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Due recensioni di libri da Il Manifesto di qualche mese fa, con un “filo” che li unisce.
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Cultura
Un vagabondaggio prezioso
di Marina Montesano – Da Il Manifesto del 14 gennaio 2024
Cartografia. Intorno al libro «Tutte le perle del mondo. Storie di viaggi, scambi e magnifici ornamenti» di Maria Giuseppina Muzzarelli, Luca Molà e Giorgio Riello (Il Mulino). L’avventurosa biografia di un gioiello che in epoca classica pendeva dai lobi di Era, poi divenne simbolo di Cristo e si globalizzò già nei racconti di Marco Polo.
«Ritratto di Eleonora da Toledo col figlio Giovanni» di Agnolo Bronzino, 1545, dettaglio (Galleria degli Uffizi)
In una celebre pagina del Milione, Marco Polo descrive la pesca delle perla nei mari dell’India: fra aprile e maggio i pescatori montano su piccole imbarcazioni, ma prima di sfidare i mari e tuffarsi, pagano alcuni incantatori che hanno il potere di controllare gli animali, in modo che la pesca vada a buon fine e senza pericoli. In quei mari si pescano le perle più preziose, «e sapiate che le perle che si truovano in questo mare si spandono per tutto il mondo, e questo re n’à grande tesoro».
Lo stesso Marco Polo, difatti, ci dice che le perle dell’India si forano a Baghdad, che gli abiti dei dignitari del Gran Khan Kublai ne sono adorni, ma che ugualmente sono apprezzare in luoghi che al veneziano paiono più esotici, come il Tamil Nadu, all’epoca Maabar, dove il sovrano va sì in giro seminudo, ma coperto di monili fatti di perle e pietre preziose che ne adornano la cintola, il collo, le dita delle mani e dei piedi, che «nessuno potrebbe riferirne o calcolare il valore». Come per tutte le merci «sottili», come si diceva nel Medioevo intendendo quelle di alto valore, le perle fanno il giro del mondo, e seguendone le tracce si possono creare geografie dei consumi e del gusto.
È ciò che fanno Maria Giuseppina Muzzarelli, Luca Molà e Giorgio Riello in Tutte le perle del mondo. Storie di viaggi, scambi e magnifici ornamenti (Il Mulino, 340, illustrazioni 182, euro 45), un libro che potrebbe essere una strenna per le feste.
Senonché, rispetto alle strenne consuete, il sontuoso apparato iconografico non appare mai esornativo rispetto alla scrittura, ma è parte integrante di un viaggio attorno al globo attraverso parole e immagini. D’altra parte, i tre autori sono specialisti rispettivamente della storia della moda e del gusto (Muzzarelli) e dell’economia globale (Molà e Riello).
Nella più classica tradizione degli studi culturali, la pista seguita è la storia di un oggetto (la perla), delle sue peregrinazioni per il mondo e della sua fruizione. Non è dunque un caso se il primo capitolo parta proprio dalla testimonianza di Marco Polo, dal momento che durante la cosiddetta «Pax mongolica» la circolazione di merci e mercanti più che mai evolveva verso una prima forma di globalizzazione.
Tuttavia, come ci spiegano gli autori, già nel mondo classico e preclassico le perle erano apprezzate come ornamenti di alto livello. Nell’Iliade compaiono ai lobi di Era. Nel Fisiologo, piccola enciclopedia simbolica del primo cristianesimo, la perla è simbolo del Cristo.
Nel poema inglese della metà del Trecento, intitolato proprio Perla, la protagonista è la giovane figlia dell’anonimo autore, precocemente scomparsa, che si chiama Margherita (ossia «perla») e che appare in visione al padre, il quale meditava sulla sua tomba, vestita di bianco e coronata di perle: al di là del giardino dove è sepolta, oltre un fiume, si trova il Paradiso. La ragazza lo rimprovera dolcemente per la sua tristezza, dal momento che lei è beata, e gli indica la via per la Gerusalemme Celeste.
Le epoche sulle quali gli autori si focalizzano sono proprio il tardo Medioevo e la prima età moderna, se non altro perché offrono un campionario di immagini particolarmente belle, nelle quali le perle sembrano incarnare l’immagine stessa del lusso, ma direi anche l’immagine della finezza delle scelte estetiche, poiché le perle ci appaiono più nobili rispetto ad altre pur splendide pietre preziose.
