segnalato da Sandro Russo
PER POSTA: le risposte ai lettori del Venerdì di Repubblica – Del 2 maggio 2024
Michele Serra: come convincere un figlio a votare
di Michele Serra
Gentile Serra, immagini di essere il buon padre amato ascoltato rispettato di un fresco diciottenne non “sdraiato”, intelligente e studioso, che le chiede riflessioni e lumi nell’imminenza del suo primo gesto da grande: il voto. Immagini che quel ragazzo privilegi la voce del padre sulle cose del mondo (vicino, lontano) non i social, non i giornali. Immagini non abbia letto nemmeno la sua Amaca, Quanto è vecchia la nuova politica. Quali argomenti inconfutabili userebbe per invogliare all’urna suo figlio, così giovane e pulito? Quali esempi, legati ai fatti e meno alle opinioni, gli presenterebbe? Educazione e formazione delle idee passano più per il buon esempio, dell’adulto al giovane, che per parole astratte e men che meno per quelle paternalistiche: riuscirebbe, lei, a scovar qualcosa di sufficientemente affidabile? Gli adulti-politici si fanno guerre l’un l’altro, di bassezza estrema, e fanno cose che sovente finiscono nei tribunali. Gli adulti-politici decidono per le guerre, ne ammazzano a migliaia tra quelli che dicono di rappresentare. Gli adulti-politici arricchiscono i già ricchi e impoveriscono i già poveri. Insomma, su cosa fonderebbe la credibilità del suo discorso, lei buon padre?
Anna Maria Becherini
Gentile amica, il coefficiente di difficoltà della sua domanda è così alto che viene voglia di rinunciare in partenza, allargando le braccia. Vero, sono prima di tutto gli esempi concreti che mancano, per invogliare alla politica. Per smetterla di considerarla un luogo infrequentabile. Io credo che l’astensionismo, ormai un oceano che minaccia di sommergere la polis, sia per metà menefreghismo, per metà definitivo scoramento. E sfinimento. Magari, a quel ragazzo, farei leggere qualcosa su Peppino Impastato, su Pio La Torre, su Giacomo Matteotti: ma l’eroismo, l’immolarsi dei pochi coraggiosi in mezzo alla massa degli indifferenti, è una condizione “estrema” che, da sé sola, non basta a spiegare perché la politica è importante, la partecipazione è importante, anche nella normalità e perfino nella mediocrità. Dunque, forse, gli direi che i fulgidi esempi sono magnifici e luminosi, ma rari, e che il difficile, nella vita, è proprio accettarne la quotidianità e l’imperfezione senza diventare mai cinici e senza darsi per vinti.
Un voto è poca cosa, ma un non voto è ancora di meno. L’elettore conta pochissimo, ma il non elettore conta zero.
C’è un’umiltà, nel voto, che lo rende nobile anche quando sai che rischia di finire in un calderone che trasforma tutto in una specie di sbobba che confonde tutti i sapori. Gli direi: non pensare che serva a qualcosa. Accontentati di sapere che serve a te stesso. Ti ha reso un po’ più cittadino di come saresti se non voti. Ma non so davvero, cara Becherini, se ho superato il test.