Botanica

Into the wild/9. Attraversando il giardino-mondo

proposto da Sandro Russo: “Com’è stato che natura e uomo ‘civilizzato’ hanno preso strade diverse”

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Il Manifesto. Cultura. Into the wild/9
Il caso dell’orsa JJ4 e il suo contrastato rapporto con l’altra specie – quella umana – ha dato l’avvio a questa serie di pagine culturali che indagano la relazione con il selvatico da diverse prospettive. C’è quella «reale» (che comunque sconfina nell’immaginario), e quella della finzione letteraria, come il puma di Hollywood, o storie dai tratti leggendari: dalle fiabe alla scoperta (spesso non veritiera) dei «bambini delle foreste»
per l’intima familiarità con la selva dello scrittore uruguayano Quirogapassando per le simbologie risvegliate dai lupi alle porte della città, E poi ci sono le orse di Artemide, i meravigliosi incontri sottomarini, il desiderio di tornare «indigeni», l’empatia con animali e le fantasie equine di Turgenev a Tolstoj. Senza dimenticare le commistioni di uomini e maiali irlandesi e l’utopia vegetale di riunire diversi mondi in un unico giardino assai «indisciplinato».

Cultura Il Manifesto. Into the wild/9
Attraversando il giardino-mondo
di Andrea Di Salvo – Da Il Manifesto del 24 agosto 2023

Domaine du Rayol: un Index planetario per l’«ecologia della riconciliazione». Dal nostro punto di vista, umano e animale, riflettiamo sulle piante e le loro alterità. Le erbe vagabonde di Gilles Clément come valore dell’imprevisto e resistenza naturale

Domaine du Rayol, nel sud della Francia, il «Giardino dei Mediterranei»

Tra le molteplici forme di familiarità con tutto quanto in mancanza di una miglior definizione chiamiamo natura, risaltano la passione per il giardino e la sua pratica. Che, in quanto tramite, specialmente con il mondo delle piante, come pure degli animali e degli agenti che lo vivificano, finiscono per esser spesso evocati come snodi che riattivano e moltiplicano quel sistema di relazioni di cui l’uomo è, come tutti, parte. Un groviglio di interdipendenze ecologiche, in implicazione profonda con il non-umano, in un continuum di cui fanno parte il paesaggio animale e la società dei vegetali, la micro-fauna cosmopolita, le alleanze di batteri e radici, minerali, fiumi, montagne in un’irriducibile parentela in continuo divenire. E, ancora, funghi e micorrize, generatori e rigeneratori di interi ecosistemi, creature queer capaci di inventare nuovi modi di convivere, specialmente in occasione di eventi catastrofici, crisi.

Come luogo privilegiato dell’esperienza polisensoriale che ci immerge nel flusso ininterrotto della metamorfosi, il giardino rende da presso palese questo nostro partecipare delle combinazioni del vivente. In vari innesti e relazioni eccentriche. Da rintracciare magari nella microfisica quotidiana della dimestichezza di tanti con le piante cosiddette da appartamento, o da leggersi nel pensiero sottostante e nelle emozioni innescate da realizzazioni-manifesto come nel caso del giardino-mondo avviato dal paesaggista Gilles Clément, oggi son trent’anni, nei sette ettari del Domaine du Rayol, nel sud della Francia. Una sorta di Index planetario delle regioni del mondo biologicamente assimilabili, per quanto tra loro davvero distanti: Il Giardino dei Mediterranei. Al plurale.

La perenne dialettica della storia del giardino tra controllo e aperture, artificio e varie «naturalità» è parte e anticipazione proprio di questa nuova, complessiva, attenzione. Pratica trasformativa, autoriale, sintesi di proiezioni e usi sociali, nonché risultante della dimensione estetica dell’invenzione e del progetto, il giardino è però anche, specialmente, opera a firma plurale, all’incrocio delle potenzialità dei luoghi e dei diversi protagonisti coautori – animali, vegetali, suoli, stagionalità e temporalità. Occasione di un’inarrivabile incontro tra impermanenza, divenire delle identità, contemporaneità del molteplice.

In un inesausto negoziato con i vari protagonisti del vivente, il giardino vive sempre di nuovi equilibri. Innescando una permanente riconsiderazione critica delle forme di stare, assieme agli altri, al mondo. Oltre la competizione e l’esclusione reciproca.
Ed è proprio quanto le piante ci suggeriscono con la loro soggettività plurale. Proprio loro che, semplicemente esistendo, hanno fatto il mondo così come noi lo conosciamo. Eppure, dal nostro umano, animale, punto di vista, cominciamo appena a riflettere sulla loro alterità, fondamenti biologici, successo evolutivo. Mentre, con il progredire della ricerca, orientata anche dal riflesso di un loro diverso modo di porre domande, apprendiamo a indagarne l’inesauribile inventiva.