Alla storia del lusso, però, alla quale sono dedicati i primi capitoli di , segue una storia della loro circolazione materiale. Che in realtà si comincia a delineare nell’introduzione, lì dove ci viene spiegato cosa sono effettivamente le perle. Più in là torna Marco Polo con la sua testimonianza, ma anche le molte altre notizie sulla pesca e il commercio delle perle nei mari asiatici e poi del sud-est fino all’Australia. Un nuovo capitolo si apre poi con la scoperta delle Americhe, e in particolare dell’istmo centrale, i cui mari ne sono ricchi. Qui la storia delle perle necessariamente si intreccia con quella dello sfruttamento coloniale e schiavile.
Se guardando le cartine, pure incluse, ci pare evidente che le perle vengono pescate quasi ovunque tranne che in Europa, la loro destinazione e la storia della loro commercializzazione sono soprattutto europee, per cui Maria Giuseppina Muzzarelli, Luca Molà e Giorgio Riello ci immergono nel fascino dell’esotismo che traspare dalle immagini che popolano soprattutto la seconda metà del libro. Riuscendo, con le loro scelte, e soprattutto con la scrittura, a comunicare al lettore tutta la seduzione della perla.
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«Pearl», come far brillare una madre scomparsa
di Alessandra Pigliaru – Da Il Manifesto del 14 gennaio 2024
Scaffale. Il romanzo di esordio della poeta inglese Sian Hughes, per Atlantide
Marianne ha otto anni quando capisce la differenza tra «qualcuno» e «qualcosa». Si rende conto che la polizia interrompe le ricerche sulla scomparsa di sua madre proprio dal mutamento repentino di una parola, non è più una donna che cercano ma un cadavere.
L’esordio letterario nel romanzo di Sian Hughes, poeta inglese cresciuta in un piccolo villaggio del Cheshire, ha nel titolo la chiave misteriosa per decifrare quell’abbandono: Pearl (Atlantide Ed., pp. 234, euro 24, traduzione di Clara Nubile) è infatti una fila di perline che Marianne mastica nervosamente strappando la manica del maglione in cui la madre gliele ha impunturate, ed è soprattutto un altro libro. Dopo che la ragazzina apprende della morte materna, comincia a seguire le tracce di quella donna per riportarla a casa. Rovista cassetti e ne indossa vestiti, cercando di tenere con sé il profumo dei grani imbevuti di cannella, sfrega le foglie di erbe aromatiche sulle dita, si procura abrasioni vagheggiando che se avesse sofferto abbastanza sua mamma avrebbe fatto ritorno. Canta, si concentra.
In questo gioco dell’incantamento per sovvertire il tempo, Marianne si imbatte nei libri di sua madre di cui uno, un trattato medioevale, porta appunto il titolo di Pearl. Annotato nelle prime pagine dalla scrittura sbiadita tradotta in inglese moderno, la bambina – che nel frattempo conosce il marchio dell’abbandono con cui sente per la prima volta l’amore – ricopia intere strofe sul quaderno degli esercizi scolastici.
Non c’è modo di accedere ai significati di quanto riscrive eppure c’è quel che riesce ad attirare la sua attenzione. Al termine «CONSOLATIO», scritto in maiuscolo, immagina manchi una lettera ma forse si tratta, per chi osserva la scena da fuori, del genere di testo che si dedicava a chi perde una persona cara.
Sian Hughes è piuttosto abile a costruire mondi interconnessi tra lingue bambine che sibilano nel grembo del fiume eletto a ultimo giaciglio di una donna che, in vita, prima di tagliare un ramo chiedeva il permesso all’albero. È una delicatezza degli spazi minimali e sottilissimi cui la scrittrice accede grazie alla sua frequentazione con la poesia, con un ascolto misuratissimo del vivente indicibile. Di questo mondo fa parte anche chi muore, gli oracoli e le sapienze antichissime e popolari, gli spifferi che infreddoliscono al buio e annunciano carezze transitorie, i corpi dei bambini e delle bambine che si muovono dentro i loro letti e dormono fino al mattino seguente.
Come fa Marianne, che brilla per tutto il romanzo come una perla sopravvissuta alla disperazione.