Botanica

Una vecchia lezione di tossicologia, “Burundanga” e la gente comune

di Sandro Russo

There are more things in heaven and earth, Horatio, Than are dreamt of in your philosophy.
“Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”
[W. Shakespeare, Hamlet]

Diversi anni fa, prima che andassi in pensione dall’Università, fui invitato a tenere un mini-Corso sulle sostanze stupefacenti per i finanzieri della Scuola Nautica di Gaeta, nella prestigiosa sede del Castello Aragonese (qui sopra) dove ha sede la Caserma “Mazzini”.
Di quelle due giornate ricordo l’estrema cortesia dei militari che mi ospitavano, tanto che al secondo giorno – ero andato a dormire a Cassino a casa di mia madre – la portai con me. Ho un ricordo preciso di quanto fu impressionata, la mattina, arrivando, quando all’ingresso della sala conferenze i due piantoni sulla porta scattarono sull’attenti nel saluto militare; e poi fu anche colpita dal pranzo ufficiale che alla fine dei lavori del mattino ci venne offerto alla mensa della caserma “Bausan”, alla sede del Porto militare. Ho cercato di ricostruire il periodo: dovevano essere i primi anni Duemila; mia madre è morta nel 2007 – leggi qui).


All’incontro ho parlato delle varie droghe d’abuso classiche (1), come delle ultime novità sul mercato (leggi qui) – argomento del quale allora mi occupavo da Tossicologo presso il Centro Antiveleni dell’Università di Roma “La Sapienza”, con una appendice sulle sostanze psicoattive di origine vegetale.

Gli ascoltatori – professionalmente interessati a saperne di più, per le attività di contrasto della diffusione e dello spaccio di pertinenza dell’Arma – erano molto attenti e interessati e hanno fatto varie domande.
Uno di loro mi chiese di una droga in particolare, chiamata burundanga, di cui aveva sentito parlare in televisione, in un servizio sulla Colombia.


Pare che lì sia un problema nazionale: circa il 50% delle ammissioni al Pronto Soccorso per motivi tossicologici sono da attribuire al suo impiego criminale su gente ignara, che viene così derubata, raggirata o manipolata in vario modo. Si è addirittura coniato un termine apposta – Burundanguiado –  per indicare una persona confusa e dalla volontà fiaccata, sotto l’influsso della droga.
Il giovane finanziere credeva che si trattasse di un farmaco capace di rallentare il metabolismo. Gli ho confermato che una droga del genere non esiste e che le accelerazioni/rallentamenti del metabolismo in patologia umana dipendono dall’eccesso o difetto dell’ormone tiroideo (tiroxina, tri-iodotironina) che agisce in tempi più lunghi e con meccanismo diverso.


Ma ‘Burundanga’ è ben conosciuta: è una droga vegetale derivata dalla famiglia delle Solanaceae, come la famosa ‘mandragora’, conosciuta fin dal Medio Evo [una miscela di belladonna, datura e giusquiamo]; dal punto di vista chimico e degli effetti  assimilabile alla scopolamina. Provoca vari sintomi, come confusione mentale, amnesia, disturbi della vista e secchezza delle secrezioni, insieme ad aumento della temperatura corporea e del battito cardiaco, ma in nessun modo rallenta le funzioni vitali o il metabolismo (1).

Fin qui siamo stati in ambito scientifico, ma si sa… “ci son più cose in cielo e in terra”, e a distanza di tempo, a quelle Conferenza alla Scuola Nautica di Gaeta e al Burundanga ho ripensato sotto altri aspetti, grazie a un racconto di ‘cosiddetta’ fantascienza – Hunati (2) – di cui ho già scritto sul sito (leggi qui).

In questo racconto, di Edmond Hamilton (1969), era ipotizzata una droga vegetale capace di rallentare il metabolismo a gradi estremi e su questo è costruito appunto il racconto che descriveva un uomo che viveva un tempo così rallentato da riuscire di entrare in contatto con gli alberi che appunto a quella dimensione vivono.

È un racconto molto suggestivo che apre una infinità di speculazioni. Intanto, come in un altro mitico romanzo di fs, ‘Cristalli sognanti’ (3), la possibilità che intelligenze diverse e tra loro non interferenti possano convivere nello stesso spazio-tempo senza  consapevolezza reciproca. Inoltre, come la velocità e il ritmo stesso delle vite (life-span), il periodo dell’esistenza, possano non coincidere e contribuire allo sfasamento.

Di qui il passo è breve per speculare sulle distanze dei mondi interiori, divergenti per interessi, afferenze sensoriali, selezioni di vario tipo che determinano l’acquisizione di dati diversi (input), i quali saranno poi integrati, risultandone di conseguenza diversi i pensieri e le azioni (output).

