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L’ultima volta che ho visto Giuliano è stato a fine settembre di quest’anno. Ogni giorno si sedeva al bar Onda Marina sulla piazzetta di Sant’Antonio per l’aperitivo: un’occasione per fare quattro chiacchiere con gli amici che diventavano sempre di meno intorno a lui. Troppi se n’erano già andati via. C’era sempre Silverio ’i Maurino, Silverio Lamonica, Pierino Scotti a volte si fermava Sergio D’Arco ho visto anche Fulvio, un medico milanese che aveva conosciuto Gabriele Panizzi molti anni fa e poi per questo aveva potuto conoscere Ponza, il Fieno e tutto il resto.
L’aperitivo era finito, quel giorno, per cui Giuliano si era alzato dal tavolino per andare a casa. Mentre aspettava il solito tassì di Gungui ci incontriamo mi dice: – Scusa Vincenzo… – Pausa, sorriso – Vorrei scrivere o riscrivere qualcosa sul Mitreo. Ho molti documenti, sarà una fatica metterli insieme e non so se ce la farò. Le cose le ho tutte in testa ma faccio sempre più fatica… sarà l’età. Mi piacerebbe che tu ne scrivessi la prefazione. Pausa, sorriso, guardandomi negli occhi continua: – Una la farebbe Gabriele Panizzi e l’altra tu?
Devo essere sincero. Ho accettato memore di una scortesia involontaria che feci a Giuliano anni prima. Anche allora mi avvicinò e mi disse che aveva un progetto per cui mi chiedeva se potevo prendermi un caffè con lui.
Non ci andai a prendere quel caffè.
Qualche anno dopo feci leggere un mio articolo, dal titolo, “Una storia incompiuta” – pubblicata su Ponzaracconta – a un amico di Roma, Aldo Scalera, il quale la sera a cena all’Aragosta con Giuliano glielo fece leggere per saperne il parere.
Giuliano con il suo solito tono pacato disse: – Io volevo parlare con Vincenzo proprio di questo articolo, lo volevo inserire in un mio lavoro, ma lui ha rifiutato anche di prendere con me un caffè.
Non era stata arroganza la mia, ma forse quella volta ho sbagliato.
Nel frattempo è sopraggiunta sorella Morte per cui non ho avuto l’occasione e l’onore di scrivere la mia prefazione al libro di Giuliano e farmi così perdonare quella scortesia.
Ero adolescente quando vidi la prima volta Giuliano. Lui a quei tempi era il villeggiante, faceva parte della borghesia progressista romana, che veniva a Ponza con i suoi amici. Giocava a bigliardo al bar Tripoli. Si vedeva e si sentiva che erano padroni del loro tempo. Lui aveva a quei tempi una compagna che per me assomigliava ad Eva Kant. Era bellissima, portava i capelli tirati indietro, un viso allungato, naso perfetto, trucco leggero sugli occhi, corpo sodo come una cavallerizza. Forse una delle più belle donne che io vidi in quei tempi. Bevevano, ridevano: sembravano felici.
Più tardi rividi Giuliano al Fieno nella grotta di Luigi (Luigi Mazzella, Luiggi’u Niro – ndr). Nella piccola cantina in alto c’erano tutti. ’A Feccia, Bufera, Damigiana, Giustino, Adalgiso, Benito, Giuliano, Gioì. In quella piccola grotta la luce veniva solo dalla piccola entrata. La tavola di legno era piazzata di rimpetto all’entrata: seduti si poteva vedere solo il mare, la Punta del Fieno e un pezzettino del faro della Guardia. Si cominciò ad intonare il Nabucco. Quei contadini cantavano, ognuno di essi a turno si alzava per sottolineare una nota o una intonazione. Giuliano mi mise la mano sulla spalla e mi incoraggiò a cantare. Mentre anche io cercavo di inserirmi in quel coro affiatato da tanti anni di merende, pranzi e sbronze, vedevo che Giuliano mi sorrideva compiaciuto.
Quel giorno abbandonai i miei amici perché avevo ritrovato persone che sapevano stare intorno ad una tavola a mangiare, bere e a loro modo pregare.
Giuliano a volte portava una sua amica al Fieno. Era uno spasso osservare come quei contadini facevano i simpatici con quelle ospiti che profumava di femmina emancipata. Però prima chiedevano: – Giulia’, ma chesta cca è ’a femmena toia?
Giuliano rispondeva: – Solo i cani ci hanno i padroni!
A quel punto le moine, le battute e le galanterie di quei contadini a quella femmina erano continue ma sempre molto timide.
Si parlava in dialetto per cui l’ospite femminile spesso non capiva e chiedeva spiegazione a Giuliano. Giuliano, con tono professorale e serioso “traduceva”, dava i suoi chiarimenti che ovviamente non spiegavano il vero significato e le intenzione dei suoi timidi amici contadini.
Giuliano ha conosciuto la vera isola nel momento in cui il turismo era sviluppato non dai ponzesi e i ponzesi erano contadini, marinai, lavoratori della miniera, muratori, panettieri, barbieri.
Ha imparato il dialetto e ha conosciuto da vicino quegli uomini. Ha avuto tempo per farlo e ha avuto anche tempo per conoscere l’isola con la sua barchetta fatta da Ciro Iacono.
Ha sempre cenato allo stesso locale, alla Trattoria dell’Aragosta, sempre contornato da amici di Roma a cui ha raccontato fino all’ultimo istante che lui non era nato su quell’isola ma la sentiva sua perché aveva avuto il privilegio di averla conosciuta veramente.
A cura della Redazione
Alcuni degli articoli di Giuliano o dedicati ai libri di Giuliano Massari, su Ponzaracconta:
Aldo Scalera
16 Dicembre 2023 at 12:17
Grazie per la fotografia bellissima, grazie per il ricordo, direi l’omaggio sentito e commosso che hai fatto per Giuliano che gli rende il giusto merito. Lui, come gli altri amici di merende, rappresentano per me una Ponza che ho amato e che probabilmente non ci sarà piu’.
Non posso far altro che ringraziare Giuliano per avermi onorato della sua lunga amicizia e per avermi insegnato in tutti questi anni a conoscere ed apprezzare quella Ponza nascosta al turista ordinario. Grazie a lui, dopo poco tempo ho imparato ad amare Ponza non solo per l’accecante bellezza naturale ma soprattutto per la sua bellissima storia, per la sua gente solo apparentemente ostile ma in realtà scavata dalle dure sofferenze e per le sue uniche tradizioni. Non mi stancavo mai di ascoltare le sue dotte e minuziose lezioni su Ponza, con quel suo tono serio e nello stesso tempo spassoso quando (non mancava mai…) rivelava qualche gossip esilarante di amici e conoscenti ponzesi. L’immagine di questa Ponza e’ un dono prezioso che rimarrà per sempre con me .
Ti ringrazio ancora delle belle parole per Giuliano. Credo che lui sarebbe stato senz’altro felice di sapere che lo consideri a pieno merito “uno di noi” perché, anche se lo nascondeva con difficolta’, il suo più grosso rammarico in vita credo sia stato proprio quello di non essere nato nell’isola che amava.
Ciao, Aldo