro l’escalation di violenza neofascista nella provincia.
Fu la strage «col più alto tasso di politicità», disse un magistrato inquirente.
Per questo motivo, anche i funerali delle vittime ebbero una valenza profondamente politica.
Furono un grande esercizio di democrazia, conflittuale, ma civile, che invitano a riflettere, ancora oggi, sul valore del dissenso.
Le otto vittime incarnavano il mondo vitale degli anni Settanta, quello dell’impegno politico appassionato e non violento. Cinque sono insegnanti e attivisti della Cgil scuola, tra cui tre donne, a incarnare il nuovo protagonismo femminile, e un giovane immigrato dal Sud. Con loro, due operai e un ex partigiano, a marcare la continuità con la Resistenza.
Per questo, decine di migliaia di persone da tutta Italia — che si riconoscono in loro — si affollano nelle strade di Brescia per i funerali di Stato celebrati il 31 maggio. Si parla di 600.000 persone: una processione senza fine di delegazioni dalle scuole e dai consigli di fabbrica di tutta Italia, cittadini dietro ai gonfaloni dei loro Comuni, sindacati, studenti, organizzazioni cattoliche, movimenti e gruppi extraparlamentari di sinistra, ma anche persone senza appartenenza politica.
Il fiume della storia in movimento piange i suoi figli innocenti, mentre il selciato di piazza della Loggia si copre di un tappeto di fiori.
Nel maggio del 1974, il giornalismo d’inchiesta, la controinformazione e le indagini di alcuni magistrati avevano già fatto emergere le prime scandalose verità sulla strage di piazza Fontana: le macchinazioni per criminalizzare gli anarchici innocenti, la pista che punta verso i terroristi neri e i loro legami con i servizi segreti. Tutti dati che saranno confermati dai processi e dalla storia.
Dietro piazza Fontana e piazza della Loggia c’era la galassia di Ordine nuovo, protetta per decenni da pervicaci depistaggi.
Per questo, dopo l’ennesima strage, lo sdegno dei cittadini è enorme, e la gestione dell’ordine pubblico durante i funerali è affidata ai servizi d’ordine dei sindacati. Da tre giorni hanno rimpiazzato di fatto la polizia, emanazione di uno Stato che ha drammaticamente perso credibilità.
L’incipit della Costituzione, “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, assume in quei giorni un nuovo e più profondo significato. Durante i funerali, sono i lavoratori a proteggere i rappresentanti delle istituzioni, per quanto indegni, ai loro occhi. Garantiscono la loro sicurezza, ma li sommergono di fischi.
Fischiano il presidente della Repubblica Giovanni Leone (eletto coi voti determinanti dei nostalgici del fascismo), il presidente del Consiglio Mariano Rumor, che era a Palazzo Chigi anche al tempo di piazza Fontana, una classe dirigente sempre al potere mentre le bombe continuano a esplodere ed emergono le collusioni di pezzi di Stato.
Il sindacalista Gastone Sclavi disse: i fischi di Brescia sono un grande atto di fiducia nella democrazia. Perché l’espressione del dissenso, in fin dei conti, è anche una manifestazione di fiducia che le cose non solo debbano, ma possano cambiare.
Purtroppo non tutti la pensano così: il dissenso fa paura a molti, ieri come oggi. Il diluvio di fischi ai funerali infatti fu censurato dai telegiornali della Rai, e persino dai filmati ufficiali del comitato antifascista. Per fortuna il regista Silvano Agostifilmò tutto e li consegnò intatti alla memoria del Paese in un documentario. L’autogestione della città è una tappa importante della lunga marcia attraverso le istituzioni intrapresa da milioni di donne e uomini, che si sono aggrappati alla superficie sdrucciolevole della democrazia, ma hanno manifestato con vigore il proprio dissenso e lo sdegno, contro ogni deriva violenta, così come contro l’opacità, le ipocrisie, gli abusi del potere.
La protesta civile e il dissenso non sono in alcun modo equiparabili alla censura, né possono essere demonizzati come se fossero l’anticamera della violenza. Lo tenga bene a mente chi è al potere oggi.
[Di Benedetta Tobagi – Da la Repubblica del 28 maggio 2024]
Sandro Russo
29 Maggio 2024 at 06:53
Ci tenevo proprio che sul sito non passasse sotto silenzio l’Anniversario della strage di Brescia, piazza della Loggia: del strong>28 maggio 1974.
Un episodio della sciagurata storia recente dell’Italia che la mia generazione ha vissuto appieno. Temporalmente situato al centro dell’arco temporale che va dalla strage di piazza Fontana di Milano (Banca dell’Agricoltura) ( 12 dicembre 1969) alla strage di Bologna (2 agosto 1980). Il periodo dell’eversione neofascista conosciuto come “Strategia della tensione”.
Di ciascuno di questi episodi posso ricordare dov’ero e cosa stavo facendo.
Ne ho dimenticato le tappe altrettanto sciagurate del terrorismo rosso, “gli anni di piombo” che hanno interessato tutto gli anni ’70 (tra la fine degli anno ’60 e gli inizi degli anni ’80).
E non è un caso che ho scelto per ricordare l’anniversario di Brescia un articolo di Benedetta Tobagi, una delle giornaliste-scrittrici che cerco di seguire in tutto quel che scrive, che dal colpo di coda di quel terrorismo fu resa orfana del padre (il giornalista Walter Tobagi, 1947- maggio 1980), quando lei aveva solo tre anni (leggi qui, in note).
Non dimentichiamo gli orrori che degli anni passati, e cerchiamo di inquadrarli alla luce dei fatti attuali.