di Enzo Di Giovanni
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Questa settimana è nel segno delle donne. Ovvio, verrebbe da dire: l’8 marzo si festeggiano appunto le donne.
Il fatto è che tale ricorrenza non è più una “festa”, ammesso che lo sia mai stata.
Nata a New York per ricordare un rogo che interessò una fabbrica in cui perirono un centinaio di operai ed operaie, o una brutale repressione poliziesca ai danni di lavoratrici tessili, lo scopo della ricorrenza è la celebrazione dei diritti delle donne, ed al contempo funge da termometro per valutare il livello dei diritti acquisiti.
E il termometro ci dice che le cose non vanno tanto bene.
Il giallo della mimosa, fiore simbolo adottato in Italia dal 1946 da alcune parlamentari dell’assemblea costituente, è sempre più coperto dal rosso del sangue dei femminicidi, ma non solo.
I dati sono impietosi.
Il divario tra l’occupazione maschile e quella femminile nell’Unione Europea è di circa 10 punti percentuali e sale a 20 punti in Italia, che si trova ad essere fanalino di coda nel vecchio continente.
Questo divario sale ancora nei confronti delle donne con figli, per le quali il mercato del lavoro è quasi inesistente.
Il gender pay gap, ovvero la differenza salariale tra uomini e donne nel sistema privato, ha raggiunto i 7.922 euro nel nostro Paese, ben lontani dall’Islanda, paese virtuoso per eccellenza, dove tale gap è stato quasi azzerato.n
L’Italia è al 79esimo posto nel mondo, tra l’Uganda e la Mongolia.
Per dire.
Per non parlare delle molestie sul luogo di lavoro, di cui non si parla abbastanza solo perché il silenzio e l’omertà sono ancora paradigmi in contesti in cui il lavoro è sempre meno un diritto.
E parlando di femminicidi: dagli anni 90 sono diminuiti gli omicidi ma sono stazionari i femminicidi (dati ISTAT).
Questi dati dovrebbero servire ad uso e consumo di quanti – ahimè troppi – storcono il naso davanti all’accusa di essere ancora immersi in una società patriarcale.
Eppure sono passati quasi sessant’anni (era il 1965) da quando Franca Viola fu prima donna a denunciare il suo violentatore anziché sposarlo attraverso il matrimonio riparatore, come prevedeva allora l’articolo 544 del Codice Penale, che considerava la violenza sessuale oltraggio alla morale e non reato contro la persona, anche se abbiamo poi dovuto attendere la legge n. 442 del 1981 per veder abrogati matrimonio riparatore e delitto d’onore.
Perché avviene? E’ da considerarsi il colpo di coda di un modello culturale-religioso-sociale che per millenni ha governato il mondo, e in cui si fa fatica a ridistribuire competenze, poteri e ruoli?
Di sicuro assistiamo, accanto ai freddi numeri, ad una crisi di rapporti come mai nel passato recente.
Quello che nella baldoria libertaria sessantottina sembrava un mondo in cui legacci e bigottismi fossero ormai ricordi storicizzati, in cui sviluppare conoscenza, ricerca e rispetto dell’altro, inteso anche come genere, si sta ripiegando paurosamente su se stesso.
Basti ascoltare i testi dei rapper e trapper più in voga tra i giovani, testi intrisi di sessismo e violenza.
Testi in cui essenzialmente la donna è rappresentata come oggetto di proprietà esclusiva, strumento di piacere sessuale, frutto, ed è questa la cosa più preoccupante, di una incomunicabilità assoluta che non prevede un incontro di genere, ma solo dominio.
Dominio dell’uomo sulla donna, ed ovviamente modelli di vita in cui l’avere conta più dell’essere.
Siamo ben lontani da una fisiologica e sana rabbia generazionale come accadeva nel passato, alla ricerca di nuove forme di lotta e di sviluppo sociale, ma solo un’esaltazione dell’io in termini consumistici: io sono perché ho il Rolex, perché ho le donne, perché ho la macchina sportiva, e te lo sbatto in faccia.
Da contrapporre a questa deriva, sul sito abbiamo evidenziato contributi significativi.
Le scrittrici denunciano la violenza di genere (1). Benedetta Tobagi, in cui viene evidenziato il lento, ineluttabile abbandonare se stesse nella spirale contorta dell’aguzzino, che annulla lo spirito prima che il corpo, e da cui si può uscire solo uscendo, rompendo gli schemi e rischiando una navigazione in mare aperto.
