segnalato dalla Redazione un articolo dall’aggiornamento settimanale “Newsletter ‘Global’ di Federico Rampini – Corriere della Sera”
Perché sta rallentando la nostra transizione “green”
di Federico Rampini
Solare, eolico, auto elettrica: la crisi è generale
Si apre in un contesto difficile la prossima COP28 negli Emirati. E stavolta non c’entra la guerra in Medio Oriente. La transizione verso un’economia più sostenibile, meno carbonica, è entrata in una zona di turbolenze. O per usare una metafora ancora più adatta, ha incontrato dei venti contrari che la rallentano. La corsa a investire nell’energia solare ed eolica perde velocità. La “finanza verde” – i cosiddetti investimenti Esg – è in crisi. Le vendite di auto elettriche ristagnano in diversi mercati fondamentali.
Le cause sono di varia natura: economiche, tecnologiche, geopolitiche. L’unica nazione che sembra voler continuare a mantenere un ritmo elevato di investimenti nelle rinnovabili è la Cina: che però rischia di creare una “bolla”, le cui conseguenze si ripercuotono anche sull’Europa.
Il costo del denaro è una delle spiegazioni
Il rialzo dei tassi colpisce in modo acuto il settore delle rinnovabili per via del suo elevato indebitamento. Altri protagonisti del settore eolico stanno registrando centinaia di milioni di perdite sui progetti off-shore negli Stati Uniti, e questo renderà problematico raggiungere l’obiettivo dell’Amministrazione Biden di avere 30 gigawatt nel solo settore eolico entro il 2030. Un caso diverso è quello della società francese Engie, specializzata nelle rinnovabili e anch’essa molto presente sul mercato americano. La Engie per adesso non ha abbandonato i suoi piani – che prevedono d’installare capacità aggiuntive pari a 12 gigawatt negli Stati Uniti entro il 2030 – però ha alzato le sue tariffe del 50% rispetto al periodo pre-pandemia. Rincari di questo genere cambiano l’equazione economica e rendono meno competitive le rinnovabili. Le Borse stanno registrando il fenomeno con pesanti cali delle quotazioni dell’industria verde: la danese Orsted ha visto dimezzare il suo valore dall’inizio dell’anno.
Ristagna l’auto elettrica: già saturo il mercato?
L’auto elettrica è un altro settore in difficoltà. Negli Stati Uniti le vendite stagnano, dopo aver raggiunto il livello di centomila vetture al mese. Tesla ha dovuto ridurre i suoi prezzi. Ford e General Motors stanno rinviando alcuni investimenti nel segmento elettrico. Non è solo un fenomeno americano, visto che Volkswagen ha bloccato per adesso il progetto di costruire una quarta fabbrica di batterie. Alcune case automobilistiche hanno l’impressione che sia già saturo il mercato dei “tecno-entusiasti” e degli “ambientalisti ricchi”: chi voleva l’auto elettrica ce l’ha. Per convincere gli altri occorrono prezzi più bassi, modelli migliori, e consistenti progressi nella costruzione di reti per le ricariche. Poi c’è il problema dell’invasione cinese, che negli Stati Uniti ha già creato resistenze: la Ford era vicina a un accordo con il massimo produttore cinese di batterie, il gruppo Catl, però se le auto elettriche della Ford montano batterie made in China rischiano di perdere il diritto alle agevolazioni fiscali dell’Amministrazione Biden.
Ritirata dai fondi ESG
Il mondo della finanza rispecchia questa nuova fase. Tutto il settore degli investimenti Esg – “environmental, social, corporate-governance” – non è più di moda come lo era fino a poco tempo fa. Gli investitori hanno smobilitato 14 miliardi di dollari dai fondi “sostenibili” (che gestiscono comunque quasi 300 miliardi). Nel terzo trimestre di quest’anno per la prima volta il numero di fondi Esg che hanno chiuso oppure hanno abbandonato quella “etichetta” ha superato il numero dei nuovi ingressi nel settore. La prima ragione per questa disaffezione degli investitori è la crisi generale delle rinnovabili. Tra le altre cause: un giro di vite normativo da parte delle autorità di vigilanza, per evitare un uso troppo elastico dell’etichetta Esg; e un’offensiva politica da parte dei repubblicani Usa.
La lezione ucraina: energia è sicurezza
A rallentare la transizione verso la sostenibilità hanno contribuito gli shock geopolitici degli ultimi anni, cominciando dall’invasione russa in Ucraina. Il tema della sicurezza ha riconquistato attenzione in tutto l’Occidente. In altri termini: qualunque sia il mix di fonti energetiche auspicabile per rallentare il cambiamento climatico, bisogna anche evitare di essere alla mercè di ricatti da parte di superpotenze ostili. Oppure di gettarsi con troppa leggerezza su tecnologie che non danno la stessa affidabilità (vedi la discontinuità e imprevedibilità tipiche del solare ed eolico).
Idroelettrico e nucleare, che molti esperti giudicano le rinnovabili da rilanciare, non godono del favore degli ambientalisti occidentali (tuttavia hanno il sostegno di Cina e India).
La questione cinese ha aumentato la sua rilevanza. La Cina continuerà ad essere per molto tempo la più grande fonte di CO2, né ha la minima intenzione di cessare la costruzione di centrali a carbone (sul proprio territorio o in altri paesi emergenti).
Dominio cinese sulle rinnovabili: l’Europa paga il conto
Al tempo stesso però i suoi investimenti nelle rinnovabili sono così enormi da creare delle situazioni di semi-monopolio e di sovraccapacità, che si scaricano sulle economie occidentali. Solo nel corso del 2023 la Repubblica Popolare avrà installato così tante centrali solari nuove, quante ne esistono in totale negli Stati Uniti. Nel 2022 gli investimenti cinesi nelle tecnologie delle rinnovabili (cioè pannelli solari, pale eoliche, batterie), 80 miliardi di dollari, valevano il 90% del totale mondiale. Questo però crea un eccesso di capacità produttive, che l’industria cinese scarica sul resto del mondo, vendendo sottocosto per rimanere a galla. Dall’inizio di quest’anno i prezzi del polisilicone, materiale di base per i pannelli solari, sono crollati del 50%. I prezzi dei pannelli fotovoltaici made in China sono giù del 40%. Poiché l’Europa rimane uno dei pochi grandi mercati dove i pannelli solari non sono protetti da dazi all’importazione, è soprattutto l’Europa che la Cina sta invadendo con merce scontatissima.
E così la dipendenza europea da Pechino per la transizione alla sostenibilità sta peggiorando ulteriormente, in contraddizione con l’obiettivo proclamato di costruire una maggiore autonomia. Saranno temi scottanti per la COP28 di Dubai, insieme con altri: come il calo delle quotazioni del petrolio che sottrae risorse a quei paesi del Golfo intenzionati a finanziare la transizione verde nel Grande Sud globale. Sì, le potenze del greggio come l’Arabia investono molto nelle energie pulite.