di Bruno Pianigiani
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Nel periodo intercorso fra gli anni cinquanta e gli anni settanta la Miniera ha acquisito un’estensione consistente di terreni da coltivare, utilizzando prima le norme legali per l’esproprio minerario (su dichiarazione di pubblica utilità fatta dal Ministro, che può ordinare l’occupazione d’urgenza e determinarne l’indennità) e poi, per mantenere i tempi di produzione, acquistandoli direttamente.
Sicuramente nel periodo degli espropri minerari qualcuno ha subito delle iniquità, ma dopo molti hanno guadagnato.
Tutto ciò nel tempo è diventato antieconomico per cui il direttore generale dott. Emilio Pianigiani, con il massimo riserbo, fece fare delle ricerche nell’Iglesiente, che andarono a buon fine ottenendo le concessioni dal Ministero dell’Industria.
La S.A.M.I.P. poteva trasferirsi in Sardegna.
Purtroppo si verificò un evento imprevedibile: l’abbattimento del pontile di carico da parte d’una nave battente bandiera Liberiana con la prospettiva, poi diventata realtà, di un mancato risarcimento.
La S.A.M.I.P. con grosso disagio per l’azienda e per la popolazione dell’Isola dovette effettuare carichi improrogabili di bentonite (rischiando pagamenti elevati per le stallie delle navi) al porto di Ponza e con sistemi improvvisati (Ballarini) a Cala dell’Acqua.
Questo avveniva nell’intervallo di tempo necessario alla progettazione di un braccio mobile di circa 65 metri da parte della ditta Fiorentini, alla sua costruzione, alla preparazione di una struttura in cemento armato per ancorarlo, al montaggio ed al collaudo dello stesso.
Il dott. Pianigiani prendendo atto delle difficoltà oggettive in cui versava la Società, dopo aver superato negli anni difficoltà d’ogni genere come la congiuntura, fece, com’era suo dovere morale ed etico, un analisi delle risorse che rimanevano a disposizione, nacque così in lui la convinzione che c’erano gli elementi per una riconversione della miniera di Ponza in un’altra attività; che avrebbe assolto a due compiti: la bonifica dei terreni coltivati e la loro valorizzazione sia economica che sociale. Economica a vantaggio della Società e delle attività isolane come indotto e complemento, sociale: strutture sportive e ricreative, mezzi di trasporto ed occupazione per i giovani diplomati all’Alberghiero ed al Nautico, autisti, meccanici, elettricisti, operatori edili, velisti, subacquei, sportivi.
Il momento era difficile ma vantaggioso poiché la Regione Lazio ancora finanziava i porti e c’era la possibilità di costruire l’unico casinò consentito dalla legge nel Lazio.
Un progetto a dir poco ambizioso.
Quali erano gli elementi che potevano dare potere contrattuale alla S.A.M.I.P.: l’estensione del territorio in suo possesso, il più esteso e più bello dell’Isola, una centrale elettrica indipendente, un braccio mobile di circa 65 metri per il carico e lo scarico dei materiali, un parco macchine per i movimenti di terra, unico in Italia, un’officina meccanica per la manutenzione delle stesse, un officina elettromeccanica, dirigenti, tecnici, maestranze specializzate ed infine un progetto nuovo ed originale nel panorama nazionale.
Tutto ciò avrebbe richiamato investimenti da fuori vincolandoli alle esigenze della S.A.M.I.P. e dei cittadini ponzesi.
Per chi ricorda bene, i problemi della S.A.M.I.P. sono iniziati con il sindaco Sandolo che più volte ha bloccato l’apertura di fronti di cava avverso le sentenze del T.A.R. del Lazio; che dava ragione alla Miniera.
Ricordo che l’allora assessore alla Provincia prof. Barattolo, saggiamente, aveva cercato di mediare fra l’Amministrazione Comunale e la Società per il bene comune.
Poi le elezioni Comunali e Regionali con campagne contro la S.A.M.I.P. e l’avvento della giunta di sinistra hanno azzerato ogni accordo possibile.
Una cosa che mi lascia perplesso: la sparizione di progetti e plastico della S.A.M.I.P. depositati presso il Comune nel periodo della sopracitata giunta. Potrebbe sembrare l’eliminazione della prova regina della loro inadeguatezza.