La voce delle donne contro la violenza (2). Tea Ranno, in cui si pone l’accento sulla difficoltà di trovare un strada di riscatto in un mondo intriso di silenzio ed omertà, in cui si preferisce non vedere.
Da segnalare poi l’incontro nell’ambito del Caffè Letterario che si è svolto all’Istituto Tecnico Turistico di Ponza, e di cui ci dà notizia Francesco De Luca.
La relatrice, Silveria Aroma, si è confrontata con i ragazzi sul tema della parità di genere ponendo all’attenzione i modi con cui ci si relaziona. Perchè laddove si riesce a riconoscere la volontà di sopraffazione, meglio troncare da subito quello che è il preludio ad un possibile amore tossico.
Nel difficile rapporto tra i sessi per fortuna non vi sono solo amori tossici, ma anche Amori, quelli di cui si nutre la poesia.
In un bell’articolo di Michele Mari su La Repubblica, Un ‘Robinson’ dedicato alla poesia d’amore si analizza di come la poesia riesce a cristallizzare l’amore preferibilmente quando l’amata non c’è più, perché, in ultima analisi, ci si innamora dell’amore, della sua potenza evocativa, e perciò della poesia.
La poesia è… impotenza, potere contro il potere, ciò di cui nessuno vuole occuparsi, è gratis e non da profitto. Una riflessione scoppiettante del poeta Morten Søndergaard, sempre tratto da la Repubblica.
Ma Ponzaracconta sa essere anche… autoreferenziale. Sandro Russo analizza tre autori che scrivono sul sito di”cose” ponzesi, ognuno con una propria sensibilità. Sarà che Ponza è una entità storicamente e fisicamente definita e definibile, ma in molti di noi provoca un rapporto che va al di là del tempo e dello spazio. La grana dei ricordi non ha paletti, né definizioni, né teoremi. A me ad esempio, quando sono fuori, manca soprattutto il suono del vento. Il levante, in particolare, che è il vento che mi parla più da vicino, essendo il lato esposto da casa mia, e che mi concilia il sonno, perché trovo tranquillizzante il suo eterno ritorno e gli eterni pensieri che induce.
Dal che si deduce che quando invece sono in terraferma, dormo poco…
E tra i ricordi, vi sono pure i sogni d’infanzia di Bixio. Che sono senza tempo, perché mentre leggiamo, sembra di sentirne suoni e movimenti.
Altra storia è quella che ci racconta Guido Del Gizzo a proposito de i “Rosinenbombers”, ovvero come l’aviazione può porsi con successo e perizia non solo nei bombardamenti, ma al servizio delle popolazioni che soffrono, a Berlino nel 1949, a Gaza oggi.
Da segnalare, infine:
La nomina del nuovo medico di famiglia, il dottor Francesco Arrigo, a cui vanno i nostri auguri di buon lavoro
Piero Vigorelli, ricordi di una vita da giornalista, di cui proponiamo uno stralcio sul sito e il link dell’intervista tutta, in cui Vigorelli partendo dai suoi ricordi, analizza lo stato di salute del giornalismo in Italia
Il nuovo libro di Emilio Iodice: su Martin Luther King, nell’ambito dei suoi studi sulla leadership, nella traduzione di Silverio Lamonica
Dulcis in fundo, appena “sfornata” su Ponzaracconta, una testimonianza riportata da Tonino Impagliazzo a proposito dei dissalatori mobili al servizio delle isole minori.
Argomento quanto mai importante ed urgente per la nostra isola.
Perché fare scelte sbagliate è facile, tornare indietro ed adottare provvedimenti virtuosi è molto più difficile, come ben sappiamo a Ponza.
Luisa Guarino
10 Marzo 2024 at 16:09
E’ incredibile come nel 2024 la data dell’8 marzo venga ancora definita “festa della donna” invece che “giornata internazionale della donna” (in formna abbreviata); ed è ancora più incredibile che a parlare in questi termini siano giornaliste e giornalisti in tv, ascoltati con queste orecchie. Sappiamo bene tutti, come il nostro Enzo sottolinea, che non c’è niente da festeggiare, bensì da ricordare, celebrare, nella speranza, credo vana visti i risultati, che qualcosa possa cambiare. Mai come quest’anno infatti il ‘giorno delle mimose’ aveva tutti i connotati della giornata contro la violenza di genere, del 25 novembre, istituita dall’Onu nel 1999.