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La candidatura di Vannacci
Uomini forti, idee deboli
di Concita De Gregorio – Da la Repubblica del 28 aprile 2024
Non è la persona, è il simbolo. Non è il generale Vannacci in sé, un uomo di nome Roberto assai fiero della sua vita nei parà, dotato di un armamentario di idee totalmente retrograde, abitato da un’idea di mondo assai diffusa al tempo dei nostri nonni e bisnonni. Ce ne sono migliaia, forse milioni di persone così. Poteva chiamarsi Vittorio, fare il preside o l’allenatore sportivo, esortare alle punizioni corporali e proporre il rispristino delle classi maschili e femminili, altro non concepisce del resto, proprio non capisce che possano esistere persone di identità diversa da quella indicata dai genitali assegnati alla nascita. Ripeto: non è insolito, difatti è molto apprezzato da una quota parte del popolo sovrano i cui impulsi trionfalmente incarna. È esattamente per far progredire l’umanità verso orizzonti più ampi, per trasformare gli impulsi primordiali in regole di convivenza più accoglienti e giuste, per far attecchire attraverso lo studio e la conoscenza una complessità più aderente al vero che ci si sforza di fare politica — abbiamo a lungo creduto — dando ciascuno il contributo delle proprie capacità, dei mestieri. Non per tornare indietro ma per andare avanti.
Quindi ecco: il tema ora è che tipo di segnale stia dando Matteo Salvini, la Lega e per estensione il governo di centrodestra di cui la Lega è parte fondativa quando decide di candidare come capolista alle Europee un generale in divisa le cui idee, esposte in un volume detto libro di massimo successo commerciale, riportano a un mondo di pregiudizi che pensavamo sconfitti ma no: macchina indietro di sessant’anni e passa, siamo di nuovo a “Carmelina componiti”, le donne se escono di casa è chiaro che vanno incontro al rischio che un uomo le aggredisca, del resto gli uomini per loro natura non sono in grado di contenersi e le donne per loro struttura non sono in grado di difendersi. I giovani, se protestano le botte se le vanno a cercare, sono loro che chiamano i manganelli, santa pazienza, non potrebbero stare a casa a riverire il capofamiglia? Gli stranieri, che come è evidente si riconoscono dal colore della pelle, dalla lingua che parlano, come mai stanno venendo a pretendere di vivere da noi, in questo trilocale con cantinetta chiusa a chiave (non sia mai che agli alcolici possano accedere altri dal padre) — questa casetta pulita o ordinata, l’Italia nostra, tutta ordine e disciplina, crocefissi e gagliardetti. E i deboli, quelli che non salgono per primi sull’asta che non corrono veloci abbastanza che non si buttano con sprezzo del pericolo, che non mostrano tempra eroica: beh i deboli sono la rovina della specie. Conviene appartarli, tenerli tutti insieme in manicomi se matti, in classi differenziali se divergenti dalla maggioranza degli abili, in convento se donne non maritate nella convinta speranza — nel progetto — che si estinguano e non intacchino la nobile stirpe italica. Un passo, e siamo alla razza. Meno flessioni, meno palestra e più libri di storia avrebbero giovato, nell’epica del passato recente che ci ha portati qui, ma così sono andate le cose. Per difetto di un’idea alternativa, naturalmente: non sfugge che se siamo tornati indietro di decenni è perché la proposta di progresso offerta dalla sinistra non è stata abbastanza forte, nitida, coerente e attendibile.
È stata, anzi, spesso, e tuttora diffusamente è, un’adesione al compromesso con le regole vigenti: il successo, prima regola. Chi ha più followers, chi ha più consenso, chi vende di più ha sempre ragione, merita una direzione una candidatura un palco, un posto in giunta: nell’illusoria e perdente convinzione che il consenso si debba inseguire e non suscitare. Dovrebbe essere il contrario, amici: servirebbe una proposta capace di generare seguaci, un’idea così potente da farsi desiderio collettivo. Non c’è, non c’è stata. Così siamo tornati ai militari.
Che per carità, ce ne sono stati e ce ne sono a profusione di ottimi. Sono stati anche candidati, talvolta. Chi ha guidato contingenti di pace, chi si è messo al servizio delle comunità internazionali per evitare guerre o risolverle. Chi ha cercato mediazioni, riscattato prigionieri, chi si è messo al servizio dei civili per costruire campi, scuole, ospedali. Chi ha accolto i nemici, nei campi negli ospedali e nelle scuole, e li ha nutriti, curati, istruiti. Non è questo il caso, però.
Questo è il caso in cui una forza politica in difficoltà identitaria ed elettorale, la Lega di Salvini, sovrastata dalla destra in purezza di Fratelli d’Italia e talvolta nelle ultime tornate persino dal partito di Berlusconi buonanima, partito che pareva destinato alla scomparsa sincronica a quella dell’estinto e invece guarda te, ecco: cosa può fare un leader in difficoltà di consenso se non andare ad annettersi il consenso di chi ne ha mostrato parecchio, sempre che le vendite di libri e i commenti sui social corrispondano ai voti? Può darsi, in effetti. Aver seminato ignoranza darà i suoi frutti, questa è la speranza. La trasformazione dei cittadini in sudditi, la sistematica denigrazione del sapere, l’etica e l’estetica del piccolo mondo antico, bene rifugio più redditizio dell’oro.
Può darsi, sebbene pure nella Lega ci sia chi nicchia, perché persino a certuni fra i leghisti — coloro che governano comunità, per esempio, o coloro che hanno storie personali dense di complesse sofferenze — la scelta del generale di corpo d’armata pronto a menar le mani e a combattere i rivoltosi appare un eccesso.
Il ministro della Difesa Crosetto fra i molto perplessi, sia messo agli atti per i posteri. Tuttavia, lo ha detto bene Luciano Canfora, storico, è l’inerzia dell’alternativa a generare mostri: c’è uno spazio vuoto e il vuoto in natura si riempie.
Sotto il profilo simbolico — i simboli nascono per illustrare cose a chi non sa leggere né scrivere — mettere capolista un generale dei parà che dice sono i manifestanti a cercare i manganelli rende più forti i manganelli, autorizza chi li usa, e più deboli i resistenti.
È un cambio di passo, una retromarcia della Storia. Da che mondo è mondo la storia cambia, progredisce, perché qualcuno la mette in discussione. Perché c’è chi dice no. A volte vincono, i resistenti, a volte perdono. In Italia hanno vinto, un giorno di ottant’anni fa, e dunque per questo esiste una democrazia che può persino candidare Vannacci, oggi. Un nemico di chi contesta l’ordine, eppure figlio di chi lo ha contestato.
Che paradosso. Che segnale terribile questo governo che dimentica, e se non dimentica approfitta, specula su chi non ricorda e non sa. Meglio un uovo oggi, che malinconico orizzonte.
Che sconfitta, del resto evidente sulla scena globale, per le democrazie occidentali. Uomini forti, idee deboli. Che tempo pericoloso e triste.
[Di Concita De Gregorio – Da la Repubblica del 28 aprile 2024]
Immagine di copertina. Vignetta di Emilio Giannelli