Il progetto comprendeva: un porto a Cala dell’Acqua per il ricovero di grandi barche da diporto fornito di tutti i servizi in banchina(carburante, linee telefoniche, addetti all’attracco..), centro velico, centro subacqueo, alloggi nello stile delle case ponzesi con tutti i conforti e collegate con il ristorante ed i servizi in camera, campi da tennis, piscina, eliporto, casinò, pulmini con aria condizionata per i trasferimenti lungo tutta l’Isola e per finire strutture sportive e ricreative per i cittadini.
Ciò avrebbe portato un turismo di élite tutto l’anno, che si sarebbe spostato da un estremo all’altro dell’Isola, interessato alle attività locali, ai prodotti, alle usanze, ai reperti archeologici ed alle bellezze naturali. Ci sarebbe stato anche un turismo indotto, di medio cabotaggio, desideroso di vedere ed imitare i personaggi conosciuti sui rotocalchi.
L’alta dirigenza della S.A.M.I.P. era assolutamente cosciente che i tempi erano cambiati e che in massimo tre anni la Società avrebbe dovuto abbandonare l’Isola per trovare soluzioni più economicamente valide, ragion per cui aveva chiesto di coltivare il minerale per quel lasso di tempo; mentre contemporaneamente metteva in atto ciò che contemplava il progetto, che era funzionale al trasferimento dell’attività.
Dopo quattro anni di obbligata immobilità la S.A.M.I.P., che essendo una società per azioni, quindi una società di capitali, viveva esclusivamente della sua attività industriale, entrò in crisi passando dalla liquidazione ad un fallimento privo di strascichi giudiziari.
Una classe politica preparata, accorta e previdente avrebbe sfruttato una situazione di favore che gli veniva proposta da una Società per azioni “che aveva come unico scopo da raggiungere, quello per cui era stata costituita”.
Insieme si sarebbe potuto raggiungere un risultato, che avrebbe superato gli interessi individuali e portato il bene comune per generazioni; cosa non più possibile non essendoci più gli elementi presenti in quegli anni. La feluca in testa non è sufficiente a farci diventare ammiragli.
Demonizzare la S.A.M.I.P. è come demonizzare l’uomo preistorico che veniva sulle isole Pontine ad approvvigionarsi di ossidiana, è come demonizzare ogni attività umana che ci ha portato al progresso.
Chi la pensa in questo modo dovrebbe, per coerenza, girare ignudo per il mondo cibandosi dei soli frutti selvatici, povero uomo raccoglitore che non conosce l’uso della pietra.
Certamente un progetto così ambizioso non sempre si realizza. Ma quando c’è l’ ignoranza, il pressappochismo, la malafede dell’opportunismo politico, basta una di queste “Virtù Cardinali” a far sì che nulla si realizzi.
Ingenuo è chi plaude al conferimento di medaglie ad amministratori comunali che si sono spacciati per tribuni della plebe procurando danni, che permangono da oltre trentacinque anni ed incancreniranno sempre più una delle più belle zone del mondo.
Quando i giochi erano ormai fatti, ricordo le parole premonitrici di mio padre: “ Questo morto lo avrete sulla coscienza per almeno vent’anni …”. Né sono passati molti di più.
P.S.
I tribal ricciuti
Bisogna diffidare dei capipopolo che, vivendo nella e della loro utopia, istigano le folle di manzoniana memoria; che, nel perdere il lume dell’intelletto, restano prive di discernimento individuale cadendo in un vandalismo autodistruttivo che nulla salva.
Forse la matta bestialità dantesca è proprio questo annullamento della ragione che fa rovinare l’uomo ad uno stadio inferiore, nella catena biologica, a quello delle bestie; che (“solo di natura è frutto ogni tua vaghezza”, di leopardiana memoria) agiscono per istinto naturale di sopravvivenza, godendo di quello che gli dà la natura, senza gli orpelli e l’arroganza di una vantata ragione d’un uomo ripiegato su se stesso a non cogliere l’essenza della vita nell’universo.
Fine
Bruno Pianigiani