segnalato da Guido Del Gizzo
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Di solito, condivido poco le considerazioni dell’autrice: questa volta, le trovo perfette e ve le propongo.
Il titolo richiama un film molto bello, “L’Agnese va a morire” (G. Montaldo, 1976), di cui parleremo un’altra volta.
Anila va a morire.
Storia di un’operaia come tanti, che se ne va senza fare rumore
di Antonella Boralevi – Da Huffington Post del 15 novembre 2023
Da gennaio a luglio di quest’anno già 559 morti, di cui 430 “in occasione di lavoro”. Serve continuare a scrivere, raccontare, piangere morti che da 70 anni si chiamano “bianche”?
Ogni mattina, da gennaio a luglio, due operai/operaie hanno preso il caffellatte al tavolo di cucina, il caffè al primo bar che apre alle sei, hanno dato un bacio alla moglie, al marito, ai bambini insonnoliti. E sono usciti di casa. Sono andati a morire. Soffocati dentro le cisterne che dovevano pulire, stritolati dai macchinari che dovevano far funzionare, a capofitto giù da una impalcatura, schiacciati da una lastra di marmo da spostare, da un cassone di ferro, precipitati insieme alla gru, investiti per sbaglio durante il carico.
Ogni mattina, da gennaio a luglio, un responsabile/una responsabile (ma sono poche) di fabbrica, di cantiere, si è fatto la barba, si è lavato i denti, ha fatto colazione col caffellate o al primo bar aperto, ha baciato, salutato, è uscito per andare sl lavoro. È andato a morire. Certe volte è morto cercando di salvare i suoi operai. Altre volte, è un morto che cammina, schiacciato dalla colpa di non aver controllato, verificato, tutelato la loro vita.
Il dato che ho trovato è 559 morti, di cui 430 “in occasione di lavoro”, da gennaio a luglio 2023. Ieri è toccato ad Anila, anni 26, a Treviso. E a un operaio di Ravenna.
Allora io avrei una domanda: serve continuare a scrivere, raccontare, piangere morti che da 70 anni si chiamano “bianche”? Bianche perché non fanno rumore. Bianche perché la fabbrica deve andare avanti, ci sono i posti di lavoro da salvaguardare.
Morti che a me, magari sbaglio, fanno venire in mente i sacrifici della tragedia greca. Il profitto Minotauro che divora ogni giorno innocenti. Alle vittime spesso viene imputata “per disattenzione, fretta, inesperienza” la propria morte. Per anni e anni la giustizia cerca la verità. E ogni mattina, nelle case dei morti, la perdita si siede al tavolo della colazione. Nel cuore di mamme, padri, figli.
Amila è morta perché la macchina dell’imballaggio della ditta Bocon di Treviso le ha schiacciato la testa. Basta la Legge come è adesso a proteggere gli operai? Se un operaio “inesperto” lavora su un macchinario pericoloso, chi non ha verificato la sua adeguatezza?
Non ho risposte. Ma qualcuno deve darcele, io credo.