Per il tramite del giardino, un tale dilatarsi di sguardi, punti di osservazione e consapevolezze, viaggia ben oltre. Nella sua dimensione molecolare, fin nell’ambito urbano entro cui la maggior parte degli umani si affolla in nuovi ecosistemi dove rinsaldare benefici ambientali, servizi ecosistemici, qualità estetica e salvaguardia della biodiversità. Giardini e spazi verdi urbani come corridoi di transito. Pullulare di mini-habitat capaci di ospitare e supportare anche quella vita animale che spesso ignoriamo o disdegniamo. Da alimentare invece di occasioni per costruire l’alfabeto di una «ecologia della riconciliazione» tra specie differenti che, assieme alla maggior padronanza di un’etichetta del selvatico, ci avvia verso una diplomazia della coabitazione.
E di certo collegato al densificarsi dell’urbanizzazione, è l’impennarsi, tra molte implicazioni, di quel fenomeno diffuso e di segno globale che è la ormai pervasiva febbre vegetale per le piante da appartamento. Tanto che, pur considerando l’ampia quota di superficiale voracità delle mille mode che rimbalzano dai media (Instagram, in particolare), dove al «verde vegetale» si ricorre come salvifica compensazione di una liofilizzata idea di natura, il dato è quello di un mercato globale delle piante da appartamento che nel 2021 valeva quasi 18 miliardi di dollari e che, con un tasso di crescita cumulativo stimato del 10,24% annuo tra il 2020 e il 2025, risulta tutt’ora in piena espansione, specialmente tra i giovani.

Dai salotti ai ballatoi, agli uffici dove nel secondo dopoguerra arrivano numerose, assieme alle donne che varcano il mondo del lavoro, le piante pervadono poi i più diversi spazi abitativi. Quotidianamente accudite tra sguardi accorati e piccoli rituali – o flagrantemente dimenticate – costituiscono inediti paesaggi casalinghi: da, viaggio in una stanza attraverso il mondo (e le sue piante).
Differenti per tipologie, esigenze di coltivazione e universi di provenienza, ci accompagnano in un felice intrecciarsi di esperienze contemplative, intime storie di reciproco accudirsi, ineffabili lezioni di appartenenza al vivente.

Astratte, molto spesso dal loro contesto, a lungo le piante son state impiegate in giardino in base ad accostamenti e criteri compositivi coloristici, formali, «da pittore». Piegate a interpretare altri linguaggi artistici. Assieme a nuove competenze scientifiche sul carattere ecologico delle associazioni vegetali spontanee, con il volgere del secolo scorso una nuova sensibilità ha suggerito un nuovo, diverso approccio al giardino.
Un naturalismo che si ispira all’osservazione del modo in cui le piante si associano in natura e che le intende nei loro individuali caratteri di struttura, consistenza, riflesso e trasparenza, movimento, perduranza. Riconoscendo loro una precipua espressività da ricondurre a segno estetico. Fin nel disfacimento, giocando compositivamente con la bellezza delle sfiorite silhouette invernali.
Un passo ancora, nel richiamato Giardino dei Mediterranei, è quando, abbandonata ogni classica tassonomia, dieci paesaggi accomunati da un clima analogo, dalle coste della California alle Canarie, dall’Australia all’Africa del sud, si ritrovano in un unico giardino a raccontarne la brulicante biodiversità.

Nella riserva del Domaine du Rayol si è liberi di passeggiare inventando il proprio itinerario nel deserto della presenza di etichette botaniche che in genere, rassicuranti, ci accompagnano in luoghi come questo.
Piante di paesaggi diversi, separate in natura da differenti fusi orari, a clima temperato caldo, arido o subtropicale, come la sudamericana Erythrina crista-galli o la spinosissima Acacia colletioides, endemica del sud dell’Australia, si assiepano, raccolte qui trent’anni fa dal paesaggista dell’ecologia umanista Gilles Clément. E qui, con studio, lasciate alla loro naturale evoluzione come un messaggio in bottiglia verso un futuro di climi, prevedibilmente, già allora, ancor più secchi.

Erythrina crista-galli al Negombo di Ischia

Acacia colletioides (photo Denzel Murfet)

Anticipando la contaminazione e il «valore dell’imprevisto» come forme di collaborazione progettuale, poi confermate nella lezione delle erbe vagabonde (sul sito, leggi qui), Clément evidenziava nella resistenza naturale di quelle piante dagli elementi netti, scolpiti, continuamente adattate all’asprezza di luci, colori, territori, il corrispettivo di un’estetica dell’imperfezione, del riposo estivo di quei protagonisti vegetali a crescita intermittente.
Una pausa tutta mediterranea. Prima di discendere la baia del Rayol fino alla piccola spiaggia, dove – undicesimo giardino del Domaine – ci aspetta la prateria sottomarina di posidonia che, in relazione a precise condizioni di temperatura dell’acqua, fiorisce, se riesce, ogni quattro anni.

[Into the wild / 9 – Continua]

 

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