Spesso mi sono chiesto quali mondi abitano le persone che incontro per strada; cosa guarda e sente in realtà il vicino di casa o l’amico con cui sto parlando.

Ho ricordato chiacchiere in macchina con persone diverse, al mutare del paesaggio davanti ai nostri occhi: ognuno mi mostrava quello che vedeva.
Con qualcuno ho parlato dello scorrere delle stagioni, segnato dai colori, dalla forma o dalla ricchezza delle foglie e dei fiori nel mondo vegetale circostante.

Altri mi facevano notare la natura e i colori del terreno, le faglie, i profili e le rocce; come in una gola tra due crinali crescono le canne, un sicuro indizio della presenza di acqua.

Alcuni hanno mostrato un’attenzione maggiore per il lavoro dell’uomo, la gente nei campi e i trattori lungo la strada; e anche per le case, le abitazioni dei poveri e dei ricchi; mi hanno parlato di illeciti edilizi, di corpi aggiunti, dove è stato costruito e non si poteva; perfino di come le leggi urbanistiche e le sanatorie hanno cambiato il paesaggio.

Con qualcuno ho guardato il cielo, le nuvole e le forme che esse disegnano; come la luminosità e il colore del cielo modificano l’aspetto del mare; il suo stesso essere minaccioso o rassicurante.

O ancora, il  mondo intorno può essere scandito dal suono; dal tono cupo dei bassi dell’autoradio a tutto volume nella notte, quando i tronchi degli alberi ai lati della strada, illuminati dei fari, sembrano sincronizzarsi con i suoni e balzare in avanti al tempo giusto, la velocità stessa adattata a quel ritmo. Del suono che tutto pervade; dei ritmi primitivi che hanno riprodotto il battito vitale; il primo fra tutti: il ritmo cardiaco. O del ritmo del respiro, che modula perfino la lunghezza delle frasi di uno scrittore, da cui – dicono – si riconosce l’asmatico per la brevità e la fame d’aria.

Come ci sono universi di sola forma; mondi che sembrano esistere per essere trasposti in immagini; non per essere raccontati..

Al contrario, ho spartito l’esperienza di persone prive della vista, come il mio amico Angelo, ai tempi dell’università. A lui chiedevo, incuriosito, della natura dei suoi sogni. Una sequenza di emozioni, odori e sensazioni tattili al posto di quello che rappresenta per noi il mondo visivo. Una successione di tempi in sostituzione del nostro panorama, il colpo d’occhio che tutto comprende: così difficile da raccontare a chi non vede.

E che dire degli innamorati? Dell’esperienza di spartire con loro un mondo pieno di una sola persona, di un volto che occhieggia da ogni manifesto, riconosciuto nella forma stessa delle nuvole..?

Con altri occasionali compagni di strada ho guardato più attentamente le facce della gente, le espressioni dei volti, i segni della solitudine; da piccole impronte sul viso, da poche parole scambiate, ho  imparato a capire chi ancora sogna e chi ha smesso. E’ stato il gioco di una stagione, legare le facce alle storie che potevano esserci dietro e fantasticarci sopra.

Come ci sono tutti altri aspetti del guardare, più o meno viziati dall’interesse  professionale o da private ossessioni: il modo di camminare, la distribuzione del carico, la forma della colonna; i denti, le orecchie. Come c’è chi guarda solo le donne, o solo gli uomini…

Oppure nel ‘craving’, la ricerca spasmodica della droga, qualunque droga, che riduce il mondo ad una sola dimensione.
Alcuni poi, vedono, si riferiscono e sanno parlare solo di se stessi…

Infine, dove le strade finiscono, ho visto anche persone per cui la vita non è più colore, né suono, né forma definita, ma una sequenza di respiri trascinati a fatica, uno dopo l’altro, per arrivare a vivere l’attimo successivo.

Cose tanto diverse vede e sente la gente che incontriamo, da poter pensare che siano altri universi, in realtà; sistemi ruotanti intorno a soli sconosciuti, diversi dal nostro.

E hunati non c’è; è solo l’invenzione di uno scrittore. Anche se ne avremmo bisogno, di un modo più efficiente – fosse anche una droga – per capirci, per partecipare dei mondi degli altri.
Chiamiamo questa sensazione di contatto, empatia. A volte, amore.


Note

Immagini, di copertina e alla fine. Due disegni di Bruno Bozzetto per la ‘Fondazione Empatia’.

Bibliografia essenziale
(1) – Bozza-Marrubini M.L., Ghezzi-Laurenzi R., Uccelli P. – Intossicazioni acute. Meccanismi, diagnosi e terapia. II Ed., 2a ristampa – OEMF (Organizzazione Editoriale Medico Scientifica) – Milano, 1992
(2) – Edmond Hamilton – Hunati (1969). In: Elwood R., Moskowitz S. (Eds.) Alien earth and other stories (Anthology) – Urania (rivista di Fs – Periodici Mondadori); Febbr. 1976
(3) – Theodore Sturgeon – The dreaming jewels – Cristalli Sognanti – 1a ed. Marzo 1953. I Capolavori di Urania; Mondadori editore. Recentemente ripubblicato da Adelphi

 

3 Comments

3 Comments

  1. Pino Moroni

    30 Gennaio 2024 at 17:25

    Sandro, impressionante la lista delle sostanze in giro. Attualissimo argomento e tu lo conosci così bene. Grazie.
    Ho letto ora anche Hunati (mi avevi mandato a suo tempo il racconto completo). Un pezzo di fluida letteratura, ma anche di profonda analisi.
    Ho estrapolato quello di cui parlavamo ieri. – “da piccole impronte sul viso, da poche parole scambiate, ho imparato a capire chi ancora sogna e chi ha smesso”. Aggiungerei: “chi ancora pensa e chi ormai ripete”.
    Le nuove droghe mentali, tanto subdolamente fatte penetrare attraverso la manipolazione dell’informazione (lo posso dire perché ho fatto da poco l’aggiornamento giornalistico) ci sta riducendo ad una sola dimensione. Abitano tutti lo stesso mondo, che è stato inculcato dall’esterno.
    Ecco perché dico attento al “passaparola” ed uso il termine ‘trasparenza’ delle persone e non più come dicevi nel pezzo “come speculare sulle tante diversità”. Parliamo di immigrati. Basta frequentarli un attimo e ti accorgi che sono anche loro nella stessa dimensione. Guarda in faccia e senti quello che dicono i turisti. Lo stesso.
    Noi che amiamo la S.F., e abbiamo amato Cristalli Sognanti (T. Sturgeon, 1950), dobbiamo per primi capire che siamo entrati nel mondo distopico descritto in “1984” (Orwell, 1949!).
    Con le dovute eccezioni di chi resiste e riesce ad avere ancora le sue idee.
    Un abbraccio.
    Pino

  2. Pino Moroni ribadisce

    1 Febbraio 2024 at 07:10

    Non si dica che non avevamo avvertito sulla omologazione ormai evidente. Il tuo pezzo aperto sulle “tante cose diverse che può pensare la gente (anche amici) che incontriamo, come fossero altri universi”, si riduce, attraverso un dialogo frettoloso, a quello che hanno letto prima sul cellulare, per poi ritornarci dopo che ci siamo lasciati.
    “L’empatia” ha bisogno sempre di tempo, contatto e riflessione profonda. Altrimenti siamo solo marionette mosse dalle idee e dalle voci dei burattinai. L’ultimo rapporto Censis ci ha qualificato come “sonnambuli”. Se lo hanno detto anche loro che intervistano milioni di persone, ci sarà una ragione.

  3. Patrizia Vosa da redazioneculturanews

    1 Febbraio 2024 at 08:33

    Mi ha colpito una felice espressione di Paolo Crepet, che ammiro molto, a proposito del numero sempre più crescente delle unioni che si sciolgono, delle famiglie che si sgretolano. Crepet ha parlato di manutenzione dei sentimenti e questo mi ha portato a riflettere sul significato di una parola alla quale, per distrazione, mancanza di tempo, scarso interesse, tutti noi non riserviamo l’attenzione che merita.
    La manutenzione è un termine desueto in un’epoca di consumismo sfrenato. Prendersi cura di qualcuno o di qualcosa comporta impegno, fatica; molto più facile e rapido è eliminare quello che non funziona bene e sostituirlo con qualcosa di nuovo, che non richieda particolare attenzione. Per gli oggetti accade ancora più di frequente che per le persone. Una vecchia lampada legata a ricordi del passato, un maglione di pregio ma appena rovinato, perché perdere tempo a risistemarli? È molto più semplice disfarsene e sostituirli con oggetti nuovi di zecca che almeno per un po’ di tempo non ci creeranno problemi.

    Le relazioni umane, di amicizia, di amore, di parentela per rimanere in vita richiedono un impegno costante, una attenzione continua, una dedizione autentica, qualche rinuncia ai nostri spazi, alle nostre priorità.

    Il quesito che mi pongo è capire se per rivendicare la nostra autonomia, la nostra libertà, il nostro tempo sia giusto mandare in frantumi sentimenti che ci legano a persone o cose che hanno rappresentato momenti importanti della nostra vita.

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